L'America avrà ancora una volta un Presidente anziano
Il probabile remake della sfida tra Joe Biden e Donald Trump, che a questo giro avranno entrambi più di settantotto anni, mette sotto i riflettori le figure secondarie, i candidati vice
Joe Biden, classe 1942, e Donald Trump, classe 1946, sono i principali sfidanti per le elezioni presidenziali dell’anno prossimo. Le primarie Repubblicane procedono spedite e Trump ha accumulato un distacco virtualmente irraggiungibile per gli sfidanti, in primis il molto più giovane Governatore della Florida Ron DeSantis. Dal lato dei Democratici squadra che vince non si cambia: nessun aitante cavaliere bianco appare all’orizzonte e Joe Biden sembra l’unica alternativa capace di sconfiggere Trump.
Tuttavia, sempre più americani fanno presente che Joe Biden sarebbe troppo vecchio per un secondo mandato da Presidente degli Stati Uniti. A ottant’anni suonati deve fare i conti con una stampa sempre pronta a mettere in prima pagina ogni sua gaffe. Tra inciampate, vuoti di memoria e frasi fuori contesto, è innegabile che alcuni episodi hanno attirato l’attenzione, tanto che i suoi avversari l’hanno soprannominato Sleepy Joe, Joe il sonnacchioso.
Ageism o meno, il lavoro del Presidente richiede una discreta prestanza, sia fisica che intellettuale. Secondo un’indagine della Associated Press-NORC Center for Public Affairs Research, quasi otto americani su dieci sollevano preoccupazioni in merito all’età di Biden per un secondo mandato, cosa che però non è altrettanto sentita per Donald Trump.
L’obiettivo dei Repubblicani – tutt’altro che occulto – è quello di far passare questi scivoloni per défaillance dovute all’età e agli annessi problemi cognitivi. Tuttavia, chi conosce da tempo il Presidente sa che la sua reputazione di gaffe machine è di lungo corso, a prescindere dall’anagrafe.
La verità è che quella che si prospetta è una campagna elettorale tra due persone molto avanti con gli anni, la cui differenza d’età è esattamente quella di un mandato da Presidente, ovvero quattro anni. Questo significa che Trump, se vincesse, avrebbe la stessa età di Biden all’inizio del suo primo mandato, pur avendolo attaccato al tempo in maniera molto aspra proprio per l’età che aveva.
Nonostante questo, il tycoon continua a pungolare il Presidente per lo stesso motivo. A quanto pare, questa obiezione evolve con l’avanzare dell’età di chi la pronuncia, rendendo implicitamente falso quanto affermato in precedenza. Questa evidente incongruenza, tuttavia, sembra non importare ai supporter di Trump, la cui base si allarga di giorno in giorno.
Trump, come suo solito, gioca in contropiede rispetto ai suoi avversari interni. Mentre i primaristi Repubblicani prendono una deriva sempre più estremista per sorpassarlo a destra, l’ex Presidente spiazza tutti e si posiziona in maniera moderata (relativamente rispetto ai contendenti conservatori, non certo rispetto a Joe Biden). Lo fa aprendo su determinate tematiche, come ad esempio l’aborto, che i suoi principali competitor vorrebbero bandire a livello federale. Trump, invece, apre a eccezioni come stupri e parti a rischio vita per la madre.
Con ogni probabilità e visto il grande vantaggio sugli sfidanti interni, il tycoon punta già a posizionarsi sull’elettorato moderato, che sarà l’ago della bilancia durante le presidenziali vere e proprie. Con buona pace del voto evangelico, cruciale invece in caso di primarie contendibili.
Sta di fatto che anche Donald Trump non è esente dalle conseguenze dell'età. Oltre allo stile di vita sedentario e alla passione per il junk food, fin dai tempi del suo primo mandato Presidenziale vennero a galla le sue difficoltà di concentrazione. Tanto che gli attendenti dovevano calibrare molto bene le presentazioni, facendole durare quanto la sua soglia d’attenzione – ovvero una manciata di minuti – stando ben attenti a ripetere in continuazione il suo nome per tenerlo agganciato e presentadogli molto materiale visivo, più che testi scritti. In alcuni momenti la situazione è degenerata, tanto che Trump arrivò addirittura a rifiutarsi di leggere un documento importante come l’Intelligence Briefing.
