Kyle Rittenhouse, cronaca di un verdetto già annunciato: l'America alla sbarra
Un processo tenuto in un piccolo tribunale di contea ha diviso un Paese intero alle prese con una polarizzazione politica e sociale che si intreccia col sistema giudiziario.
Only say the word and my soul shall be healed.
– Matthew 8:8
Questa storia inizia con un confine. Non solo fra due stati, l’Illinois e il Wisconsin, ma fra due Americhe che raramente si incontrano e coesistono separatamente: quella progressista delle città, liberal-democratica, particolarmente attenta ai temi sociali, e quella rurale, fatta di piccole comunità, spesso separate su base etnica, che si sente esclusa dal resto. In questi anni si è scritto molto sulle conseguenze delle crisi economiche, sulle crisi degli oppiacei e sulla fragilità dell’identità bianca, ma quasi nulla su cosa succede quando queste due Americhe si trovano l’una di fronte all’altra, disarmate.
In un’aula di tribunale a Kenosha, in Wisconsin, si è celebrato uno dei processi più mediatici dell’anno. Sull’imputato Kyle Rittenhouse era già stato ampiamente scritto, non solo dai principali quotidiani, ma anche da esponenti politici e parlamentari, con una divisione nettamente partisan dell’opinione pubblica: i Repubblicani e i conservatori, specialmente quelli più vicini a Trump (incluso lui stesso), ne hanno preso le difese, sottolineando la caoticità della situazione in cui aveva agito; i Democratici e gli attivisti progressisti l’hanno ritratto come l’ennesimo uomo arrabbiato, figlio della cultura separatista americana, che può agire impunemente in quanto portatore del privilegio bianco.
Quello che più colpisce è l’incomunicabilità delle due visioni del mondo, che si escludono a vicenda: con queste premesse, è impossibile si possano rincontrare in un’aula di tribunale, il cui scopo è esprimersi sul caso specifico delineato dalla verità giudiziale.
Quando si apre un processo con un tale impatto mediatico a cui viene assegnato un valore più simbolico che legale, la sentenza è destinata a scontentare larga parte dell’opinione pubblica: la ricostruzione giudiziale non può, per sua stessa natura, sostituire la discussione sociale o la visione politica, nemmeno in un sistema di common law basato sui precedenti come quello statunitense.
L’analisi mediatica e l’analisi legale
Il giorno del verdetto la dinamica non è cambiata: sull’assoluzione di Rittenhouse sono state scritte molte analisi che partivano dal caso specifico per trarre lezioni sulla cultura americana delle armi, sul suprematismo bianco, o sulla presunta sconfitta del movimento Black Lives Matter e delle sue rivendicazioni nelle aule di diritto. Molte di queste analisi, però, mancavano di un punto centrale: il racconto dei fatti presi effettivamente in considerazione dal tribunale, e l’analisi legale dei capi d’accusa.
Nella foga di rendere la sentenza una fotografia dell’America in base alla propria visione politica, il sistema giudiziario è rimasto allo stesso tempo al centro del discorso – in quanto il suo verdetto è stato chiamato a esprimere una valutazione non giuridica, ma politica – e sullo sfondo, svuotato del suo scopo originario.
In questo caso specifico sono emerse alcune delle particolarità più interessanti del sistema giudiziario americano e di come si sia intrecciato con la narrazione mediatica e politica del processo: se da un lato il tribunale ha agito nella completezza dei suoi poteri, l’aspettativa pubblica e la volontà di farne un caso esemplare sono state ampiamente deluse. Il tribunale di Kenosha si è infatti espresso su quello che è stato configurato, secondo le leggi statali del Wisconsin, come un caso di autodifesa, reso particolarmente convincente dai video entrati a far parte del materiale probatorio che documentano la sparatoria che ha portato alla morte di Joseph Rosenbaum e Anthony Hubner, oltre al ferimento di Gaige Grosskreutz.
Kyle Rittenhouse è stato inoltre assolto per gli altri capi d’accusa – l’aver superato il confine fra Illinois e Wisconsin armato e il possesso da parte di un minore di un’arma da fuoco – attraverso le testimonianze raccolte e la stessa legge del Wisconsin (in quanto il suo modello di fucile era regolarmente detenuto).
Un dato particolarmente interessante riguarda inoltre il giudice, Bruce Schroeder, nominato nel 1983 dai Democratici e con il mandato più longevo dello Stato: durante il processo si è più volte focalizzato sul tema dei diritti degli imputati e ha rimarcato il suo dovere di garantire un processo equo e non inquinato dal dibattito mediatico al suo esterno, ad esempio rifiutandosi di ammettere delle prove portate dall’accusa riguardo il presunto incontro fra Rittenhouse e alcuni esponenti del gruppo di estrema destra dei Proud Boys, avvenuto però mesi dopo i fatti in esame in aula.
Nonostante le garanzie dei diritti degli imputati siano storicamente care ai Democratici e varie associazioni progressiste se ne occupino, non sono mancate le critiche per le esternazioni del giudice Schroeder, definito da alcuni come troppo lassista e intenzionato a mettersi in mostra vista l’enorme visibilità del processo, così come i Repubblicani lo avevano giudicato come parziale, prima del verdetto, data la sua affiliazione politica.
L’imputato stesso, Kyle Rittenhouse, è stato descritto di volta in volta come un suprematista bianco convinto (anche se all’epoca dei fatti non c’erano prove che fosse affiliato ad alcun movimento politico di estrema destra) o come un “bravo ragazzo” che aveva semplicemente agito per difendere sé stesso e la sua comunità (nonostante ci fossero prove che simpatizzasse con ambienti profondamente conservatori). Partecipava ai programmi dedicati ai giovani organizzati dalla polizia locale e dai vigili del fuoco; aveva una famiglia particolarmente instabile e un padre alcolizzato. I grigi sul suo personaggio restano ad oggi moltissimi: non si tratta del fanatico convinto, ma nemmeno del fine young man descritto da Donald Trump. La banale complessità della sua persona, riconosciuta dal tribunale, sembra non esserla stata a livello mediatico e politico.
Quello che più di tutto emerge dal processo è che il sistema giudiziario sia stato in qualche modo insignito del ruolo di giudicare sé stesso e la cultura americana circostante: tutto, eccetto i fatti del caso concreto in analisi. Con l’enormità di aspettative politiche dietro non sorprende quindi che il caso abbia finito per assumere una simbologia astratta che può parlare sì delle contraddizioni americane, ma non di quello che è effettivamente il ruolo dei tribunali: l’applicazione della legge al caso concreto. Riportare questo caso in Europa, in cui formalmente politica e giustizia devono restare separate, è ancora più difficile perché non si parla solo di una cultura giudiziaria profondamente diversa, ma anche di un sistema politico in cui l’esistenza e l’uso delle armi sono una realtà.
Il verdetto finale della sua assoluzione, che non ha stupito gli esperti legali che si sono occupati del caso, non ha avuto l’effetto politico sperato dalle due opposte visioni diventando un landmark case che potesse affermare un principio astratto ma ha ironicamente contribuito a mostrare una delle realtà più forti della politica: la profonda radicalizzazione che sta animando il dibattito americano dagli anni Ottanta in poi e che sembra spesso irrisolvibile. Le due Americhe sembrano non incontrarsi mai, e se non riescono a farlo a livello politico, difficilmente può succedere in un’aula di tribunale.
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