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La Corte Suprema è sempre più polarizzata
Secondo i sondaggi le recenti – e controverse – sentenze della Corte suprema si discostano dal pensiero comune della maggioranza degli americani. Non si tratta di una casualità.
La Corte Suprema statunitense è sulla bocca di tutti. Le sentenze degli ultimi anni, prima tra tutte Dobbs v Jackson, che lo scorso anno ha di colpo eliminato il diritto federale all'aborto, stanno mettendo in luce tutte le vulnerabilità di questa importante istituzione.
Quello che dovrebbe essere il luogo più razionale e imparziale del diritto statunitense è infatti sempre più schierato dal punto di vista politico, con una maggioranza di giudici che nell'ultimo periodo si è posizionata in maniera opposta al sentire comune della maggioranza degli americani. Come vedremo, questo fenomeno non è affatto casuale, bensì il frutto di una strategia pluridecennale.
La struttura
La Corte Suprema è un'istituzione con un ruolo paragonabile a quelli delle nostre Corte Di Cassazione e Corte Costituzionale, ovvero il giudice di ultima istanza oltre il quale non è possibile appellarsi e l’organo di verifica di legittimità costituzionale.
Tuttavia, il suo lavoro si muove all'interno di un sistema di common law. A differenza del sistema a cui siamo abituati, il civil law di tradizione romana tipico dell'Europa continentale, esso dà maggiore forza alle sentenze dei giudici rispetto al codice, sentenze che creano precedenti vincolanti.
Una differenza non da poco, che rende il giudice di ultima istanza, ovvero la Corte Suprema stessa, molto influente.
Le peculiarità della Corte Suprema
La Corte Suprema ha anche altre caratteristiche particolari.
In primo luogo, la durata del mandato dei giudici. Un giudice della Corte Suprema svolge il suo mandato a vita, sebbene abbia comunque la facoltà di dimettersi e possa essere messo sotto impeachment.
Caso più unico che raro, quest'ultimo, dato che necessita del voto del 67% dei Senatori per essere efficace, raggiungibile pertanto solo con un accordo tra i Democratici e Repubblicani.
Questo mandato blindato ha lo scopo teorico di garantire ai giudici il massimo dell'indipendenza nello svolgimento del loro lavoro, essendo scollegati da eventuali conflitti di interessi che potrebbero nascere allo scopo di farsi riconfermare.
In secondo luogo, la nomina. Da tradizione anglosassone, il giudice di ultima istanza è una nomina politica. Essa è infatti in mano al Presidente in carica nel momento in cui un membro della corte viene mancare, e dev'essere confermata dal Senato. Si tratta quindi di una nomina dipendente direttamente dai poteri esecutivo e legislativo.
In terzo luogo, la fonte della sua autorità. La corte non è un organismo definito dalla Costituzione, tanto che in essa non vi è menzione di alcun potere di controllo di legittimità costituzionale. Per questo motivo il numero dei giudici che la compongono non è definito a monte, così come i requisiti per entrare a farne parte.
Le vulnerabilità della Corte Suprema
Ognuno di questi punti porta con sé delle vulnerabilità, sfruttate per pilotarne il meccanismo.
La carica vitalizia ha un'enorme controindicazione: non esiste un meccanismo di feedback al quale i giudici sono tenuti a rispondere, rendendo il loro agire potenzialmente scollegato dalla volontà del popolo.
Giudici supremi come Clarence Thomas e Samuel Alito sono al centro di scandali in merito ai regali ricevuti per centinaia di migliaia di dollari da parte di facoltosi donatori Repubblicani. Il conflitto di interessi in questo caso è evidente, tuttavia non è affatto semplice fare in modo che ne rispondano. In un sistema bipartitico l'impeachment non è affatto semplice, come abbiamo visto in precedenza.
La dipendenza dalla nomina presidenziale e dalla conferma del Senato, poi, rappresenta una commistione tra diversi poteri che agli occhi di un europeo continentale appare quantomeno rischiosa. Se il giudice di ultima istanza – che, come abbiamo visto, nel common law ha già molta forza – è scelto dalla politica, significa che l'indipendenza della magistratura non è una virtù insita nell'architettura del sistema, bensì dipende dall'alternanza dei Presidenti e dall'aleatorietà della morte dei giudici in carica.
Una vulnerabilità dimostrabile con facilità: gli ultimi quindici anni sono stati governati per oltre il 70% del tempo da Presidenti democratici (Obama, Biden), eppure Trump, nel suo unico mandato quadriennale, ha nominato ben tre giudici supremi, ovvero la metà di quelli nominati in totale nello stesso lasso di tempo. Una disparità notevole e apparentemente casuale, slegata dalla volontà espressa dal popolo attraverso il voto.
Tuttavia, non si è trattato di un caso. C'è una persona in particolare che ha mosso i fili affinché questo avvenisse, l’artefice della lunga strategia Repubblicana post Reagan: Mitch McConnell.