Il problema anagrafico è dunque da entrambi i lati della barricata.
Per questo motivo, mai come nelle prossime elezioni il ruolo dei candidati Vicepresidente sarà cruciale: dopotutto, nulla si può dare per scontato con persone di età così avanzata e nella peggiore delle ipotesi sarebbe infatti il – o, più probabilmente, la – Vicepresidente ad assumere la carica.
Dati i sondaggi, soprattutto per Biden, il nome che sceglierà sarà fondamentale per la sua campagna.
La sua attuale Vice e probabile futura co-candidata è Kamala Harris. Da una parte Harris rappresenta il candidato dem ideale: donna, di origini sia afro-americane che asio-americane e molto più giovane del Presidente, potrebbe portare a casa molti primati già solo per questa scarna descrizione, se subentrasse alla Presidenza in caso di decesso di Joe Biden.
Sta di fatto che c’è il rischio concreto che la sua scelta si riveli una palla al piede, più che una risorsa.
Harris non ha brillato durante il mandato in corso. Fa parlare poco di sé e non è stata in grado di rappresentare una valida alternativa. Tanto che un’indagine di YouGov per CBS News mostra che ben il 42% degli intervistati ritiene che il lavoro della Harris abbia inficiato la percezione globale dell’amministrazione Biden. Mentre solo il 41% di chi vota democratico ha invece ritenuto che il suo contributo sia stato migliorativo.
Dall’altro lato della barricata va sempre considerata l’imprevedibilità di Trump. Dopo la pessima esperienza avuta con Mike Pence – che ora corre contro di lui alle primarie – l’ex Presidente deve guardarsi intorno. Nella nebbia di guerra che circonda la sua attuale campagna, un nome è forse più probabile di altri: Kristi Noem.
Noem è la Governatrice del South Dakota e di recente ha dato il suo endorsment a Donald Trump, in occasione della sua visita nello stato. Dopotutto, ha un curriculum perfetto per il GOP a trazione Trump. Contraria a ogni legislazione che permettesse di contenere la pandemia da coronavirus, ha tenuto tutto aperto nel suo stato, in linea con la politica dell’ex Presidente. Altro aneddoto che racconta bene il personaggio è quando un'agenzia statale negò alla figlia la richiesta di diventare perito immobiliare. Noem convocò il capo dell'agenzia, con il risultato che la domanda della figlia fu approvata, mentre al direttore dell'agenzia fu chiesto di dimettersi.
Una gestione della cosa pubblica che di certo l’avvicina a un ex Presidente come Trump, che fu in grado di portare sull’orlo del baratro gli Stati Uniti fomentando l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021 pur di mantenere la presa sul potere esecutivo e su cui proprio l’ex Vicepresidente Mike Pence ora gioca un ruolo chiave ai danni di Trump dal punto di vista processuale.
Nonostante un profilo che può apparire estremo a un osservatore esterno, nell’economia di un GOP di estrema destra le posizioni reaganiane di Noem aiuterebbero Trump ha tentare il recupero dei numerosi conservatori moderati, inorriditi proprio dall’attacco al Campidoglio. La priorità di Trump, infatti, è distogliere l’attenzione dai numerosi capi d’imputazione a suo carico, le cui spese legali stanno già dissanguando le sue risorse in vista delle presidenziali.
Potrebbero ancora entrare in gioco outsider pronti a sparigliare le carte. Tuttavia, oggi la rivincita Biden vs. Trump appare come l’opzione di gran lunga più probabile, e mai come in questo caso bisognerà stare attenti a chi sta un passo indietro, aspettando con pazienza che la natura faccia il suo corso.