Che razza di libro! O dell’essere neri in America
Un romanzo sincero che fa il punto sulle debolezze della società e ricorda l’importanza di amarci per ciò che siamo.
Ladies and gentlemen,
welcome aboard the Jefferson Bookplane, la rubrica di Jefferson sulla letteratura americana (ma restiamo umili).
Uno scrittore senza nome che vede cose non esistono. Un ragazzino dalla pelle nera come il buio, visto solo dallo scrittore. Un tour promozionale verso una città indefinita. Una riflessione su cosa significa essere neri in America.
Certo che sapeva di essere nero. Non scuro di pelle, ma nero. Nero come gli occhi chiusi. Nero come una notte senza stelle. Nero come il nerofumo della stufa.
p. 35
Quando il titolo diventa la trama
Vorrei partire come si conviene, e cioè dal titolo. E, in particolare, dalla traduzione italiana del titolo. Sì, perché Hell of a book! di Jason Mott è diventato Che razza di libro!, trasportando così il lettore in un brillante gioco di parole che inquadra immediatamente il contenuto del romanzo: la razza, la violenza razziale. Un tema complesso, affrontato, esattamente come il titolo italiano suggerisce, in chiave leggera, spontanea e, a tratti, onirica.
Sì, perché Mott è un maestro nella rappresentazione di atmosfere e personaggi surreali e ironici. Penso a lui come a un pittore di sogni. Ti lascia addosso quella sensazione che sperimentiamo talvolta al risveglio: ma è successo davvero o era un sogno?
È sempre bello quando un parto della tua immaginazione ti assicura che non sei matto.
p. 64
Al centro di questa storia c’è uno scrittore americano in giro per gli Stati Uniti per promuovere il suo ultimo libro diventato un best-seller che, a un certo punto, tra avventure rocambolesche, enormi problemi con l’alcol e media training improbabili, inizia a essere seguito da un ragazzino (così lo chiamerà per tutto il loro viaggio insieme, “Ragazzino”) con la pelle più nera che abbia mai visto prima. Il fatto è che soltanto lo scrittore, affetto da una malattia che gli impedisce di distinguere la realtà dall’immaginazione, riesce a vedere il Ragazzino al quale i genitori hanno insegnato il “dono dell’invisibilità” per proteggersi dalla violenza del mondo e dalla cattiveria gratuita dei suoi compagni di scuola.
Black lives (still) matter
- Quando ti guardi allo specchio,
ti piace ciò cosa vedi?.- Cerco di non guardarmi. Credo che molte persone
come me facciano così».- Quando dici “persone come me”,
che cosa intendi?.p. 7
Con uno stile lucidissimo, esilarante e feroce al tempo stesso, l’autore ci porta a riflettere su cosa significhi desiderare di essere al di fuori della propria pelle, rifiutarla, negando le proprie origini. Cosa significhi sognare di sparire, di essere invisibili per non farsi additare, scrutare, deridere per la propria diversità. Un tentativo disperato di salvarsi, di sopravvivere.
Ci immergiamo realmente nella paura di essere chi si è, nella paura di non potersi difendere, di non poter sfuggire agli altri, al dolore. Perché, al contrario di ciò che siamo abituati a pensare, ma anche a leggere o a vedere nel cinema, il razzismo non è solo discriminazione, pregiudizio e violenza. No. Il razzismo è anche vivere nel terrore costante. Uno stato emotivo soffocante che paralizza. Ti porta a esistere con la consapevolezza che potresti tranquillamente non tornare a casa perché incontrerai sulla tua strada qualcuno che deciderà per te. Qualcuno che con una scusa ti farà scendere dall’auto, per esempio, e ti ammanetterà senza spiegarti il motivo. Qualcuno che, per esempio, deciderà di schiacciarti contro il suolo fino a ucciderti. Qualcuno che stabilirà che hai fatto un movimento sbagliato e che quindi, per esempio, ti sparerà ripetutamente al centro del petto.
