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Le persone transgender nello sport: perché negli USA il dibattito è infuocato
L’ostilità dei conservatori verso chiunque si identifichi come donna guadagna nuovamente spazio nello sport
Cinquantuno anni fa, le donne statunitensi non erano le benvenute nel mondo dello sport. Il diritto di essere considerate valide pari delle controparti maschili è stata una delle innumerevoli vittorie ereditate dagli anni Settanta, il decennio ricordato tanto per le lotte femministe quanto per il backlash conservatore che quelle stesse battaglie paritarie hanno scatenato.
Secondo lo storico Edward Berkowitz, gli anni Settanta sono stati gli “anni Sessanta” delle donne che, stimolate dall’impareggiabile fermento politico e culturale caratterizzante il decennio precedente, si sono attivate per incardinare battaglie che hanno saputo spaziare dal diritto all’aborto, al diritto a emanciparsi dallo stereotipo della donna angelo del focolare, la cui dimensione è unicamente quella casalinga e materna. Proprio negli anni Settanta si è tornato a parlare dell’Equal Rights Amendment (ERA) che, manifestatosi sui tavoli del Congresso, ha risvegliato nei leader conservatori attivi in quegli anni la necessità di organizzare ogni possibile forma di resistenza istituzionale.
L’emendamento avrebbe sancito in Costituzione la parità di tutti i cittadini americani a prescindere dal sesso: un concetto percepito come tremendamente pericoloso, soprattutto negli anni in cui ogni proposta in nome dell’uguaglianza sembrava far riecheggiare nei cuori e negli animi dei più complottisti la minaccia del comunismo. A favore dell’ingannevole assioma “comunismo=femminismo” si scagliò proprio Phyllis Schlafly, conservatrice e reazionaria, passata alla storia per aver contribuito ad affossare con ogni mezzo possibile l’ERA dopo che, tra il 1971 e il 1972, sia la Camera dei Rappresentanti che il Senato statunitensi erano riusciti a farlo approvare.
Il 1972 deve essere stato un anno particolarmente difficile per Schlafly, che non solo ebbe da organizzare una risposta politica all’approvazione istituzionale dell’ERA stato per stato, ma fu ulteriormente testimone dell’entrata in vigore degli Education Amendments con il loro fondamentale Title IX, secondo cui non sarebbe stata più permessa alcuna forma di discriminazione sulla base del sesso all’interno di scuole destinatarie di fondi federali. La nuova previsione avrebbe, in pochi anni, rivoluzionato come i giovani di entrambi i sessi si potevano relazionare gli uni agli altri, dalla scuola elementare al college, andando ad avere importanti conseguenze anche sul mondo dello sport: prima dell’avvento del Title IX, infatti, le donne costituivano solamente il 7% degli atleti delle scuole superiori. Già nel 1978, invece, il dato era radicalmente cambiato: le donne avevano iniziato a rappresentare un terzo del mondo sportivo studentesco non dovendo più subire le ripercussioni di percorsi scolastici fortemente genderizzati che preferivano allontanare le donne da sport considerati “maschili”, e tendenzialmente di contatto, per reindirizzarle verso corsi di cucina e di cucito.
Il rapporto tra identità di genere e sport è sempre stato al centro dell’attenzione statunitense, soprattutto a partire dal 1970: del resto, proprio quegli anni hanno funzionato da palcoscenico per la famosa Battle of Sexes tra i tennisti Billie Jean King e Bobby Riggs.
Non stupisce, dunque, più di cinquant’anni dopo, ritrovare la stessa animosità e opposizione all’entrata delle donne transgender nell’ambiente sportivo. Nell’ultimo anno, gli attacchi - tanto verbali o fisici quanto politici - contro le persone transgender negli Stati Uniti sono aumentati, trasformando la comunità LGBTQIA+ in uno dei target prediletti dei reazionari e conservatori.
Alla notizia, lo scorso marzo, che l’organo di controllo dell’atletica leggera e di altre competizioni podistiche, World Athletics (WA), avesse deciso di escludere le donne transgender dal poter partecipare a gare internazionali, alcuni esperti si sono opposti, cercando di dar voce e rivendicare il diritto a partecipare delle professioniste che si andava ad allontanare; altri, invece - soprattutto membri dell’establishment politico - hanno applaudito alla decisione e deciso di rilanciare.
