La svolta verde dell'esercito USA
Il Dipartimento dell’esercito degli Stati Uniti svela una nuova strategia per contrastare il cambiamento climatico.
Se la crisi climatica debba essere messa da parte di fronte alla più imminente minaccia dell’attuale crisi ucraina è di per sé una domanda inopportuna. Che sia stata rivolta per davvero all’attuale amministrazione statunitense da un giornalista di una delle principali emittenti del Paese, è un altro paio di maniche.
È quanto è infatti stato avanzato durante la conferenza stampa di martedì 22 febbraio da Peter Doocy, giornalista di Fox News, noto per cercare solitamente di mettere in difficoltà l’attuale Presidente con domande scomode e spesso inaspettate. La risposta della portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, come ci si poteva attendere, è stata netta: il cambiamento climatico rimane uno dei problemi cruciali per la sicurezza nazionale.
Una minaccia che mette d’accordo anche il mondo militare, dopo che lo scorso ottobre il Dipartimento della sicurezza interna (DHS), il Dipartimento della difesa (DoD) e il Consiglio per la sicurezza nazionale (NSC) hanno riconosciuto i rischi legati alla crisi ambientale, a seguito della pubblicazione di diversi report sugli effetti del cambiamento climatico sulla sicurezza interna. Nello stesso giorno, il Financial Stability Oversight Council – dunque la comunità dei regolatori finanziari statunitensi – ha riconosciuto per la prima volta il cambiamento climatico come una minaccia concreta per l’economia americana. Ipotizzare il contrario, dunque, finirebbe per generare solo confusione nell’opinione pubblica.
Piuttosto bisognerebbe chiedersi come sarà realmente possibile coniugare l’impegno assunto dagli Stati Uniti per ridurre le proprie emissioni con gli eventuali conflitti che il Paese potrebbe trovarsi ad affrontare nei prossimi anni. L’escalation militare cui stiamo assistendo in queste ore spiega l’urgenza del quesito. In un Paese che non ha mai accennato a voler rinunciare a destinare gran parte del proprio bilancio annuale alla spesa militare, come si potrà ridurre l’impatto ambientale del settore militare?
La crisi ucraina non può rappresentare un primo banco di prova per l’implementazione di sistemi, macchinari e armi più “sostenibili”, perché chiaramente le tempistiche non lo consentono. Eppure, lo scenario attuale e il processo di elettrificazione globale cui stiamo assistendo, ci offrono l’occasione per immaginare come gli eserciti potranno ridurre le proprie emissioni in futuro. All’inizio del mese di febbraio, il Dipartimento dell’esercito degli Stati Uniti d’America ha pubblicato la prima strategia climatica dell’esercito statunitense, con l’obiettivo primario di azzerare le proprie emissioni nette di gas serra entro il 2050 e di dimezzarle entro il 2030. La strategia si basa su un doppio binario: la tutela dei militari nelle situazioni di maggior degrado ambientale e la riduzione dell’impatto del settore stesso sull’ambiente, sia durante le operazioni che per quanto concerne le strutture amministrative e le catene di approvvigionamento.
Attualmente l’esercito ha all’attivo 950 progetti per l’utilizzo di energia rinnovabile che forniscono 480 megawatt di energia alle strutture militari, mentre sono in cantiere 25 nuovi progetti per sviluppare, entro il 2035, una nuova flotta di mezzi militari elettrici che implementino la tecnologia microgrid per essere totalmente indipendenti.
Gli effetti del cambiamento climatico negli ultimi anni si sono riversati anche sulle basi militari sparse per il Paese, anch’esse esposte ai fenomeni climatici estremi come inondazioni, incendi e innalzamento del livello del mare. Basti pensare alla base navale di Coronado, che in più occasioni è stata colpita da forti e improvvise inondazioni a causa di tempeste tropicali, e soprattutto nel periodo tra il 1997 e il 1998 che ha segnato il passaggio di El Niño.
Diversi siti del Dipartimento della difesa, come la Joint Base Anacostia Bolling e la Washington Navy Yard (entrambe nello Stato di Washington) hanno periodicamente sperimentato condizioni ‘estreme’ e ‘gravi’ di siccità dal 2002 al 2018. Le installazioni dell'esercito a Camp Roberts (San Miguel, California), e a White Sands Missile Range in New Mexico, sono state catalogate come vulnerabili alla desertificazione attuale e futura, un fenomeno che accelera l'erosione e aumenta la fragilità del suolo, limitando dunque le possibilità di addestramento e le esercitazioni.
Senza dunque dimenticare la sua missione primaria – la difesa del territorio statunitense – l’esercito, si legge nelle conclusioni del report, adotterà una strategia “diversificata e ampliata per adattarsi alla grandezza delle odierne minacce del cambiamento climatico”. Se la strategia si dimostrerà adatta al nostro quesito iniziale, lo dirà solo il tempo. Tolto l’impatto ambientale, resterà tuttavia quello sulle vite umane, che senza un cambio di paradigma a livello globale, continuerà a costituire una minaccia costante all’evoluzione umana.