L’amore del Gop per i confederati, dalla Southern Strategy a Trump
La storia recente del Partito Repubblicano è stata caratterizzata da un inesorabile riallineamento verso posizioni sempre più radicali e prossime a quelle dell’elettorato segregazionista
Nel Partito Repubblicano americano, una strategia spesso utilizzata per respingere le accuse di razzismo o di collusione con il suprematismo bianco consiste nel ricordare che il GOP è stato, prima di tutto, il partito di Abraham Lincoln, il Presidente che nel 1865 abolì la schiavitù negli Stati Uniti. Donald Trump, l'ex Presidente e probabile candidato del GOP alle prossime elezioni, sembra condividere questa opinione—nonostante la sua retorica spesso indichi il contrario. L'accusa di vicinanza a gruppi suprematisti bianchi o neo-confederati non è nuova per i membri del Partito Repubblicano. Casi recenti includono l’endorsement del Senatore dell'Alabama Tommy Tuberville, che ha definito i nazionalisti bianchi che servono nell'esercito come veri "Americani", o la partecipazione dei due membri della Camera dei Rappresentanti, Marjorie Taylor Greene e Paul Gosar, alla convention America First Political Action Conference, che riunisce islamofobi, nativisti e altri appartenenti all'estrema destra ed è organizzata dal prominente negazionista dell'Olocausto Nick Fuentes. Trump stesso ha avuto un incontro l’anno scorso con Fuentes presso il suo resort di Mar-a-Lago.
Questa tolleranza del Partito Repubblicano verso il suprematismo bianco non è arrivata con Trump nel 2016, ma affonda le sue radici sia nel tentativo dei Repubblicani di conquistare il voto dei bianchi negli stati segregazionisti del Sud, sia nel revisionismo storico promosso dagli eredi del movimento Confederato dopo la sconfitta del 1865. Alla fine della guerra civile, il Sud aveva inizialmente trovato supporto politico nel Partito Democratico, il quale, a differenza della sua attuale incarnazione, sosteneva principalmente una maggiore autonomia degli stati e una esplicita separazione della società tra bianchi e neri. Le cose iniziarono a cambiare nel XX secolo grazie a un riallineamento dei partiti. Il GOP, che all'epoca aveva una solida base nel nord industriale, si stava legando sempre di più agli interessi delle grandi corporazioni, abbandonando la strada dei diritti civili. I Democratici, invece, stavano spostarono la loro attenzione verso un maggiore intervento dello stato nel welfare.
Il cambiamento nelle intenzioni di voto della popolazione afroamericana, che statisticamente aveva meno accesso a servizi e opportunità rispetto ai bianchi, fu quasi immediato: nel 1932, Franklin D. Roosevelt vinse le elezioni con solo il 21% del voto afroamericano, ma nel 1936 quella stessa percentuale era già salita al 76%. Contemporaneamente, il consenso dell’elettorato segregazionista bianco nel Sud verso i Democratici cominciò a calare, spingendo i Repubblicani a iniziare un graduale corteggiamento di quella base. Parafrasando il futuro candidato Repubblicano Barry Goldwater nel 1961, il GOP doveva, sostanzialmente, «Andare a caccia dove ci sono le anatre». Questo tentativo di sfruttare il suprematismo bianco ancora presente nel Sud del paese per un tornaconto elettorale da parte dei conservatori divenne poi noto come "Southern Strategy".
Da allora, la vicinanza al suprematismo bianco è stata spesso messa in discussione da parte di diversi esponenti del GOP stesso: nel 1996, ad esempio, durante il suo discorso di accettazione della nomination come candidato Repubblicano alla presidenza, Bob Dole esortò coloro che non credevano che il partito fosse "[aperto] ai cittadini di ogni razza e religione" a lasciare la sala. Nel 2005, il presidente del Comitato Nazionale Repubblicano, Ken Mehlman, arrivò anche ad ammettere di fronte alla NAACP (l'Associazione Nazionale per la Promozione delle Persone di Colore) come il partito avesse intenzionalmente corteggiato i razzisti delusi dalla svolta liberale dei Democratici attraverso la Southern Strategy—sostenendo, tuttavia, come tale tendenza fosse ormai quanto di più lontano dalla linea del Partito. Quale che fosse la reale opinione dei membri del GOP, questa strategia ambigua è perdurata nel tempo, allontanando la classe media moderata e avvicinando gli eredi del movimento segregazionista, ancora oggi attivo.
