La convention democratica, giorno 4
Un discorso piuttosto breve di Harris, il patriottismo come valore fondante e la non presenza di Beyoncé
«Kamala Harris, for the people!». La sfida di novembre tra Kamala Harris e Donald Trump è stata ufficializzata dall’accettazione della candidatura di fronte alla convention di Harris. Un discorso completamente opposto a quello di Trump del mese scorso, a partire dalla lunghezza: se Trump si era dilungato per quasi 90 minuti, di cui gran parte a braccio e senza l’aiuto del gobbo, Harris ha parlato per meno di 40, in quello che è uno dei discorsi più brevi della storia moderna delle convention. La candidata, che le persone vicine a lei dicono abbia cesellato il discorso fino a ieri sera, doveva essenzialmente presentare sé stessa agli americani e porsi in aperto contrasto con Trump, che il pubblico conosce molto bene.
La prima parte è servita a raccontare sé stessa con le sue parole, dall’infanzia fino a cosa è stato per lei essere una procuratrice. Da questa parte arriva probabilmente il momento dialetticamente più riuscito: se tutta la convention ha avuto come filone la divisione marcata tra un Trump che fa politica per sé stesso e un Partito Democratico che porta risultati alle persone, Harris si pone come la leader di questo partito, perché per tutta la sua vita ha dovuto rappresentare il popolo nella sua interezza. «Quando mi trovavo davanti al giudice in udienza» dice nel discorso, «dovevo sempre presentarmi così: Kamala Harris, for the people». Questo perché, e lo ha spiegato agli americani collegati, essere procuratore vuol dire rendere giustizia non a una persona offesa ma a tutte le persone; è il popolo, infatti, che si muove contro un criminale, non un singolo cittadino. Harris ha quindi detto che gli unici clienti della sua carriera sono stati i cittadini, mentre Trump ha avuto come cliente principale sé stesso.
La seconda parte del discorso ha portato una contrapposizione tra i due candidati in termini non più di storia personale, ma di politica: bisogna essere chiari sul fatto che nessuno dei due candidati è un outsider. Se Trump ha giocato la sua campagna del 2016 come quella di un personaggio totalmente esterno alle dinamiche di Washington, che si candidava per rimettere in funzione l’America, oggi parla da ex presidente; allo stesso modo Kamala Harris parla per tutto il discorso di una «nuova via per gli Stati Uniti», ma la sua piattaforma politica è quella votata pensando a Biden candidato e lei stessa è la sua vicepresidente. Harris si pone in contrapposizione con le politiche «contrarie alla libertà» di Trump, che è un uomo «poco serio» ma i cui effetti delle politiche «sono del tutto seri». La chiusa del discorso di Harris ha tentato di ricostruire le vibrazioni della campagna di Obama 2008, che è sempre più la pietra di paragone a cui si rifà: «Abbiamo in comune più di quello che ci divide». Il tentativo di ricostruire una grande alleanza con i repubblicani moderati è chiaro.
Per farlo, si è ancora una volta sacrificato un chiaro momento di delineazione delle politiche: in 38 minuti – e questa è probabilmente la cosa meno riuscita del discorso – non si è costruito nessun momento di presentazione di qualcosa da fare appena eletti, nei cosiddetti primi 100 giorni. Si è parlato di riconoscere a livello federale il diritto all’aborto, ma tutti sanno che o si cambiano i regolamenti del Senato, cosa che neanche un esperto senatore come Biden è riuscito a portare a termine, o serviranno 60 senatori per farlo, ed è impossibile. È un po’ il contraltare della costruzione di una grande casa che vada dall’ala sinistra del Partito Democratico ai repubblicani delusi dal movimento MAGA: se devi tenere insieme un nucleo di persone così vario, non puoi essere specifico. Prima o poi, però, Harris dovrà proporre qualcosa di concreto.
Se non si propone concretezza, l’unità arriva dal patriottismo: questa quarta serata ha voluto dimostrare come i democratici possano rappresentare la fiducia e la speranza negli Stati Uniti tanto quanto i repubblicani. I delegati avevano bandiere giganti da sventolare, cartelli con la scritta «USA» e un dj ha per qualche minuto fatto partire grandi canzoni patriottiche della storia americana: da rimarcare che tra queste è passata anche Born in the U.S.A., che spesso è confusa per inno patriottico ma è invece il grido di un reduce contro il disastro della guerra in Vietnam. Questo momento, durato vari minuti, ha generato rabbia nel movimento degli uncommitted, le persone che si erano rifiutate di votare Biden alle primarie per via della posizione statunitense nella guerra tra Israele e Hamas. Per giorni avevano chiesto uno spazio alla convention, anche di pochi minuti, per portare le loro idee: non è stato loro concesso «per mancanza di tempo». È vero che il tempo è stato un problema serio di questa convention ma, soprattutto in quest’ultima sera che è stata invece molto più liscia, ci sarebbe stato spazio per qualche intervento in più. Si è però probabilmente posto un caso di opportunità politica: un partito che vuole tenere insieme anime così diverse tra loro ha difficoltà a proporre un intervento che avrebbe quasi certamente parlato di genocidio del popolo palestinese, comunque la si pensi sulla questione, anche per paura di essere travolto dalla cattiva pubblicità repubblicana.
Un discorso molto forte – sul tema patriottismo e unione degli statunitensi contro Trump – è stato quello dell’ex deputato repubblicano Adam Kinzinger, probabilmente la figura più importante riconducibile al GOP apparsa alla convention democratica. Kinzinger ha detto una frase che ha scatenato una grossa risposta della folla presente: «Non c’è bisogno di essere repubblicani per essere patriottici: i democratici sono patriottici quanto noi!». Sembra quasi il tentativo di sanare gli ultimi vent’anni, quando il Partito Democratico, contrario a gran parte degli interventi in Medio Oriente dell’amministrazione Bush, veniva visto dai repubblicani stessi come meno patriottico. Kinzinger ha citato il concetto di città splendente sulla collina, nato tra i pastori puritani del Seicento, che era diventato cardine del discorso pubblico di Ronald Reagan. «Essere americano vuol dire credere prima che in un partito in dei valori» ha ribadito, «e quei valori oggi stanno solo alla convention democratica».
La diminuzione della figura pubblica di Trump, la ricostruzione di una campagna ottimista che mancava da Obama 2008, il patriottismo come veicolo per convincere i repubblicani indecisi: dopo quattro giorni questi sono i temi che ci lascia la convention. Sono i temi di un partito che abbandona i toni cupi della presidenza Biden e si muove verso novembre con una rinnovata fiducia, aspettando di sapere cosa vorrà fare Kamala Harris appena eletta.