Ad aprile la Camera dei Rappresentanti ha approvato un divieto per le atlete transgender di entrare a far parte di squadre sportive femminili in scuole e college destinatari di fondi federali. Dato l’attuale panorama politico statunitense complessivo, è evidente che la proposta di legge non supererà né lo scoglio di un Senato democratico né, tantomeno, il potere di veto nelle mani del Presidente Biden. Tuttavia, il voto con cui è passato alla Camera ha rappresentato un segnale politico sufficiente per rimarcare la posizione Repubblicana sulle questioni di genere. Secondo questi ultimi la norma rappresenterebbe nient’altro che una forma di garanzia a tutela delle atlete che si troverebbero svantaggiate nel gareggiare con qualcuno la cui identità di genere non corrisponde al sesso biologico assegnato alla nascita. La proposta di legge federale, elaborata dopo che già 20 stati avevano provveduto ad attivare simili legislazioni contro le sportive transgender, andrebbe dunque ad emendare - e nella retorica Repubblicana, difendere - proprio il Title IX, proibendo agli istituti scolastici di permettere a qualcuno il cui “sesso assegnato alla nascita è maschile” di gareggiare al fianco di altre donne.
Con questa proposta politica, i più conservatori dentro al partito dell’elefante portano avanti una complessa rielaborazione storica riappropriandosi delle battaglie per i diritti delle donne e del linguaggio femminista in un’opera di reframing che mira esclusivamente a fornire materiale per colpire la comunità transgender: il GOP diventa così ardentemente femminista, baluardo delle teorie della differenza e unico intenzionato a tutelare le donne dal rischio di venire “cancellate” dalla minacciosa primazia dell’identità di genere sul sesso biologico.
Dall’approvazione alla Camera della proposta di legge, gli Stati con una legislazione simile all’attivo sono diventati 23, con l’ultima aggiunta del North Carolina: per il Governatore Roy Cooper, aperto sostenitore dei diritti LGBTQIA+, sarà pressoché impossibile ostacolare la proposta di legge, data la schiacciante maggioranza Repubblicana nelle sedi legislative capace di annientare ogni tentativo di veto. Uno scenario già verificatosi nello Utah, dove il Governatore Repubblicano Spencer Cox ha provato a fermare l’approvazione di una medesima norma volta ad attaccare - come sottolineato da lui stesso - direttamente quattro studentesse a fronte di 85.000 atleti in età scolare.
Queste misure sembrano godere di ampio supporto non solo all’interno delle istituzioni, ma anche all’esterno: un recente sondaggio Gallup (somministrato su mille adulti) ha dimostrato come il 69% dei rispondenti supporti l’idea che atleti transgender debbano gareggiare in squadre che riflettono il proprio sesso biologico.
Il vigoroso dibattito sulla partecipazione delle donne transgender in team sportivi femminili si è presto trasformato da questione politica a questione giudiziaria: nel mese di luglio, la Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Secondo Circuito si è confrontata con un caso riguardante quattro ex atlete di una scuola superiore in Connecticut che hanno perso gare e campionati statali contro due atlete transgender. Le querelanti lamentano una evidente violazione del Title IX, in quanto viene a mancare “pari trattamento, benefici e opportunità per le ragazze nella competizione atletica”. Nel replicare, le atlete trans, supportate dall’ACLU, hanno evidenziato come la previsione contenuta negli Education Amendments non imponesse squadre separate per sesso per permettere alle donne di competere, ma abbia, al contrario, rappresentato una battaglia per il diritto di gareggiare equamente senza implicare una segregazione tra sessi.
L’amministrazione Biden, intervenuta sul caso, sembra però aver creato spazio per future discriminazioni contro atlete trans nel tentativo di proporre una soluzione intermedia: secondo una proposta formulata dal dipartimento dell’Istruzione, infatti, escludere categoricamente atlete transgender dalle competizioni femminili rappresenterebbe una concreta violazione del Title IX - tuttavia, una esclusione discrezionale sarebbe permessa agli istituti scolastici. Se questi ultimi saranno in grado di dimostrare che l’inclusione di persone transgender potrebbe minare l’equità competitiva o rappresentare motivo di infortunio, allora l’esclusione sarà legalmente in linea con la norma federale.
Non abbastanza per i più reazionari, che non hanno tardato a commentare la norma: Manny Diaz Jr, commissario per l’istruzione nella Florida di DeSantis, ha immediatamente dichiarato che non avrebbero mai permesso “ai ragazzi di giocare negli sport femminili. Combatteremo con le unghie e con i denti questa prevaricazione. E non ci fermeremo davanti a nulla per sostenere le protezioni offerte alle donne dal Titolo IX”.
Quello riguardante i diritti delle persone transgender è un dibattito che non solo infiamma ogni angolo degli Stati Uniti, ma che espone alla luce del sole strategie e nuove retoriche di un GOP casa di Donald Trump, Ron DeSantis e Marjorie Taylor Greene: vestire i panni dei soldati in prima linea per i diritti delle donne (biologiche) diventa una tattica per reinventarsi e reagire a un mondo che cambia, sfruttando come principale arma quella di appropriarsi mediaticamente di casi difficili - a livello legislativo e giuridico - così da trasformarli in cattive leggi.