L'insostenibile pesantezza dei multimiliardari
In viaggio con i Paperoni dello spazio.
Nei giorni in cui moltissimi in tutto il mondo esultano per il successo del viaggio intergalattico del multimiliardario Richard Branson che ha battuto nel tempo, per soli nove giorni, il fondatore di Amazon Jeff Bezos, c'è poco spazio per il pessimismo e lo scetticismo. Ma possono bastare alcune immagini del Virgin Galactic in orbita per farci dimenticare quanto inquinano e, in prospettiva, inquineranno i viaggi nello spazio nei prossimi anni?
Secondo i più, il progresso, quando votato al benessere dell'umanità tutta, non dovrebbe mai essere ostacolato, a costo di scendere a compromessi col presente e le generazioni che lo vivono. Sarà che la tecnologia, Dea assoluta dei tempi nostri, amica e nemica dell'uomo, ci ha sempre sedotti al punto da costituire la cifra della società post-moderna.
Una riflessione quasi paradossale se si pensa che proprio la tecnologia ha permesso lo sviluppo di uno dei colossi che più inquina al mondo. Amazon, solo nel 2019, secondo le stime più recenti tratte da un report di Oceana, ha prodotto circa 211 milioni di tonnellate di plastica; il che sarebbe l'equivalente di avvolgere il nostro pianeta per più di 500 volte con un imballaggio plastico "millebolle" (quello che solitamente troviamo nei pacchi che riceviamo a casa).
E questi dati non tengono neppure conto degli ultimi due anni, che hanno portato Amazon a triplicare il numero delle vendite durante l'emergenza pandemica, nella consacrazione di un modello consumistico che fa dell'insostenibilità ambientale e sociale il suo marchio di fabbrica. Dati sconcertanti riguardano non solo il consumo di plastica per la realizzazione degli imballaggi ma anche e, di riflesso, l'incapacità di recuperare e riciclare la maggior parte dei materiali di imballaggio, laddove non sempre e non in tutti i Paesi vigono le medesime regole di riciclo e neppure vi sono i controlli necessari affinché queste vengano messe in atto (pensiamo alla sola città di Roma, esempio italiano ma emblema della mala gestione dei rifiuti).
Insomma, una montagna di rifiuti, materiali difficilmente recuperabili e la promozione di un sistema che concorre enormemente all'aumento delle emissioni di gas climalteranti, sia nei Paesi di realizzazione dei prodotti venduti da e su Amazon che nei Paesi di arrivo, dove vengono spediti grazie a voli transnazionali e transcontinentali per poter andare da una parte all'altra del mondo in tempi record.
Già, il tempo. Una variabile fondamentale nel sogno dei baroni dello spazio che, negli ultimi anni, anziché investirne in progetti di ricerca votati alla risoluzione di problemi che, come nel caso di Bezos, hanno creato ad alimentare, è stato utilizzato per vedere chi per primo sarebbe riuscito a compiere l'impresa.
Un trend, questo, che non si invertirà di certo se si considera che all'indomani della sua spedizione, il fondatore di Amazon avrebbe promesso di donare 100 milioni ciascuno allo chef Jose Andres e al conduttore della CNN Van Jones, senza alcuna clausola, scegliendo di delegare loro la scelta di investimento di quelle cifre. Una scelta bizzarra, considerato che entrambi sono fondatori di due organizzazioni no-profit, le quali beneficeranno direttamente della donazione, e che parte del loro patrimonio è detenuto proprio nei fondi di quest'ultime.
Ma il multimiliardario non è di certo noto per aver precedentemente scelto di devolvere parte dei suoi guadagni in progetti di sviluppo sostenibile o di innovazione verde, considerato che dal 1998 i suoi più grandi investimenti, oltre che in Amazon e nella sua Bezos Expeditions, hanno riguardato colossi come Google, Airbnb e Uber. Non sono mancati investimenti di altra caratura: un esempio è Plenty, compagnia nel settore agroalimentare, nota per i propri sforzi nell'individuare soluzioni sostenibili per lo sfruttamento dei terreni agricoli (pioniera nella coltivazione verticale).
Una goccia, però, nelle scelte di diversificazione del portafoglio portate avanti negli ultimi anni, considerato che pochi anni fa e ancora durante la crisi pandemica, Bezos ha investito milioni di dollari in proprietà immobiliari, confermando la scarsa propensione a investimenti a lungo termine di cui potrebbe beneficiare quantomeno la popolazione statunitense o le prossime generazioni. L'unica mossa degna di menzione è la decisione di aprire un fondo interamente dedicato alla lotta al cambiamento climatico, il Bezos Earth Fund, nato nel 2020, dopo che il suo fondatore, di fronte all'ovvio, ha dovuto fare un'importante scelta di immagine, essendo finito nel mirino della critica del mondo dell'ambientalismo (e non) per il modello di produzione e sfruttamento del lavoro di cui Amazon è pioniera.
Per l'occasione infatti, il magnate non ha dimenticato di ringraziare pubblicamente tutti i dipendenti e i clienti di Amazon per aver potuto finanziare il suo giretto nello spazio. Affermazione che avrà fatto risentire molti di quei dipendenti, costretti a lavorare senza sosta e senza pausa pranzo, magari con temperature inaccessibili, mentre Bezos fluttuava nello spazio.
