Le parole magiche dei democratici: un partito in crisi comunicativa
La sconfitta elettorale spinge il Partito Democratico a interrogarsi sulle sue difficoltà nel coinvolgere gli americani. Un problema che va ben oltre il linguaggio
Le prime settimane dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sono sembrate la rappresentazione teatrale del peggior incubo del Partito Democratico. Mentre il tycoon governa tramite decreti presidenziali, forte della maggioranza ottenuta al Congresso, l’opposizione è costretta a confrontarsi con i propri errori e a chiedersi cosa sia necessario cambiare nella propria linea politica.
Tra le cause principali del tracollo di Biden prima, e di Harris poi, c’è stata la scelta di una strategia comunicativa che si è rivelata profondamente inefficace. Gli argomenti proposti dai democratici come capisaldi della loro proposta politica sono stati poco recepiti dal pubblico americano, e il linguaggio usato per esprimerli è risultato a tratti incomprensibile per una larga fetta dell’elettorato. Si tratta di un tema che negli ultimi mesi sta trovando una certa risonanza tra chi si occupa di politica negli Stati Uniti. Ne ha parlato recentemente il senatore delle Hawaii Brian Schatz, uno degli astri nascenti del Partito Democratico, sottolineando come Kamala Harris, in campagna elettorale, abbia usato una terminologia “strana” e “insolita”, sostanzialmente aliena a buona parte degli ascoltatori. Schatz cita come esempio l’uso dell’espressione “cessation of hostilities” invece del più semplice “ceasefire”, o il continuo riferimento a progetti vaghi e mal spiegati come il Green New Deal. La definisce “the magic words thing”, l’uso delle parole magiche, vale a dire l’insistenza a coniare termini nuovi per definire le proprie politiche senza affiancarvi una progettualità definita.
La tendenza a voler dimostrare la propria competenza tramite un vocabolario estremamente tecnico e burocratico è un problema diffuso in tutto il partito. Nel selezionare parole ricercate e complesse, i democratici implicitamente si rendono inaccessibili a chi non possiede un’elevata educazione politica, risultando indecifrabili, se non addirittura arroganti, agli stessi individui a cui vorrebbero rivolgersi. Un effetto moltiplicato dalla strategia comunicativa fatta propria dai repubblicani negli ultimi anni: il modo diretto con cui Trump si rivolge al pubblico, tramite un linguaggio comune e persino scurrile, è uno dei segreti della sua ascesa al potere. Sul fronte opposto, invece, persiste l’uso di un registro estremamente formale, ereditato dagli ambienti burocratici e accademici, che risulta comprensibile solo a un elettorato che già vota per i democratici e che invece non raggiunge i milioni di indecisi e indipendenti d’America. Un concetto che Schatz sintetizza in maniera efficace: “Non è solo che non siamo in grado di prendere contatto con le persone. Sono le persone che non sono in grado di prendere contatto con noi”.
Al di là della terminologia, è evidente che il modo con cui i politici democratici comunicano la propria agenda sia intrinsecamente elitario. Basti pensare a come il tema dell’economia è stato affrontato nella recente campagna presidenziale: mentre Trump faceva appello alla rabbia delle persone verso la crescente inflazione, da sinistra si difendeva l’operato dell’amministrazione Biden citando dati macroeconomici ignoti ai più e sminuendo il malessere degli americani con argomenti del tipo “va meglio qui che in altri Paesi”. Simili approcci sono stati usati nel tentativo di screditare l’opposizione. Il continuo appello alla minaccia che Trump rappresenta per la democrazia americana è un tema che non dovrebbe risultare troppo ipotetico, specialmente dopo gli eventi del 6 gennaio 2021, ma invece di fare appello ai rischi reali per le vite di milioni di cittadini molti democratici hanno continuato a citare i padri fondatori della repubblica e a usare un linguaggio costituzionale esageratamente vago e inusuale. Allo stesso modo, come ha notato il giornalista John Stoher, agitare lo spauracchio del Project 2025 non ha prodotto i risultati sperati da un punto di vista elettorale per il semplice fatto che pochissimi sapevano cosa fosse. Sbandierare il pericolo di un progetto politico che, per quanto ultraconservatore e antidemocratico, resta ancora oggi principalmente teorico, si è rivelato solo l’ennesimo esercizio autoreferenziale in cui i democratici parlavano solo con la propria base.
Va constatato come il rifiuto dell’approccio grossolano e superficiale di Trump abbia portato i democratici a dare sempre più risalto alla propria competenza tecnica, proponendosi come gli uomini e le donne migliori da eleggere ma aumentando la difficoltà degli americani di riconoscersi in loro. In un contesto in cui il termine “populismo” è diventato una brutta parola per i politici liberali, sembra si sia persa la percezione che il compito del politico è anche quello di saper vendere delle prospettive al proprio elettorato, di coinvolgere oltre che convincere. In questo senso, i democratici rischiano di aver perso il controllo della narrativa nazionale, risultando criptici, strani e arroganti agli occhi degli americani.
Esiste, quindi un problema comunicativo che i democratici dovranno risolvere per provare a risollevare le loro probabilità di ottenere risultati alle urne. Sullo sfondo, tuttavia, si staglia una crisi strategica ben più sostanziale, quella di un partito che, nel voler creare coesione contro un avversario politico ben definito, ha perso quasi interamente la propria identità. La sfida di creare un campo largo di opposizione a Donald Trump è stata vinta nelle presidenziali del 2020, ma nel lungo periodo l’assenza di una progettualità politica chiara ha causato frizioni interne più che un consenso trasversale. Un esempio può essere l’atteggiamento ambiguo mantenuto da Kamala Harris nei confronti della guerra in atto a Gaza. Nel non voler alienarsi il voto né delle comunità ebraiche né di quelle arabe, l’ex vicepresidente si è arroccata su una posizione intermedia e piuttosto contraddittoria, scontentando entrambe le fazioni e perdendo voti cruciali in Stati chiave.
Più in generale, la scommessa di tenere insieme tante visioni politiche diverse senza sposarne pienamente nessuna potrebbe aver contribuito alla disaffezione nei confronti del Partito Democratico. Mentre Trump è riuscito a crearsi una base non solo numerosa ma anche politicamente molto attiva, è difficile riscontrare la stessa passione dall’altra parte dello spettro politico, dove anche tra i più giovani regna la sfiducia verso una classe dirigente che rifiuta di prendere una direzione chiara e netta.
Sono temi interessanti e che aprono la porta a svolte promettenti, ma il momento di agire per i democratici è adesso. L’approccio aggressivo di Trump al suo secondo mandato sta rapidamente stravolgendo l’ordine politico americano, e di tempo per adattarsi ce n’è poco. Per sopravvivere, l’opposizione dovrà ricostruire il proprio modo di raccontarsi e iniziare a costruire un’alternativa credibile agli Stati Uniti immaginati dal magnate newyorkese. Abbandonare le parole magiche e rimettere al centro la sostanza di un progetto politico sarà necessario per tornare a essere riconoscibili, oltre che comprensibili.