Jimmy Carter, un presidente non compreso
In occasione dei cent'anni dell'ex presidente dem riflettiamo sugli aspetti visionari della sua amministrazione, per anni sepolti dalle sconfitte politiche
Nel 1989 un articolo sul Wall Street Journal veniva intitolato “Jimmy, we hardly knew ye”. È una sensazione comune, quella di non afferrare e non riuscire a conoscere veramente la portata della presidenza di Jimmy Carter, nei difficilissimi quattro anni che hanno dato al mondo un’inflazione rampante e una crisi energetica. In occasione del centesimo anno di età raggiunto dall’ex-presidente è interessante rileggere il suo mandato di governo cercando di focalizzarci su ciò che è rimasto.
Carter arrivò alla presidenza nel 1976, sconfiggendo l’uscente Gerald Ford, debolissimo per gli scandali del Watergate e il perdono presidenziale concesso a Nixon, senza mai essere stato un uomo di Washington. Si era candidato a governatore del suo Stato, la Georgia, nel 1966, con una piattaforma anti-segregazionista che non pagò, per poi vincere nel 1970 spostandosi più al centro. Salì alla ribalta alle primarie per la presidenza sconfiggendo un campo di avversari molto variegato, composto da personaggi come Jerry Brown e George Wallace, ma non venne mai accettato da un mondo politico complesso come quello della capitale, tanto che, appena eletto leader del Partito, la domanda che ancora molti si facevano era “Jimmy Who?”.
La sua eredità
Un lascito dirimente della sua presidenza, al netto dei passi indietro compiuti dal suo successore, è stato quello di pensarsi già come un uomo successivo alla Guerra fredda: in un Paese in cui dominava il discorso politico del contenimento dell’altra superpotenza e dell’interventismo per mantenere l’ordine politico, Carter cambiò completamente il focus del discorso.
Per lui ciò che rendeva gli Stati Uniti leader mondiali non era la potenza militare, ma l’ideale fondante della democrazia: agire come si era fatto in Vietnam, da aggressori più che da salvatori, aveva macchiato la purezza del sogno americano. Gli USA dovevano tornare a porre i diritti umani come focus principale della loro politica internazionale: dovevano terminare i tempi in cui si finanziavano regimi autoritari solo perché anticomunisti, bisognava invece leggerli come un’alternativa non auspicabile del comunismo. In un esempio pregnante, durante la crisi in Nicaragua tra il governo Somoza e i ribelli sandinisti volle evitare di ragionare in termini di “gli uni o gli altri”: dare armi a Somoza in chiave anti-sandinista avrebbe solo peggiorato la situazione, il leader doveva lasciare il suo posto ed estendere concessioni democratiche.
In un’epoca, quella odierna, di forte interesse verso il cambiamento climatico, è importante notare come la presidenza Carter sia stata parte di un vero momento di riflessione sul tema: firmò 14 disegni di legge “verdi”, che arrivarono a raddoppiare l’area coperta dal sistema dei parchi nazionali e a migliorare lo smaltimento dei rifiuti tossici. Prese molto seriamente, poi, le conclusioni del White House Council on Environmental Quality, che aveva provato quanto il riscaldamento climatico fosse causato dall’inquinamento da anidride carbonica, rilevandone quindi la natura antropica, mentre il suo successore Reagan ne parlerà come di un fenomeno causato dagli alberi stessi e dalla vegetazione.
Con in mano questi dati così allarmanti l’uomo di Plains, in Georgia, aveva richiesto alle Nazioni Unite di imporre un massimo nazionale di rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera, in modo da limitare il riscaldamento globale a non più di due gradi rispetto all’epoca pre-industriale: ci si sarebbe arrivati a Parigi, nel 2015. Installò trentadue pannelli solari alla Casa Bianca e, nel farlo, disse che, a una generazione da quel giorno, l’energia solare sarebbe stata ricordata o come una buffa curiosità o come una delle più grandi avventure mai intraprese nel secolo americano. Il suo successore propendeva chiaramente per la prima ipotesi e, per via di una ristrutturazione dell’edificio svolta nel 1986, tolse i pannelli, definiti “uno scherzo”: la Casa Bianca riadotterà un sistema di energia solare solo nel 2010, durante la presidenza di Barack Obama.
Non ebbe presa sulla Nazione, ed era difficile in un periodo in cui l’inflazione galoppava e lui stesso non consentì provvedimenti spot, ma appoggiò una politica muscolare da parte della Federal Reserve sul rialzo dei tassi d’interesse, e subì il disastro che fu il tentativo di liberare gli ostaggi in Iran nel 1979.
I limiti di Carter
Carter non aveva una formazione da trascinatore di folle, aveva studiato ingegneria e vedeva il suo compito in modo chiaro: alle persone bisognava parlare in modo limpido, non si doveva vendere soluzioni che non si avevano. Non riusciva a capire il funzionamento della politica di Washington, il suo incrementalismo a tratti esasperante, per cui un disegno di legge viene costantemente modificato passando da rivoluzionario a lievemente migliorativo della situazione iniziale: non sapeva trattare con i politici, se riteneva una cosa giusta, la sua forma mentis gli imponeva di lottare perché venisse approvata in quell’esatto modo.
Questa fatica a generare messaggi positivi alla nazione e a parlare per verità scomode lo rese inviso a una nazione che si stava impoverendo e faticava a trovare il proprio posto nel mondo: di contro Reagan fece una campagna elettorale fortemente improntata a restituire il primato mondiale agli Stati Uniti, e contro idee così forti ed evocative non poteva fare altro che soccombere.
È lecito definire Carter un fallimento politico, d’altronde riuscì a convogliare su di sé solo il 41% del voto popolare alle elezioni del 1980, ma è difficile non dargli meriti di visione su quelli che oggi sono temi cruciali del nostro tempo e che lui continua a seguire ancora adesso tramite il Carter Center, l’associazione umanitaria fondata da lui stesso e dalla moglie Rosalynn, deceduta l’anno scorso.
Tutti gli elementi visionari della politica carteriana vennero smantellati nei dodici anni successivi, prima da Reagan e poi da George H.W. Bush, mentre rimasero fisse nella memoria della popolazione le sconfitte pesanti e cocenti, e una predisposizione al pessimismo, ampiamente in contrasto con il governatore della California che lo seguì. Riflettendo sulla sua figura e ripercorrendo il suo percorso diventa sempre più vera l’affermazione iniziale: Jimmy Carter non lo abbiamo mai davvero compreso.