La pesca miracolosa in mezzo all'urbanizzazione selvaggia
Una tradizione turistica basata sulla pesca alla trota, non in un remoto torrente di montagna ma nelle vicinanze del campus della Penn State University, a Bethlehem in Pennsylvania
L’acqua avanza lentamente, senza far rumore. Così trasparente che si contano i ciottoli sul fondo. Sulla sponda opposta spunta un capannone in rovina. Poco più sopra, una ciminiera scrostata, enorme, chiude l’orizzonte. Si respira un’aria apocalittica, da distopia imminente. Ma il pescatore, acquattato sulla riva, non ha tempo per questi pensieri. Pensa solo alla zona calda, il rigiro d’acqua che si crea tra la sponda e il centro della corrente. Dove l’ecosistema fluviale porta in dono le sue prelibatezze — larve, insetti, cavallette — e le trote si appostano per ghermirle. Dopo vari tentativi a vuoto, la mosca finta, col piccolo amo celato sotto ai peli di cervo, atterra nel punto giusto. Tempo due secondi, e una bocca grande come una ciabatta sbuca dal nulla, risucchiandola in un millisecondo. Il tempo di una breve lotta, qualche colpo di coda disperato, un fuga finale per rifugiarsi sotto a un tronco. E poi il pesce, senza più forze, finisce nel retino del pescatore. E’ una trota fario di quasi mezzo metro —una brown trout, come direbbero qui. Una creatura possente, selvatica. Con le inconfondibili pinne giallastre, e un’esplosione di punti neri e rossi lungo il corpo. Una preda da sogno per ogni pescatore di acqua dolce.
Nella cultura americana, pesci del genere evocano montagne remote, orizzonti sconfinati. Colorado, Utah, Wyoming, Idaho. Oppure i cieli del Montana, che fanno da sfondo a In mezzo scorre il fiume, e hanno dato alla pesca alla trota un posto nella storia della letteratura. E invece siamo a Bethlehem, Pennsylvania. Nella parte finale della Lehigh Valley. Una regione densa, urbanizzata, sfruttata in ogni fazzoletto. Dove città e campagna si mescolano in un tessuto unico, indistinguibili l’una dall’altra. La valle era anticamente il regno di centrali e fonderie, che per decenni hanno prodotto l’acciaio che portavano avanti l’economia degli Stati Uniti — dai cantieri edili di Manhattan all’industria navale e bellica. Ora, dopo il collasso dell’industria pesante, rimangono le impressionanti ciminiere in disuso della Bethlehem Steel Company a fare da attrazione turistica, mentre la regione si è riscoperta hub principale per le spedizioni del mid-Atlantico, su cui i colossi della logistica hanno da tempo puntato gli occhi. Ed è proprio in questi luoghi insospettabili, così lontani dall’idea di natura selvaggia di cui si nutre la fantasia dei pescatori, che si nascondono alcuni degli angoli più propizi per catturare una trota da sogno.
Jimmy Carter e la cavalletta
Tutto ruota attorno ai limestone creek, le “risorgive calcaree”: una fitta rete di ruscelli che sgorgano da fonti sotterranee e disegnano meandri tra le campagne. Sono l’antitesi dei fiumi irruenti che scorrono sulle costa Ovest: l’acqua scivola via sottovoce, con calma imperturbabile, avanzando su un inconfondibile fondale color ocra. E’ la roccia calcarea che ai tempi veniva estratta per essere usata nelle acciaierie; ma che, se lasciata al suo posto, crea le condizioni chimiche perfette per lo sviluppo della vita sommersa. Permettendo agli invertebrati acquatici di proliferare, e alle trote, che di questi si nutrono, di raggiungere dimensioni da cartolina. E’ proprio questo ecosistema fertile, incredibilmente ricco, che regala ai pescatori la sfida di cimentarsi con prede scaltre, abituate all’uomo, e viziate dall’abbondanza di nutrimento. Servono pazienza, tenacia, prontezza nel capire di che tipo di invertebrati si stanno cibando i pesci. E il tempismo di trovarsi sulle rive durante una schiusa: il momento magico in cui migliaia di insetti emergono in contemporanea sulla superficie, e i pesci entrano in un convulso raptus predatorio, abbandonando ogni reticenza. Sono proprio i bioritmi delle schiuse — ogni specie di insetto ha un una stagionalità e un ciclo vitale particolari — a dettare gli spostamenti dei pescatori attraverso lo stato, generando un bizzarro flusso turistico che si sposta da un corso d’acqua all’altro man mano che i mesi si susseguono. Come succede con la white fly hatch, la “schiusa delle mosche bianche”. Una finestra di due settimane tra agosto e settembre in cui, nell’ora compresa tra il tramonto e il crepuscolo, sciami di farfalle pallidissime emergono dalle risorgive della contea di Cumberland, a due passi da dove venne combattuta la storica battaglia di Gettysburg. L’evento attira centinaia di pescatori: si ammassano sulle rive, gomito a gomito, una lampada da minatore in testa per contrastare il buio. Ma quello che pare una tributo a Fantozzi a caccia è in realtà un sacrificio perfettamente accettabile per godersi lo spettacolo dell’acqua che ribolle di trote assatanate. E il brivido di poterne finalmente fregare una.
