La convention democratica, giorno 2
La playlist degli Obama, un roll call trasformato in discoteca e dei tempi fortunatamente ridotti rispetto a ieri
(Hope - Poster Art di Shepard Fairey, Mostra a Stoccolma)
«Do not complain, do something!». Non lamentatevi, agite. Con questa frase, ripetuta più volte nell’arco del suo discorso, Michelle Obama ha scaldato la folla dello United Center di Chicago, in quello che è stato il discorso più partecipato della serata. Complici i molti problemi di ieri, che hanno posticipato di molto la fine, oggi la serata ha avuto un ritmo più elevato, finendo quasi 50 minuti prima e risultando complessivamente molto più piacevole a livello televisivo.
I momenti più importanti sono stati i discorsi di Barack e Michelle Obama, così complementari da poter essere quasi definiti due parti di un totale. In un’atmosfera elettrica, Michelle ha esordito dicendo che la speranza è tornata. Non solo un gioco retorico di parole sulla campagna del 2008 ma il ritorno di un modo di vivere la politica che era stato il loro, fatto di grande entusiasmo. D’altronde, la storia politica di Kamala Harris si intreccia molto con quella del primo Obama: quando nel 2007 quest’ultimo si candidò alle primarie del Partito Democratico, Harris andò in Iowa a fare campagna per lui. Una scelta non scontata, dato che al tempo era procuratrice distrettuale di San Francisco, stava ragionando sul candidarsi a una posizione più elevata e il Partito Democratico della California – il suo Stato – si era espresso nella sua quasi totalità a favore di Hillary Clinton, l’avversaria di Obama. Alcuni dei consiglieri politici di Harris sono stati figure della campagna Obama, tra cui David Plouffe, uno degli advisor di alto grado di Kamala, e le analogie si notano.
Nei loro discorsi gli Obama hanno trovato un modo molto efficace di attaccare Trump, riprendendo in parte il filone inaugurato dal candidato vicepresidente Walz, che gli aveva dato dello «strano». Se durante la campagna Biden Trump veniva evocato come il pericolo massimo, l’uomo che voleva distruggere la democrazia, gli Obama hanno cambiato nettamente l’angolatura: Trump è una persona pericolosa, ma anche ridicola. Nei loro discorsi gli attacchi frontali in stile roast, la pratica americana di distruggere verbalmente l’avversario, sono stati molteplici. Come detto durante il panel della CNN a fine dibattito, un punto importante dei discorsi è stato far capire al pubblico che la strada verso la presidenza è difficile: il Partito Democratico è passato da sentirsi spacciato a vincente in un mese, ma la realtà è che non era spacciato prima né tantomeno è vincente adesso. Michelle ha evidenziato che sarà dura prevalere, che ci saranno attacchi pesanti e bisognerà rimanere uniti.
Se l’ex first lady ha parlato in modo più evidente ai sostenitori del Partito, Barack ha cercato di ricostruire un sentimento di unità tra i cittadini americani, nel tentativo di isolare i sostenitori di Trump come una piccola setta. È una retorica di cui da sempre è maestro: nel discorso alla convention del 2004 aveva detto che non esistono Stati blu o rossi, democratici o repubblicani, ma solo gli Stati Uniti. Oggi Obama ha cercato di isolare Trump e i suoi sostenitori come se fossero un culto di cui non fa parte la maggioranza degli americani, repubblicani compresi.
Andando a scoprire altri momenti della serata, uno dei momenti più iconici di una convention è il roll call, il momento in cui i delegati votano, Stato per Stato, secondo le indicazioni ottenute dai cittadini nelle primarie. Quest’anno c’era curiosità per come si sarebbe svolto, dato che Harris ha ottenuto la nomination già alla fine di luglio in un procedimento virtuale volto a velocizzare le pratiche di transizione con la campagna elettorale di Biden. Sul palco della convention si è tenuta comunque una votazione che non aveva valore legale, definita “cerimoniale”; questa ha visto la presenza di un dj e di vari ospiti a sorpresa. Musica a tutto volume, esibizioni live, attori, registi, attivisti, braccialetti multicolore simili a quelli che vengono dati ai grandi concerti hanno scandito la conta dei delegati che, come ogni volta, ha dimostrato l’enorme diversità all’interno degli Stati Uniti. A elargire a Harris i voti per il South Dakota è stato Chante Reddest, nativo americano, influencer molto attivo su TikTok nel raccontare la società nativa e le inesattezze storiche che continuiamo a riportare.
Non è un caso che un influencer abbia avuto un posto di così alto rilievo nell’economia di questa convention: all’interno dello United Center ne sono stati accreditati dal Partito Democratico più di 200, alcuni dei quali occupano una delle suite corporate nella parte alta del palazzetto. L’obiettivo è aumentare la viralità della convention, che va in diretta su Instagram, TikTok, Prime Video e social; è un accesso che prima veniva dato soltanto ai giornalisti e spiega come i democratici si stiano avvicinando molto a nuovi mezzi di comunicazione. I giornalisti, tra l’altro, non sono soddisfatti di come è stata organizzata la convention: durante la prima giornata ci sono state code per l’ingresso, i posti sono pochi e chi è stato anche a Milwaukee per seguire i lavori dei repubblicani parla di una considerazione molto maggiore il mese scorso, come ha riportato il sito di news Semafor.
A votazione terminata, sullo schermo è apparsa Kamala Harris, che però non era a Chicago: si trovava infatti al Fiserv Forum di Milwaukee, lo stesso palazzetto che ha ospitato la convention repubblicana il mese scorso, per un evento di campagna. Harris si sente indietro, avendo iniziato la sua campagna meno di un mese fa, e ha quindi preferito non passare quattro giorni a Chicago tra i suoi sostenitori ma andare a contendere voti anche durante questa settimana.
Durante la serata ha parlato anche suo marito, Doug Emhoff, che ha avuto il compito di costruire la figura privata di Harris per un pubblico che ancora sta cercando di conoscerla. Non è stato un discorso particolarmente interessante: si basava sui punti classici di un intervento di questo genere, aneddoti divertenti su conoscenza e fidanzamento per poter delineare una classica storia americana, in cui può riconoscersi la maggior parte delle persone.
Anche oggi non c’è stato un programma politico ben delineato: se la convention repubblicana aveva fortemente tematizzato le serate, quella democratica ha diviso i tanti ospiti senza costruire una narrazione univoca. Il tema che viene citato più spesso è l’aborto: oggi ha fatto la sua comparsa anche Kate Cox, la donna texana che aveva dovuto lasciare lo Stato in modo da poter ottenere un aborto per via di una malattia che dava al feto basse possibilità di sopravvivenza. Grandi assenti ad oggi nei discorsi due temi chiave del mondo democratico: l’ambiente e la restrizione alla vendita e all’utilizzo di armi.
In chiusura, tra le note meno serie, si segnala un momento del discorso di Obama: nel tratteggiare Trump come una persona ridicola, Obama ne ha citato l’ossessione per la grandezza delle folle. È una fissazione che Trump si porta dietro da anni: nel 2017 aveva dichiarato che la sua inaugurazione a Presidente aveva portato più pubblico di quella di Obama (cosa smentita da qualsiasi foto dei due eventi) e oggi dice che in realtà Kamala Harris parla in stadi vuoti, non pieni come la campagna vuole far credere. Nel ridicolizzare questa bugia Obama si è soffermato sull’ossessione per la grandezza delle folle di Trump, muovendo le mani in un gesto che non ha bisogno di essere spiegato.