Kamala Harris: ecco chi è la nuova candidata Presidente democratica
Kamala Harris ha avuto molte prime volte nella carriera di procuratrice generale, senatrice e di Vicepresidente. Solo a novembre scopriremo se Harris ne aggiungerà un’altra alla collezione
«Ho affrontato autori di reato di tutti tipi. Predatori che abusavano di donne, truffatori che fregavano i consumatori, imbroglioni che infrangevano le regole per il proprio tornaconto. Quindi ascoltatemi quando dico che conosco quelli come Donald Trump».
Queste sono le parole pronunciate da Kamala Harris al primo rally della sua campagna a Milwaukee, in Wisconsin, il 23 luglio scorso. Fin da subito, la sua retorica si è rivelata molto aggressiva nei confronti del suo avversario, Donald Trump. Richiamando il suo passato da procuratore generale dello Stato della California, Harris ha lanciato un messaggio chiaro all’elettorato: Trump è un criminale e il suo compito è assicurarsi che non la passi liscia. In questo caso, significa impedire che il 5 novembre prossimo Trump torni a essere il Presidente degli Stati Uniti. Di certo, la candidata democratica ha gli strumenti adatti per raggiungere questo obiettivo.
Harris è nata da genitori immigrati. Suo padre, Donald Harris, originario della Giamaica, insegnava economia all’Università di Stanford. Sua madre, Shyamala Gopalan Harris, era la figlia di un diplomatico indiano e una ricercatrice nel campo del cancro al seno. Shyamala si trasferì negli Stati Uniti dall’India meridionale alla fine degli anni Cinquanta per ottenere un dottorato in nutrizione ed endocrinologia all’Università di California, Berkeley. Kamala Harris ha mantenuto stretti contatti con la famiglia indiana, visitando spesso Chennai con sua madre e sua sorella minore Maya, che in seguito divenne un’avvocata per le politiche pubbliche. Nel 1982, Kamala Harris si spostò a Washington D.C., dove si iscrisse alla Howard University, un’università storicamente nera. Lì conseguì una laurea in scienze politiche ed economia. Successivamente, ottenne una laurea in legge alla University of California College of the Law, a San Francisco.
Dopo aver superato l’esame di abilitazione, Harris iniziò la sua carriera come viceprocuratrice distrettuale a Oakland, dove si fece una reputazione per la sua durezza nel perseguire casi di violenza di gang, traffico di droga e abusi sessuali. Nel 2004 divenne procuratrice distrettuale di San Francisco, raggiungendo risultati importanti. Per esempio, durante i suoi primi tre anni di mandato il tasso di condanne di San Francisco passò dal 52 al 67 per cento. Nel 2011 fu eletta procuratrice generale della California, vincendo con un margine inferiore all’1 per cento contro il suo avversario Steven Cooley e diventando la prima donna e la prima afroamericana a ricoprire tale carica. Durante il suo mandato, creò la piattaforma Open Justice per rendere accessibili al pubblico i dati sulla giustizia penale e migliorare la responsabilità delle forze dell’ordine.
Da procuratrice generale, Harris dimostrò anche la sua indipendenza politica respingendo le pressioni dell'amministrazione Obama, che la spingeva a risolvere rapidamente una causa nazionale contro le banche per pratiche scorrette sui mutui. In quel periodo, gli Stati Uniti stavano affrontando le conseguenze della crisi dei mutui subprime, che aveva portato a una grave recessione economica e a milioni di pignoramenti di case. L’amministrazione Obama, insieme ai procuratori generali di vari Stati, stava negoziando un accordo con cinque importanti banche per risarcire i proprietari di case che erano stati colpiti da pratiche ipotecarie scorrette. L’accordo proposto prevedeva che queste banche pagassero circa 25 miliardi di dollari in risarcimenti. Harris, però, ritenne che l’accordo fosse troppo debole e che non affrontasse adeguatamente il problema. Per questo motivo, decise di ritirarsi dai colloqui di conciliazioni, una mossa vista da molti come un segnale della sua determinazione e della sua volontà di difendere gli interessi dei cittadini californiani, anche a costo di scontrarsi con l’amministrazione Obama. Alla fine, la sua posizione costrinse le banche a rivedere la loro offerta e, nel 2012, la California ottenne un risarcimento cinque volte superiore rispetto a quello inizialmente proposto, dimostrando l’efficacia della sua strategia.
