La mafia del Mito letterario americano
Prima stereotipato, poi demistificato, ma con gli anni più intimo: com’è cambiata la figura del mafioso nell’immaginario americano
La longeva presenza della mafia nell’immaginario letterario americano è legata indissolubilmente alla figura del gangster. Questo personaggio, simbolo del machismo e della lotta contro l’establishment, emerge tra gli anni Venti e Trenta del Novecento come risposta al corporate capitalism (il capitalismo delle grandi imprese), al Proibizionismo e alla Grande Depressione. Fred L. Gardaphé riporta che già a partire da film come Little Caesar (1930) e Scarface (1932) l’immaginario americano associa il gangster a particolari gruppi etnici, primi su tutti gli italoamericani, e ne cementa le caratteristiche legate alla mascolinità e alle relazioni familiari.
Tuttavia, è principalmente con il romanzo Il Padrino di Mario Puzo (1969) che la mafia in senso lato si ritaglia di diritto un posto nella narrativa americana. Sulla scia della pubblicazione di The Valachi Papers (1969, tr. it. La mela marcia, Mondadori, 1972), ovvero la biografia del malavitoso Joe Valachi, che per primo parlò pubblicamente dell’organizzazione di Cosa Nostra, Puzo sceglie la mafia come protagonista, umanizzandola, mentre l’establishment e le istituzioni recitano la parte dell’antagonista. Il suo gangster è un eroe romantico; emergono le radici della criminalità organizzata nei rapporti personali, l’importanza del capofamiglia e la necessità di preservare uno stile di vita italiano basato sulle relazioni all’interno di una società votata al culto dell’individualismo.
Puzo inaugura una lunga serie di apparizioni della mafia nella letteratura e nel cinema americano. Ricordiamo, ad esempio, The Untouchables di Brian De Palma (1987), Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese (1990), basato su Wiseguy di Nicholas Pileggi (1985, tr. it. Il delitto paga bene, Rizzoli, 1987) e Donnie Brasco di Mike Newell (1997). Queste pellicole offrono spaccati sulla mafia sia dal punto di vista di chi cerca di smantellarne le attività criminali sia dei membri delle famiglie mafiose stesse. Quale che sia la prospettiva, esse evidenziano quando messo in luce originariamente da Puzo, ossia la dimensione personale e relazionale dell’attività malavitosa e il culto della mascolinità nella mafia. Tuttavia, ne sottolineano anche gli aspetti più crudi senza tingerli di un’aura di romanticismo.
Questa operazione di demistificazione del gangster, che nella sua primissima fase era stato presentato come un eroico underdog, trova dunque le sue origini già nei tardi anni Sessanta, con le prime rappresentazioni della famiglia mafiosa come disfunzionale. Si consolida poi negli anni Novanta: DeLillo, per esempio, inserisce in Underworld (1997) la figura di un padre mafioso che abbandona la famiglia, il peggiore dei crimini. In questo periodo la narrativa gangster americana inizia a mutare radicalmente e ad aprirsi ai cambiamenti che caratterizzano tutt’oggi la società occidentale.
La figura patriarcale, l’esaltazione del machismo nel racconto di mafia difatti stridono con questioni care alla contemporaneità come la parità dei sessi o la necessità di maggiore inclusione. Si arriva dunque all’introduzione dell’ironia nella rappresentazione del gangster contemporaneo, specialmente nelle opere firmate da Giose Rimanelli (Bendetta in Guysterland, 1994) e Frank Lentricchia (The Music of the Inferno, 1999), in cui per la prima volta si destabilizza la sessualità dell’uomo mafioso introducendo dei gangster omosessuali. Nello stesso periodo Louisa Ermelino attacca la struttura patriarcale della mafia, facendo emergere il ruolo della donna – specialmente della madre – nel contesto malavitoso. Il suo The Sisters Mallone (2003) si concentra interamente su tre sorelle italoamericane inserite nella comunità irlandese della New York degli anni Trenta.
Nonostante le interessanti innovazioni in campo letterario, l’impatto maggiore sul racconto di mafia americano deve essere attribuito a The Sopranos, acclamata serie televisiva messa in onda tra il 1999 e il 2007. Come riporta Patricia Keeton, la storia di Tony Soprano stravolge il genere gangster, concentrandosi sì sulla famiglia, ma non sulle dinamiche di un padre che deve provvedere a moglie e figli, ma di un figlio che deve superare il trauma causatogli dalla madre. Partendo dal momento in cui Tony ha già ottenuto potere, successo e ricchezza, mettendo in scena un gangster che non sta più al di fuori della società, The Sopranos inoltre trasporta il boss mafioso direttamente dentro il sistema capitalista, e non in opposizione ad esso.
Con The Sopranos il genere gangster subisce la sua più completa e recente trasformazione. La visione romanticizzata del boss mafioso e della sua vita è ribaltata per mostrarne i meccanismi più intimi e personali. La narrativa gangster incontra il dramma familiare. Da qui si aprono molteplici possibilità per il racconto di mafia americano; quale che sia il suo futuro, continuerà a rispondere ai mutamenti della società statunitense.
I carteggi di Jefferson sono e rimarranno sempre gratuiti. Se vuoi sostenere il lavoro della redazione…