Ad alimentare il mito della pesca nel Keystone State, però, non sono solo insetti e pesci. Sono anche i locali che hanno scritto pagine della storia di questo sport, plasmandone l’evoluzione. Come Ed Shenk, frequentatore del Letort Run, alle porte di Harrisburg, la capitale dello Stato. Una risorgiva stretta, trasparente, infestata di vegetazione. Difficilissima da affrontare. Dopo anni passati a osservare la microfauna lungo le rive, creò un’imitazione di cavalletta. Sarebbe diventata famosa con il nome di “Letort Hopper”, in onore alla risorgiva. Godendo di un successo tale da divenire un modello di esca usata per pescare le trote in tutto il mondo. Il trionfo gli valse un invito di Jimmy Carter a Camp David per un ciclo di lezione di costruzione di mosche. Noto per la tendenza a esprimere opinioni colorite, Shenk bollò la tecnica di lancio di Carter come “inguardabile”; eppure riuscì a fomentare ulteriormente la passione dell’allora presidente, spingendolo anche a pubblicare articoli sulle riviste specializzate. A oltre 40 anni di distanza, il Letort Run continua a essere un luogo sospeso tra leggenda e maledizione. Popolato da trote abituate a vedere imitazioni di cavalletta passare sopra la propria testa, e diventate fenomenali nell’ignorarle bellamente.
Come il football, più del football
Why would you go to California, when you can live in Central Pennsylvania? Il pescatore chiude il baule e si avvia verso il fiume. Lo aspetta l’ennesima mattinata da trascorrere sulle sponde. E’ un veterano dell’esercito. Terminato il servizio, ha deciso di trasferirsi a State College. Voleva poter pescare tutti i giorni, senza sforzare il fisico menomato. Non gli è venuto in mente posto migliore. Qui sorge il campus di Penn State University, l’università principale della Pennsylvania. Un ateneo da quasi 80mila studenti, la cui squadra di football, nei fine settimana di autunno, attira decine di migliaia di spettatori, riempiendo ogni albergo nel raggio di chilometri. E qui, esattamente nel centro dello stato, il mito della pesca a mosca raggiunge la sua incarnazione più sublime. Merito dello Spring Creek: una risorgiva lunga poco più di venti chilometri, che si fa strada tra centrali elettriche e depositi di vagoni, trasmettendo una pace dei sensi impossibile da descrivere. E dando una casa a trote mostruose che ossessionano i pescatori, tormentandone l’esistenza.
Successe così anche a Joe Humphreys, uno degli uomini simbolo della pesca in acque dolci negli Stati Uniti. Dopo un inizio di carriera come lottatore di wrestling, si laureò in scienze motorie a Penn State, prima di dedicarsi interamente ai pesci. Andò a vivere in un mulino ristrutturato sulle sponde dello Spring Creek, diventando leggenda nazionale quando catturò una trota di 34 pollici— quasi un metro — tuttora il pesce più grosso mai preso con una mosca finta in Pennsylvania. Era il 1977: l’aveva inseguita per oltre tre anni, andando a pescare di notte, e rischiando in più occasioni il divorzio. Sarebbe poi divenuto docente universitario, prendendosi cura guida del “fly fishing program” di Penn State: una branca del dipartimento di Chinesiologia dell’università, dove dal 1934 vengono offerti cicli di corsi sulla pesca a mosca, la costruzione delle mosche e l’ecologia delle risorgive. Garantiscono agli studenti crediti formativi al pari di tutti gli altri corsi. E fanno capire meglio di qualsiasi altra cosa quanto sia profonda l’impronta della pesca nella cultura di questo angolo di Stati Uniti. Al pari del football. E forse, durante le schiuse di primavera, anche un po’ di più.
Le fabbriche hanno chiuso, ma la gente è rimasta
Il momento di inizio della pesca sportiva alla trota in Pennsylvania viene convenzionalmente fatto risalire al 1770: l’anno in cui Hugh Davis, un Quacchero di Philadelphia, costruì la prima mosca finta. A oltre 250 anni, il Keystone State continua a essere meta di pellegrinaggio per i pescatori della East Coast: da quelli che vivono tra New York e Washington, e approfittano delle distanze abbordabili per scappare dalla metropoli, agli abitanti delle città locali — Allentown, Easton, Scranton, Harrisburg, Lancaster, arrivando fino a Pittsburgh— che possono avere accesso ai corsi d’acqua su base quotidiana. Una comunità variegata, demograficamente e culturalmente, ma con un terreno comune ben definito: in cui la ricerca delle trote si unisce all’apprezzamento per l’estetica singolare di questi luoghi, e alla missione di salvaguardare le acque dalle minacce ambientali.
Quella dei limestone creek è infatti anche la storia di un ecosistema incredibilmente tenace. Messo in ginocchio dai disastri che nel secolo scorso hanno colpito la Pennsylvania rurale — dai metalli pesanti agli scarichi delle miniere di carbone e antracite, ai tempi simbolo dell’economia dello stato. Ma poi in grado di rigenerarsi, permettendo alla pesca di tornare ad essere un’attività simbolo di questi territori. Merito dei vari cleanup acts promossi a livello statale e locale, ma pure dell’associazionismo che continua a unire i pescatori a vari livelli: quello dalla Pennsylvania Fish and Boat commission, l’agenzia statale che usa le quote delle licenze di pesca per ripopolare i corsi d’acqua con oltre 4 milioni di trote all’anno; e quello di associazioni nazionali come Trout Unlimited, che in Pennsylvania coordinano gli sforzi di salvaguardia ambientale. Sistemando gli alvei, facendo lobbying con i legislatori, e denunciando prontamente le catastrofi che puntualmente succedono. E così, in uno stato dalle dinamiche complesse, storicamente variegato a livello sociale e politico, la pesca continua a essere un collante formidabile, che unisce comunità e generazioni. Qui non siamo a Detroit. Le fabbriche hanno chiuso, ma la gente è rimasta dice la guida del museo nazionale dell’industria, proprio a Bethlehem. E con essa, anche le trote.