La grande vittoria di Donald Trump sui repubblicani riluttanti
I deputati hanno avuto varie possibilità di fermare il progetto di legge e modificarlo: la paura di ritorsioni dalla Casa Bianca li ha costretti a votare un testo in cui pochi credono davvero
“Cosa stanno aspettando i repubblicani? Il mondo MAGA non è felice, e vi costerà dei voti”. Nella notte in cui alla Camera si stavano svolgendo le ultime discussioni se votare o meno il progetto di legge voluto a gran voce dall’amministrazione Trump, One Big Beautiful Bill, come è stato battezzato dal Tycoon, a Pennsylvania Avenue Trump riversava tutta la sua stizza sul social di sua proprietà, Truth, per il dibattito che si stava protraendo. Il passaggio parlamentare della legge bandiera del secondo mandato Trump fino ad adesso, e che è stato già annunciato sarà l’ultimo provvedimento ampio e onnicomprensivo prima delle elezioni di metà mandato di novembre 2026, è stato abbastanza accidentato al Congresso. Il Presidente si era auto-imposto una data da rispettare, il 4 luglio: nel giorno dell’indipendenza del Paese, Trump voleva un grande evento in cui firmare e rendere esecutiva la legge. Ce l’ha fatta, passando sopra ogni possibile opposizione del suo stesso partito, che alla fine si è piegato.
Per capire quelli che sono stati i dibattiti interni ai repubblicani, unici a decretare il destino della legge dato il compatto diniego dei democratici, bisogna comprendere che i contrari alla legge provenivano da due schieramenti opposti, e per motivi del tutto diversi. Da un lato, i conservatori più radicali, afferenti alla corrente del Freedom Caucus, da sempre autodefiniti “fiscalmente responsabili”, e quindi contrari a ogni piano di spesa finanziato con l’aumento del debito pubblico. Il mantra di questa corrente, erede diretta del movimento Tea Party che chiedeva uno Stato più leggero in controtendenza alla grande riforma sanitaria voluta dall’allora presidente Obama nel 2010, è sempre stato chiaro: finanziare a debito, per qualsiasi tipo di spesa, è sempre sbagliato. Difficile, quindi, aderire volontariamente a un piano che aumenta il debito pubblico di circa 3 trilioni di dollari in un quinquennio e alza nuovamente il tetto massimo che questo può raggiungere, proseguendo la traiettoria degli ultimi vent’anni che ha visto gli Stati Uniti spendere sempre di più, con sempre meno coperture.
Una seconda corrente contraria, invece, proveniva dai repubblicani moderati, i più propensi a accordarsi in maniera bipartisan coi democratici, e in misura maggiore dai deputati eletti in un collegio a rischio, non saldamente sicuro per il GOP. Il loro problema, a differenza dei membri del Freedom Caucus, non stava tanto nel debito pubblico, quanto nel taglio di molti sussidi operato dall’amministrazione, soprattutto quelli legati a Medicaid, il piano di sanità pubblica per le persone sotto una certa soglia di reddito, nato nel 1965 sotto la presidenza Johnson e fino a questo momento sempre ampliato. Secondo alcune analisi riportate dalle principali testate, 12 milioni di americani rischiano di perdere la loro copertura sanitaria per via di questa legge. Data l’ampia popolarità di queste misure tra i cittadini statunitensi, che ha portato più volte lo stesso Trump a promettere che non avrebbe mai tagliato Medicaid, nonostante sia un suo obiettivo sin dal primo mandato, per questi deputati moderati la situazione si fa rischiosa. Un esempio cardine è quello di David Valadao, eletto in un collegio californiano in cui il 62 per cento dei cittadini è iscritto a Medicaid: più volte ha affermato che non avrebbe votato piani che prevedessero tagli draconiani alla sanità.
A conti fatti, entrambe le correnti, che avevano molti motivi per erigere un blocco e far valere il loro peso numerico, contrattando con la leadership repubblicana e la Casa Bianca cosa inserire o meno nella legge di bilancio, hanno abdicato a questo compito. Dopo un difficile passaggio al Senato, che ha visto due defezioni tra i repubblicani e il fondamentale voto di JD Vance in qualità di vicepresidente per rompere la parità, i deputati contrari si sono trovati tra due fuochi: allungare nuovamente i lavori, cercare di negoziare rimandando nuovamente la legge modificata al Senato, o votarla così com’era. La prima possibilità, sicuramente preferita da molti, non incontrava il favore del Presidente, che avrebbe visto la sua deadline del 4 luglio, da più di un mese propagandata sui suoi canali social, fallire miseramente. Da qui gli attacchi, sempre più diretti, agli indecisi e la minaccia di sfidarli alle primarie del Partito con un candidato trumpiano: alla fine, la Camera si è piegata, e ha votato la legge.
Un’altra vittoria del Presidente, che ha ottenuto il passaggio del provvedimento con solo quattro defezioni totali, due alla Camera e due al Senato, e ha rimarcato dove si trova oggi il potere nel Partito Repubblicano. A nulla servono le posizioni politiche intransigenti, che il Freedom Caucus tiene da sempre sul debito pubblico, o il buon senso di chi non voleva votare un provvedimento che toglie sussidi ai suoi stessi cittadini, vedendo il rischio di una sconfitta alle urne. Il Gop è oggi un partito senza differenze politiche, ma unito in una sola battaglia: fare esattamente quello che dice Trump, il più velocemente possibile, senza pensare alle possibili criticità. D’altronde, non farlo vuol dire entrare nella lista nera del Presidente: dal 2016 a oggi, l’unico che ha dimostrato di voler sfidare il Tycoon fino a questo punto è stato John McCain, che col suo voto contrario otto anni fa impedì a Trump di eliminare, già nel primo anno del suo primo mandato, i sussidi sanitari ai cittadini statunitensi.