In gun we trust: la svolta repubblicana
Come la lobby delle armi e il Partito Repubblicano sono passati dal sostenere il Gun control a chiedere di armare gli insegnanti nelle scuole.
Osservando i numeri sulla diffusione delle armi da fuoco negli Stati Uniti, si ha l’impressione che la celebre definizione dello Stato di Max Weber, come ente che detiene il monopolio dell’uso legittimo della forza/violenza, vacilli.
Secondo alcuni studi, infatti, la somma delle armi da fuoco detenute dal comparto militare statunitense e dalle forze di polizia non raggiunge l’1,5% del numero di armi detenuto dai civili: 400 milioni contro 5,5 milioni. L’altro dato, difficile da immaginare da questa parte dell’Atlantico, è che negli USA ci sono più armi da fuoco possedute da civili che civili stessi: 400 milioni di armi stimate per 329 milioni di abitanti. Negli ultimi anni, complice l’aumento della percezione di insicurezza da parte dei cittadini – dovuta anche ad un elevatissimo tasso di omicidi da arma da fuoco – questi dati non hanno fatto che crescere, al ritmo della vendita di milioni di nuove armi in più al mese.
Il diritto di possedere armi fu garantito costituzionalmente dal Secondo Emendamento alla Costituzione sancito nel Bill of Rights del 1791. La sua interpretazione politica e culturale risale sia alla necessità di difesa privata da parte dei cittadini in territori contesi ma estremamente vasti, alla necessità di difesa contro uno Stato considerato oppressore come la matrigna Gran Bretagna o all’eventualità che si dovesse ripresentare un governo tirannico nel futuro della giovane repubblica.
Questo argomento, che va ben al di là della passione per armi da caccia e sport ampiamente diffusa, se sommato all’individualismo classico che diffida del big government, ci avvicina a comprendere quali siano gli argomenti alla radice della diffusione – descritta dal politologo Spitzer come «Gun culture» –, ma non spiegano né l’espansione del fenomeno, né la progressiva politicizzazione del tema. Eppure, possiamo intravederlo nelle giustificazioni utilizzate dagli assalitori di Capitol Hill, oggi vicini al processo.
L’unico Presidente democratico membro della National Rifle Association (NRA) fu John Fitzgerald Kennedy, che aveva avuto come predecessore il repubblicano, generale pluridecorato Eisenhower, membro a sua volta della celeberrima organizzazione pro-armi, ma che viene spesso citato tutt’oggi per un famoso discorso del 1953 contro la corsa agli armamenti. In quel caso Eisenhower stava cercando una via d’uscita alla Guerra Fredda in concomitanza con la morte di Stalin, ma non prevedeva alcuna misura contro la diffusione domestica delle armi tra civili.
Fu, invece, il fratello Milton Eisenhower, un accademico, a essere scelto dal Presidente democratico Johnson per dirigere la Commission on the Causes and Prevention of Violence, resasi necessaria nel 1968 a seguito delle tragiche morti di Martin Luther King e Robert Kennedy che sconvolsero l’opinione pubblica assieme alla ormai ampissima diffusione della violenza politica e del terrorismo nel Paese. Sorprende scoprire che il risultato fu l’approvazione del Gun Control Act (GCA) supportato da molti repubblicani e dalla stessa NRA.
Fu solo a partire dagli anni Settanta che, come nel caso dell’aborto, il possesso di armi iniziò a politicizzarsi, diventando così una delle principali partisan issue che dividono l’identità dell’elettorato americano tra democratici e repubblicani. Dopo l’attentato al Presidente Reagan nel 1981, in cui venne gravemente ferito il suo portavoce James Brady, divenuto poi un attivista per il controllo delle armi, la graduale diffusione della microcriminalità assieme a una minore diffusione della violenza politica rispetto al decennio precedente, rafforzò la retorica della lobby delle armi e la loro pressione sull’amministrazione repubblicana, tanto da portare alla approvazione nel 1986 del Firearms Owners’ Protection Act (FOPA).
Ciononostante, alla luce di alcune stragi di massa verificatesi con tramite armi semiautomatiche – progettate quindi per un utilizzo militare e in grado di uccidere molte persone in pochi secondi – durante l’amministrazione di Bush padre venne approvato un bando all’importazione di armi d’assalto e lo stop alla produzione e vendita di alcuni modelli specifici nel Paese.
L’implementazione di provvedimenti analoghi continuò durante l’amministrazione Clinton e trovò ampio sostegno bipartisan, come l’approvazione di un registro federale (NICS) per controllare lo status e i precedenti della persona che si presenta in un negozio autorizzato per comprare armi. Gradualmente, la lobby per le armi tornò ad alzare il tiro con la retorica aggressiva di Wayne LaPierre – tutt’oggi amministratore delegato della NRA –, il quale in una lettera agli iscritti definiva nazistoide e dispotico l’atteggiamento del governo che voleva limitare il loro diritto alle armi.
Pochi giorni dopo ci fu l’attentato agli uffici del governo federale di Oklahoma City che uccise 168 a opera di un gruppo di terroristi di estrema destra. Questa successione di eventi spinse l’ex Presidente George H.W. Bush ad accusare l’NRA di favoreggiamento e a dimettersi da membro dell’organizzazione stessa, che dovette fare ammenda pubblicamente. Come noto, però, la cattiva pubblicità è comunque pubblicità e, a partire da quegli anni la percezione di insicurezza collettiva non solo rivitalizzò l’NRA, all’epoca in grave crisi finanziaria, ma dette il via alla progressiva diffusione di armi che continua oggi.
Infatti, la soluzione proposta al dilemma della sicurezza tutto interno fu contro intuitiva, ma retoricamente molto efficace. Se ci sono molte persone cattive con armi, e non possiamo farci niente perché è un loro diritto, è bene che ci siano molte persone buone con le armi. Questo ragionamento è lo stesso per cui, dopo l’ennesima strage compiuta da persone mentalmente instabili che hanno avuto accesso ad armi d’assalto, lo stesso ex Presidente Trump dal palco della convention dell’NRA afferma che la soluzione non può che essere quella di armare gli insegnanti della scuola primaria; un’opinione supportata dal 66% degli elettori repubblicani. Insomma, un dilemma della sicurezza senza fine dove la corsa al riarmo sembra destinata a una lotta contro sé stessi, più che a difendersi contro l’esterno.
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