L'abolizionismo poco apprezzato che è tornato di moda
Già i padri fondatori si erano espressi contro la pena di morte. La storia degli Stati Uniti, però, ha portato il popolo americano a supportare l’esecuzione capitale come questione fondamentale
Già dalle origini, negli Stati Uniti d’America è stata forte la voce di chi voleva abolire la pena di morte. Nella mente brillante dei padri fondatori e dei primi Presidenti (Franklin, Jefferson, Adams), la volontà di limitare drasticamente questa sentenza era in primissimo piano. Nel 1764 è Cesare Beccaria a mettere su carta la tesi abolizionista, contenuta nel suo Dei delitti e delle pene. La sua influenza arriverà presto oltreoceano, fino ai cuori di personaggi illustri.
Grazie proprio a Thomas Jefferson, nel 1794 la Pennsylvania fu il primo Stato a limitare la pena di morte per il solo omicidio di primo grado. Da lì iniziò un percorso di civiltà che ha portato Michigan, Wisconsin e Rhode Island alla cessazione definitiva. Nella seconda metà del XX secolo, però, l’aumento della criminalità e del tasso di omicidi comportò l’aumento dei consensi nei confronti dell’esecuzione capitale. Essa era vista come lo strumento più rapido ed efficace per mantenere ordine e tranquillità nelle città americane. Un repentino capovolgimento d’opinione che riguarderà anche i decenni successivi della storia americana.
Un probabile punto di svolta definitivo sarebbe potuto avvenire nel 1972. Proprio nel giugno di quell’anno, la Corte Suprema degli Stati Uniti sancì che l’imposizione arbitraria della pena di morte violava i principi dell’VIII emendamento e del XIV emendamento. Con una maggioranza minima (5 a 4) il caso Furman v. Georgia mise di fatto fine alle esecuzioni per quattro anni. Il cardine della sentenza era proprio un passaggio dell’VIII emendamento, che recita che “non saranno inflitte punizioni crudeli e inusuali”. La maggioranza dei giudici, però, non riuscì a emettere una motivazione unitaria per la sentenza. Da quel momento in poi, cambierà drasticamente la coscienza del popolo americano.
Gli anni dell’abolizione totale finirono presto a causa della situazione sociale incandescente. Gli anni Sessanta erano stati macchiati dal sangue di personaggi politici illustri (i fratelli Kennedy e Martin Luther King), mentre nel decennio successivo aumentò drasticamente il numero di delitti e disordini nelle grandi città (su tutte Los Angeles, Detroit, Washington). Con l’apporto dei mass media, il tema della sicurezza e della deterrenza si insinuò nelle teste dei cittadini statunitensi. In poco tempo, l’opinione pubblica era passata a sostenere la pena di morte. La gente chiedeva di essere protetta e considerava le forze dell’ordine poco utili a tal fine. Ancora una volta, dunque, ci si rifugiò nella massima pena, convinti che potesse disincentivare crimini e criminali.
Negli anni Ottanta si imboccò una direzione chiara. In particolar modo, nelle elezioni presidenziali del 1988 si arrivò a considerare la pena di morte se non come un pilastro della società americana, quantomeno come elemento portante della stessa. Un tema sul quale ci sarebbe stato poco da discutere perché accettato da tutti. Nello scontro tra Bush Sr. (repubblicano) e Dukakis (democratico), il primo impostò una grande campagna denigratoria contro l’avversario. Fu fatale il dibattito tra i due contendenti per la Casa Bianca quando il giornalista Bernard Shaw chiese al governatore Dukakis: «Se sua moglie fosse violentata e uccisa, lei sosterrebbe una pena capitale irrevocabile per l’assassino?». Dukakis, freddo e distaccato, rispose: «No, Bernard. E penso che tu sappia che mi sono opposto alla pena di morte per tutta la mia vita». Inutile dire che per il candidato democratico ci fu un crollo di popolarità nei sondaggi, sia per l’assenza di emozioni su un tema così delicato sia per la chiara posizione abolizionista.
Questo sentimento comune a favore dell’esecuzione capitale si è espresso negli anni Novanta. Il decennio con il maggior numero di attuazioni effettive. Lo stesso Partito Democratico, nell’immagine e nelle parole di Bill Clinton, si spostò su una posizione favorevole. Il Presidente sfruttò la sua posizione sull’argomento per guadagnare voti alla sua prima elezione e dopo le pessime midterm successive.
Gli anni Duemila sono quelli che hanno portato al rallentamento delle esecuzioni e alla loro abolizione in molti Stati. Se una decina sono stati in grado di abolirla definitivamente, altri sono riusciti a sospenderla per mezzo di una moratoria. New York (2007), New Mexico (2009), Illinois (2011), Connecticut (2012), Maryland (2013), Delaware (2016), Washington (2018), New Hampshire (2019), Colorado (2020), Virginia (2021) sono i dieci Stati che hanno abolito la pena capitale, mentre altri sei l’hanno sospesa: Arizona, California, Montana, Ohio, Oregon, Pennsylvania, Tennessee. Sempre in questo periodo è stata presa una decisione importantissima: nel marzo del 2005 è stata definita incostituzionale la pena di morte per i minorenni all’epoca del reato.
Un sondaggio Gallup (novembre 2024) mostra come il 53 per cento degli americani sia favorevole alla pena di morte, percentuale che scende al 12 per cento tra i più giovani. Come detto, è diventato un tema fondamentale per gli abitanti degli Stati Uniti, ben lontani dalle idee illuministe e illuminate dei loro padri fondatori. Il fatto che negli ultimi anni molti Stati si stiano muovendo verso la sospensione o l’abolizione fa ben sperare. Ad oggi nella maggioranza degli Stati l’esecuzione capitale non viene più applicata. Chissà cosa ne pensano Franklin, Jefferson e Adams…