Le donne che amano il trumpismo
La fascinazione femminile per Donald Trump è cresciuta dal 2016 a oggi. Potrebbe essere la chiave per la leadership repubblicana in vista delle Midterm di novembre.
Rileggendo i Federalist Papers, un testo ancora di grande attualità, si scopre che i padri fondatori come James Madison non si facevano illusioni sulla separazione dei poteri tra legislativo, esecutivo e giudiziario. Si trattava di un meccanismo che non poteva essere taumaturgico se si considerava naturale la propensione al conflitto delle idee e degli interessi nella società, specie se democratica.
Non ci si aspettava che da quel concerto di parti emergesse un sistema armonico o idilliaco. Parafrasando Churchill, la democrazia può essere «sangue, sudore e lacrime», ma ne vale la pena. Tuttavia, dall’altro lato, Madison forse non sospettava quanto accaduto oltre duecento anni dopo, il 6 gennaio del 2021: un assalto al potere legislativo favorito dal potere esecutivo.
A partire da allora, Trump ha subito un altro impeachment, per il quale è stato nuovamente assolto, è stato estromesso dai social, ma non ha smesso di influenzare il GOP e, gira voce, che potrebbe ritornare nel 2024.
Uno dei temi che ha caratterizzato la sua esperienza politica è stato il suo rapporto con il femminile che qui si può delineare su tre piani:
sul piano personale e comunicativo;
rispetto alla leadership nel Partito Repubblicano;
sul piano elettorale.
La polarizzazione politica degli ultimi anni sta abituando da un lato alla radicalizzazione delle opinioni, in combinato disposto alla semplificazione populista tra pro e contro, traslata con più facilità in un sistema politico bipartitico come quello statunitense.
Il prodotto che ne deriva è una società composta da persone che percepiscono la realtà in maniera diametralmente opposta, talvolta con risultati sorprendenti come nell’analisi sondaggistica fatta dal Pew Research Center che chiedeva agli elettori dei due schieramenti se fossero d’accordo o meno con l’affermazione: «Le donne ancora oggi affrontano significativi ostacoli che rendono loro più difficile farsi strada rispetto agli uomini».
Gli elettori democratici sono d’accordo per il 79%, i repubblicani solo per il 26%. In generale, l’elettorato di centrodestra tende a supportare meglio la proposta politica del suo schieramento poiché predilige il risultato rispetto al percorso. Donald Trump è entrato gradualmente in questa forma mentis repubblicana, riuscendo a occupare un campo che oggi fa fatica a immaginarsi senza di lui e senza la sua leadership.
L’adesione femminile ad un progetto politico che vedeva le donne sostanzialmente escluse non è di facile lettura, poiché riguarda dimensioni strutturali come lo zeitgeist rispetto alle riflessioni sul genere, o micro-dimensioni come quella psicologica delle singole elettrici.
Più consuetudinario, invece, soprattutto per un uomo che ha fatto della politica personalistica e clientelare la cifra della sua presidenza – non esitando ad appuntare mezzo parentado –, l’avere attorno a sé delle figure servili, adulatori e cortigiani, talvolta alla ricerca di un posto al sole, talvolta dei veri e propri fanatici. Insomma: dei fedelissimi.
Suscita invece maggiore clamore che tra questi fedelissimi ci siano delle donne se l’uomo in questione, il Presidente degli Stati Uniti, è noto, se non proprio per una misoginia latente, certamente per una propensione verso quella che con un eufemismo si potrebbe definire «una visione tradizionale del ruolo della donna nella società», senza citare episodi più lampanti come lo scadente «Grab ‘em by the pussy».
Prima trumpiane, poi repubblicane
Tra queste fedelissime ci sono la deputata Marjorie Taylor Greene, di recente bannata da Twitter, Kelli Ward, tra le maggiori sostenitrici della teoria dell’elezione rubata e la deputata Elise Stefanik, la pianificatrice della più recente adesione femminile al trumpismo. Avvicinandosi alle elezioni di Midterm, infatti, investire sulle donne è per Trump una necessità strategica, per dimostrare di essere ancora a galla, l’unica leadership possibile per i repubblicani.
Dopo la “scoppola” del 2018, quando anche grazie al movimento MeToo i democratici portarono molte più donne tra gli eletti in parlamento, delle centodue totali solo tredici erano repubblicane. Da quel momento è stato chiaro che si dovesse lavorare duramente su quel target, cogliendo l’opportunità per Trump di occupare quel segmento con fedelissime con cui poter vantare un debito personale in caso di successo.
Già la strada del femminile l’aveva ripagato nella nomina di donne nei ruoli comunicativi chiave come quello della portavoce, prima ricoperto da Sarah Huckabee Sanders, poi da Stephanie Grisham e infine da Kayleigh McEnany. La strategia sembra averlo ripagato, per ora.
Facendo un passo indietro al 2016, l’anno in cui Trump fu eletto battendo proprio una donna, Hillary Clinton, il consenso elettorale ottenuto da Trump tra le donne era del 39% rispetto al 54% dell’avversaria. Contro ogni pronostico liberal, a novembre del 2020 Trump ottenne un significativo incremento arrivando tra le donne al 44% contro il 55% di Biden.
In un momento di stanchezza del coinvolgimento femminile nella governance democratica, dove anche la leadership di Kamala Harris sembra aver deluso, Trump potrebbe trovare in questo ambito la chiave del suo successo.
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