Si rischia, quindi, di restare quantomeno attoniti di fronte alle parole di Bezos ai microfoni dell'emittente statunitense MSNBC, cui avrebbe detto che è nostra responsabilità costruire un ponte verso lo spazio per poter garantire un futuro ai nostri figli e discendenti. Verrebbe innanzitutto da chiedersi, date le premesse e gli elevatissimi costi dei viaggi interspaziali, a quali figli faccia riferimento; ai suoi e a quelli di altri miliardari che potrebbero permettersi il costo di un viaggio del genere o ai 356 milioni di bambini che vivono in condizioni di povertà assoluta?
Un piano simile, diverso dal punto di vista strategico ma ugualmente celebrato per il potenziale visionario, è quello del multimiliardario Richard Branson, il primo ad aver compiuto un viaggio turistico intorno alla Terra e un convinto sostenitore dell'idea (per la quale ha investito molti dei suoi guadagni) che l'esplorazione intergalattica possa diventare la nuova frontiera del turismo mondiale. Entrambi sembrano non tenere conto del potenziale di inquinamento di questo settore, senza considerare che intorno alla Terra fluttuano circa 8000 tonnellate di rifiuti e detriti abbandonati in orbita dopo e durante missioni spaziali, spesso di dimensioni inferiori ai 10 cm e per questo difficilmente rintracciabili e recuperabili.
Oltre al rischio di aumentare a dismisura la quantità di detriti e rifiuti umani nello spazio con l'avanzamento del turismo galattico, quest'ultimo legittimerebbe l'utilizzo (anche se riservato a una nicchia) di astronavi ultra inquinanti. In un momento in cui negli Stati Uniti avanzano gli incendi in moltissime zone del paese, vedere due multimiliardari galleggianti che fanno a gara per avere il controllo dei viaggi (privati) nello spazio non è di certo rassicurante. Fermiamoci un momento e torniamo indietro a quando un piccolo passo di un uomo cambiò davvero la storia dell'umanità, in un'epoca in cui i viaggi nello spazio da un lato costituivano il terreno di scontro di due Paesi invisibilmente in guerra, dall'altro hanno consentito alla ricerca scientifica di avanzare.
Ed era sempre in quella, in piena guerra fredda, che i miliardari costruivano bunker per sfuggire alla minaccia della bomba nucleare mentre i comuni mortali se ne stavano inchiodati sui loro divani di similpelle ad aspettare agonizzanti le ultime notizie dal fronte sovietico. Una storia che se non nella forma, almeno nei modi, si ripete. E mentre oggi i nostri fluttuanti eroi, a bordo delle loro navicelle spaziali, scappano - letteralmente e metaforicamente - dall'insorgere, sempre più evidente, della crisi climatica, il livello dell’inquinamento atmosferico dovuto alle attività industriali del pianeta, non ultime quelle prodotte proprio da Amazon, procede senza tregua.
È dunque dal confronto con il resto del mondo (il mondo degli sfruttati, magari proprio da Amazon) che quella che agli occhi di molti è parsa come una delle più grandi imprese mai compiute, si rivela per quello che è realmente: una gara tra privilegiati per aggiudicarsi l’esclusiva dello spazio.
La narrazione è sempre la stessa: l’innovazione, la sola grande leva per sconfiggere i mali causati dalla stessa umanità, ci guiderà tutti verso il cambiamento necessario per sconfiggere la crisi climatica. Che poi, prima di arrivare a soluzioni inclusive che salvaguardino tutta la popolazione mondiale e non solo il 3% più ricco, ci vogliano anni e tonnellate di emissioni di gas climalteranti, né Bezos né Brenson lo dicono esplicitamente. Eppure su ogni spot, articolo di giornale, emittente televisiva che acclama la grande impresa mancano le avvertenze per gli effetti collaterali che porta con sé l'infatuazione di massa per i viaggi galattici. Un antidoto alla quotidianità che, in tempi di crisi, ci fa sperare, facendoci voltare le spalle al mare di rifiuti abbandonati sul nostro pianeta, lontano o vicino da casa nostra, e che ci fa dimenticare che un modello alternativo all’espatrio di massa su Marte in caso di Apocalisse esiste e potremmo realizzarlo anche senza Elon Musk e Jeff Bezos.
In termini di comunicazione, spostare l'attenzione su qualcosa di irraggiungibile, come Marte, è il modo più efficace per preservare un sistema di sfruttamento di risorse, umane e naturali, di cui Amazon costituisce la punta dell’iceberg. La mancata volontà di investire, negli ultimi vent'anni, quei miliardi in progetti di ricerca a lungo termine su come ridurre il livello di inquinamento globale dimostra in maniera lampante un disinteresse di fondo rispetto alla più grande crisi che, in fin dei conti, riguarda solo quelli che non saranno così fortunati da potersi trincerare in bunker aerospaziali. Sì, proprio noi comuni mortali.
Perché guardare alla Terra e allo Spazio con la stessa curiosità, con la stessa voglia di scoprire, di per sé non è una scelta contraddittoria. Gli esseri umani da sempre sono affascinati dalle stelle e la conquista dello spazio, nella letteratura, nel cinema e nell'arte da secoli alimenta il nostro immaginario, lasciandoci ammaliare da racconti di guerre intergalattiche e viaggi verso mondi lontanissimi. Ma perdere il contatto con la realtà è una scelta che non possiamo permetterci se sulla terraferma dilaga l'emergenza climatica, neppure per immaginarci al posto di quei pochi fortunati che hanno passato qualche minuto tra le stelle.