Ho visto cosa succede quando cercano di far capire ai bambini com’è il mondo reale, ma loro sono accecati da Walt Disney, e Dreamworks e mille altri cantastorie che non hanno niente a che vedere con la loro realtà. Perché la cosa che quegli affabulatori non capiscono è che certi bambini non hanno davvero la possibilità di realizzare i sogni. Il mondo li ammazza prima. Li ammazza ma non riesce a ucciderli. E così muoiono giovani, e dal quel momento in poi impazziscono ogni giorno di più.
p. 199
E forse Mott vuole ricordarceli, tutti questi “Ragazzi Matti”, come li definisce lui, i cui nomi vengono poi urlati a gran voce durante le manifestazioni legate al movimento Black Lives Matter.
Un romanzo autobiografico?
La domanda sorge spontanea quando, leggendo la biografia dello scrittore e poeta statunitense, Jason Mott, si scopre innanzitutto che, esattamente come lo scrittore senza nome protagonista del romanzo, è nato e cresciuto a Bolton, una piccola cittadina del Carolina del Nord.
Sì, il Sud è la scena del crimine più antica d’America. Non credete a chi vi dice il contrario. Ma il fatto è che se sei nato in un tritacarne cresci intorno agli ingranaggi, e alla fine non riesci più a vederli. Vedi solo la bellezza della salsiccia.
p. 211
Quello stesso Sud che, ricorda l’autore, ebbe più potere elettorale, grazie al compromesso dei tre quinti, tramite il quale la Constitutional Convention nel 1787 stabiliva che ogni schiavo fosse conteggiato come tre quinti di una persona a fini fiscali e di rappresentanza (p. 254).
Non solo. Anche Mott ha lavorato per diversi anni in un call center per una grande compagnia di telefoni cellulari (a questo proposito, le pagine sulla vita all’interno del call center sono eccezionali).
Nel 2013, poi, l’esordio nel mondo della narrativa con The Returned, un romanzo sulla misteriosa resurrezione dei morti e il conseguente impatto sulla vita dei vivi, diventato poi una serie intitolata “Resurrection”, sembra confermare la passione dell’autore per quel disequilibrio tra reale e irreale che è la forza di Che razza di libro!, vincitore, tra l’altro, del National Book Award 2021.
Non voglio spoilerare troppo ma, leggendo i passaggi dedicati alla spietatezza del mondo editoriale, sarei molto curiosa di sapere se anche quelli sono ispirati a situazioni realmente vissute da Mott.
Perché leggerlo
Un giorno dovrai imparare ad amare chi sei» disse suo padre, ma Nerofumo, nel suo dolore, non lo sentì. E così, suo padre si mise nel letto con lui, lo tenne stretto e lo consolò mentre il bambino piangeva e fuori le stelle brillavano e la notte color ebano cingeva in un abbraccio la terra che cantava.
p. 37
Non mi stupisce che Che razza di libro! sia ormai un piccolo caso editoriale. È un romanzo intelligente, scritto bene. Coinvolge da subito il lettore grazie alla sua trama incredibilmente originale e allo sconvolgimento dei classici parametri narrativi: l’io narrante alterna sapientemente le vicende sgangherate dello scrittore che fugge dal suo passato ingombrante e la storia dolorosa del Ragazzino a cui non si può non voler bene, con la sua ricerca spasmodica di conquistare il potere dell’invisibilità. Un romanzo che si legge facilmente e che fa riflettere con eleganza e ironia su temi di estrema attualità.
A chi ha sollevato la critica che, pur essendo interessante, il romanzo e il suo messaggio non riescono a lasciare un’impronta profonda, rispondo che probabilmente la critica proviene da una persona bianca caucasica, abituata a un certo tipo di letteratura sul tema. Personalmente, credo invece che la storia raccontata da Mott si distingua e che abbia in sé una forza particolare che può arrivare a un pubblico molto ampio ed eterogeneo. A patto che ci si lasci guidare dal gioco surreale dell’autore.
Una verità che spesso ci sfugge è che tutti, tutti noi vaghiamo per l’universo.
p. 146