Tuttavia, la carriera Harris è stata segnata anche da alcune decisioni controverse. Una di queste risale al 2004, anno in cui si rifiutò di perseguire la pena di morte contro l’uomo che aveva ucciso l'agente di polizia di San Francisco Isaac Espinoza. Addirittura, durante il suo elogio funebre, la senatrice Dianne Feinstein criticò pubblicamente Harris, ricevendo una standing ovation dai numerosi agenti presenti. In generale, la posizione di Harris sulla pena di morte le costò il sostegno dei sindacati di polizia per un decennio e le procurò in seguito accuse di opportunismo politico e di incoerenza.
Nonostante queste difficoltà, nel 2016 Kamala Harris vinse facilmente le elezioni per il seggio al Senato degli Stati Uniti, precedentemente occupato da Barbara Boxer. Fin dal 2012 Harris era diventata una figura di alto profilo nel Partito Democratico e, assumendo la carica nel gennaio 2017, divenne la prima senatrice indiana-americana e la seconda senatrice afroamericana della storia degli Stati Uniti. Durante il suo mandato, fece parte del Comitato per l’Intelligence e del Comitato Giudiziario, dove si distinse per il suo stile inquisitorio.
Il suo momento più noto fu quando interrogò l’allora procuratore generale Jeff Sessions riguardo al presunto coinvolgimento russo nelle elezioni del 2016. Il Dipartimento di Giustizia aveva rivelato che il procuratore generale repubblicano aveva incontrato due volte l’ambasciatore russo Sergei Kisljak a Washington per discutere della campagna elettorale, un fatto che Sessions aveva ripetutamente negato. Dopo oltre tre minuti di domande serrate, Sessions ammise di sentirsi sotto pressione, dichiarando: «Non riesco a seguire con questa rapidità! Mi mette a disagio».
Nel 2019, Harris annunciò la sua candidatura per la nomination democratica alle elezioni presidenziali del 2020. Il suo momento più emblematico fu quando, durante un dibattito delle primarie, ebbe uno scambio polemico con il collega Joe Biden sulla opposizione di quest’ultimo alle politiche di desegregation busing – la pratica di inviare gli studenti in distretti scolastici diversi dal proprio per diversificare la composizione razziale delle scuole negli Stati – negli anni Settanta e Ottanta. L’argomento era molto caro a Harris, che in prima elementare sperimentò la desegregation busing sulla propria pelle. Durante il dibattito Kamala raccontò l’esperienza in modo toccante:
«C’era una bambina in California che faceva parte della seconda classe a integrare le scuole pubbliche e che andava a scuola in autobus ogni giorno. Quella bambina ero io».
Sebbene Harris fosse inizialmente considerata una delle principali contendenti, la sua campagna si concluse a dicembre 2019 a causa di problemi finanziari e di organizzazione interna. Tuttavia, nel 2020, Joe Biden scelse Kamala Harris come sua vice per la campagna presidenziale. Dopo la vittoria nelle elezioni di novembre, Harris divenne la prima donna, la prima persona di colore e la prima persona di origine indiana a essere eletta Vicepresidente degli Stati Uniti. Nel suo ruolo di Vicepresidente, è stata incaricata di affrontare le cause profonde dell’aumento dell’immigrazione dall’America Latina, di sostenere la legislazione nazionale per la protezione dei diritti di voto e di garantire l’accesso delle donne ai servizi per l’aborto, la promozione della sicurezza e l’assicurazione dell’accesso ad acqua potabile e aria pulita. Inoltre, Harris ha rappresentato gli Stati Uniti a livello internazionale, incontrando oltre 150 leader mondiali per rafforzare le alleanze internazionali del Paese.
Insomma, la biografia di Kamala Harris racconta di una donna forte, altamente qualificata e molto sensibile rispetto alle grandi piaghe che colpiscono la società e la politica statunitense oggi, in primo luogo il razzismo diffuso, quasi sistemico, e la violazione delle libertà riproduttive delle donne. La storia di Harris rivela anche delle contraddizioni che l’hanno resa ostile agli occhi di gruppi tendenzialmente antiriformisti come i sindacati di polizia americani. Nonostante tutto, Kamala Harris porta al Partito Democratico una boccata di aria fresca: energica e competente, è stata la prima nel suo genere – come donna e persona di colore di origine indiana – a conquistare posizioni di grande rilievo nella carriera legale e politica. Non a caso il suo motto è: «You may be the first, but make sure you’re not the last». Solo a novembre scopriremo se Harris aggiungerà un altro first alla sua collezione.