Il ruolo di Mitch McConnell
Per decenni il GOP ha collocato le giuste pedine nelle corti statali in tutti gli Stati Uniti, costruendo poco alla volta quel canale che avrebbe poi permesso di far fluire le questioni direttamente sul tavolo della Corte Suprema.
La ciliegina sulla torta è stata proprio la Corte Suprema, la cui attuale configurazione è stata scolpita su misura da McConnell in persona. Il fatto che Trump abbia nominato tre giudici, infatti, è una sua operazione, realizzata con uno spregiudicato uso della sua carica politica nel Senato federale, in due occasioni ben precise.
La prima è stata nel 2016, con la morte del giudice Antonin Scalia, durante l'ultimo anno del secondo mandato Obama. In quell'occasione McConnell forzò il congelamento della nomina con la scusa delle elezioni imminenti, sostenendo che fosse più opportuno attendere il responso del voto popolare, lasciando quindi la nomina al futuro presidente.
La seconda è stata quattro anni dopo, a parti invertite, forzando la nomina di un giudice da parte di Donald Trump alle stesse condizioni per le quali lui stesso aveva bloccato quella di Obama. Due pesi e due misure, senza alcuna ombra di imparzialità istituzionale.
Raggiunto questo obiettivo, la strada era spianata: il Partito Repubblicano aveva (e ha tutt'ora) gli uomini giusti al posto giusto per un’occupazione fattuale della magistratura statunitense.
La polarizzazione
La politica è fatta di contrappesi: quando una forza politica sposta il baricentro del sistema verso un estremo, spesso succede che la parte opposta tenda ad avvicinarsi a posizioni a ll’estremo opposto, nel tentativo – spesso inconscio e sempre erroneo – di riportare il baricentro nel mezzo.
Lo vediamo anche a casa nostra: negli ultimi dieci anni il centrodestra è divenuto destra a tutti gli effetti, e il principale partito di opposizione, il PD, ha scelto la leader più a sinistra della sua storia, Elly Schlein, pochi mesi dopo l’elezione del primo Presidente del Consiglio proveniente da una forza politica post-fascista.
La Corte Suprema statunitense è un organo legato a doppio filo alla politica, e di conseguenza ne sta seguendo le vicissitudini: come la politica americana si è polarizzata con l’avvento di Donald Trump, così è successo alla Corte Suprema.
È un fenomeno innegabile. Di norma, la metà delle decisioni della Corte Suprema viene presa all'unanimità, mentre sono ben poche le sentenze che la spaccano. In questo senso, di solito la Corte svolge al suo interno una funzione di compromesso tra le interpretazioni dei giudici progressisti e di quelli conservatori, posizione che tende a coincidere con la media della società americana.
Un meccanismo inceppato
Tuttavia, a seguito delle manovre di McConnell, questo meccanismo si è inceppato e la netta maggioranza conservatrice all'interno della Corte ne ha preso di fatto le redini.
Secondo il sito di statistica politica FiveThirtyEight, già nel 2020 la Corte Suprema aveva emanato sentenze unanimi solo nel 21% dei casi, mentre le sentenze polarizzate da una sola parte politica erano state ben il 29%.
Un fenomeno impossibile da negare, nonostante Mitch McConnell ci abbia provato, non senza una discreta dose di cherry picking.
La Corte Suprema non piace più agli americani
La carica vitalizia, la mancanza di meccanismi di feedback e la forte ideologizzazione dei numerosi giudici conservatori fanno si che l’attuale maggioranza interna alla Corte Suprema non abbia interesse nell’operare in accordo col sentire comune degli americani.
I dati sono impietosi. Secondo un sondaggio della Marquette University, il 59% degli americani disapprova le sentenze della Corte Suprema e il dato peggiora col tempo.
Tuttavia, non è sempre stato così. I precedenti sondaggi mostrano in maniera molto chiara che lo spartiacque è stata la sentenza sul diritto all'aborto dell’anno scorso, cui è stato accennato in apertura: prima di essa la maggioranza degli americani era in linea con le decisioni della Corte Suprema.
Giocare sporco non sempre paga
Nonostante l’arrampicata sugli specchi di McConnell, l’ipocrisia dei conservatori in merito alla questione è lampante.
Da una parte si appellano all’originalismo per giustificare un’interpretazione letterale della Costituzione, al fine di abbattere un diritto dietro l’altro. Dall’altra la ignorano apertamente quando gli conviene.
Come abbiamo visto in precedenza, la Costituzione non fa menzione del numero di giudici che compongono la Corte Suprema, che può quindi essere aumentato dai Democratici senza bisogno di un Emendamento Costituzionale. Cosa a cui i conservatori, in barba all’originalismo, si oppongono con fermezza e una discreta dose di doppiopesismo.
Un’incoerenza stridente, che dà la priorità all’implementare la propria agenda in maniera coatta, invece di farlo con trasparenza, rispetto delle istituzioni e del voto popolare.
Il lato positivo di tutto questo è che, finalmente, gli americani sembrano capirlo.