Nonostante, infatti, la sconfitta nella Guerra Civile, il movimento Confederato non è mai davvero scomparso dalla scena politica americana, ma si è evoluto negli anni attraverso il culto, quasi religioso, del mito della "Lost Cause". Questo fenomeno si caratterizza in una sorta di storia alternativa dell'America post-bellica, in cui la causa dei Confederati, pur avendo perso militarmente, è sopravvissuta in virtù di una presunta superiorità morale, una giusta causa per quanto fallimentare. Nel corso degli anni, gli eredi di questo movimento hanno perseguito campagne di soppressione del voto in contee a maggioranza nera, eletto ex membri del Ku Klux Klan e dedicato statue agli eroi della mitologia della Lost Cause sotto il falso pretesto dell'eredità storica. Oggi, sotto l'egida di Trump, il movimento neo-confederato trova una rappresentanza aperta e autentica, soprattutto rispetto alla legittimazione più opportunistica fornita dal Partito Repubblicano in passato. Perfino la sconfitta elettorale del 2020 si è trasformata in un mito affine alla Lost Cause—quello delle presunte elezioni rubate, culminate nell'assalto al Campidoglio il 6 gennaio 2021 e della teoria complottista di QAnon. Secondo lo storico di Yale David Blight, la creazione di questo mito postmoderno basato su una teoria del complotto non sorprende, in quanto «le Lost Cause tendono a generare grandi mitologie, che poi vengono spiegate attraverso teorie complottiste». Trump stesso, in questa narrazione, viene elevato a personaggio messianico, quasi in modo analogo a come Robert E. Lee era diventato per la Lost Cause il simbolo stesso della nobile società che era perita a seguito della guerra civile. Come in passato, anche questa è un’ossessione quasi religiosa.
Le somiglianze non finiscono qui. Sempre secondo Blight, il Partito Repubblicano stesso si è trasformato oggi in una sorta di nuova Confederazione. Come nel XIX secolo, i Repubblicani sono oggi un gruppo minoritario che sta sostanzialmente manipolando il sistema per preservare un'epoca che non esiste più—una in cui avevano molto più potere rispetto al presente. Come la Confederazione, i Repubblicani sono nettamente in minoranza a livello nazionale e tuttavia hanno vinto la presidenza due volte senza il voto popolare, nel 2000 e nel 2016. Un tempo in grado di vincere fino al 60% dell’elettorato, oggi i conservatori devono fare affidamento principalmente su artifici istituzionali, come il premio di maggioranza dell’Electoral College—a sua volta pensato per dare potere agli elettori bianchi del sud. Simili condizioni gli permettono inoltre di mantenere il controllo del Senato e di avere una netta maggioranza nella Corte Suprema. Questa nuova Confederazione è un fenomeno intensamente rurale e non si ferma necessariamente al semplice rifiuto del riconoscimento dei diritti paritari delle persone di colore. Respinge anche l’idea stessa di una società multiculturale, del matrimonio egualitario, del femminismo e del pensiero liberale in generale. Come la Confederazione di ieri, è un movimento divisivo e antidemocratico e profondamente contrario al cambiamento stesso. Nonostante tuttavia la situazione sembri cupa al momento, è bene sottolineare come non tutti i Repubblicani abbiano abbracciato la nuova direzione del partito. Pertanto, potrebbe ancora esserci speranza per un movimento conservatore americano che non si basi unicamente su idee reazionarie. Tuttavia, è ancora troppo presto per determinare se l’attuale situazione porterà a una nuova era di progresso per le libertà civili, come negli anni Sessanta, o se comporterà ulteriori divisioni.