In California, di legale è rimasta solo la cannabis
Come una legalizzazione lasciata andare ha portato lo Stato dell’oro ad avere a che fare con più problemi del previsto
Nell’immaginario di molti di noi, la California è quel paradiso fatto di sole, spiagge, musica, locali, Hollywood e, ammettiamolo, marijuana legale. Dal 2016, con il 57 per cento dei sì alla Proposition 64, la cannabis è legale per uso ricreativo tra gli adulti del Golden State, mentre lo era già dal 1996 per uso medico.
Come ha ricordato Matteo Muzio in un articolo comparso su Domani nel 2022, la strada verso la legalizzazione a uso ricreativo in California è stata lunga e non senza qualche inciampo. I californiani non sono sempre stati a favore e la guerra alla droga è stata combattuta anche sulle strade delle maggiori città dello Stato occidentale, non senza una buona dose di razzismo sistemico per cui il latino o l’afroamericano ricoprivano il ruolo di spacciatori responsabili per la perdizione dei giovani bianchi, mere vittime della degenerazione da stupefacenti. I primi referendum, non passati, risalgono però agli anni Settanta e il processo di depenalizzazione inizia nel 1976, con il governatore dem Jerry Brown: proprio quello sostituito nel 2019 dal suo ex vice Gavin Newsom, che rende il possesso di cannabis un illecito e non più un reato.
Salto in avanti al 2016, nell’America che si sveglia trumpiana i progressisti con la Proposition 64 hanno vinto una grande battaglia. Le promesse di tirare fuori il mercato della cannabis dall’illegalità, creando lavoro e un ritorno economico in tasse e sconfiggendo lo stigma razziale di cui sopra è una ricetta per il successo. Tuttavia, alcune cose non sono andate come sperate.
Da molti anni, il Los Angeles Times, tra i più grossi quotidiani del sud della California e della West Coast in generale – e, è dovere specificarlo, non esattamente di orientamento conservatore –, sta conducendo inchieste sui fallimenti della legalizzazione della cannabis e sulle promesse infrante che hanno portato a una situazione in realtà al limite del caotico: l’illegalità è ancora molto presente e nuovi problemi, come quello ambientale, sono emersi indisturbati.
Di corruzione e sociale tradita
Fatta la legge, trovato l’inganno, si dice. La gestione delle licenze per vendere marijuana, con la Proposition 64 passata, sono finite nelle mani del governo locale e, più nello specifico, in quelle di funzionari sottopagati e impiegati part-time. Dalle indagini, che hanno coinvolto anche l’FBI, sono esplosi corruzione e richieste di tangenti per una licenza, favori politici e conflitti di interesse, tanto da richiedere un intervento statale con inchieste interne per stanare i casi all’interno degli uffici californiani.
I problemi burocratici hanno anche piagato le promesse di equità sociale. Le condanne per reati legati alla cannabis avrebbero dovuto essere eliminate automaticamente con l’entrata in vigore della legalizzazione. Invece, migliaia di persone sono rimaste in attesa di vedere la propria fedina penale ripulita. Questo almeno fino al 2022, grazie proprio a un’inchiesta del Los Angeles Times, che ha fatto in modo che le corti avessero una scadenza precisa entro la quale procedere all’annullamento degli illeciti e trasmettere i dati al Dipartimento di Giustizia. Nello specifico, proprio a Los Angeles, il programma cittadino dedicato a facilitare l’ingresso nel mercato delle minoranze storicamente colpite dalla guerra alla droga (latinos e afroamericani, come si diceva sopra) ha fallito miseramente. Infatti, le promesse di affitti negoziati, prestiti agevolati e rinvio dei costi burocratici si sono tradotte in attese draconiche di anni, prezzi degli affitti impossibili e indebitamento solo per aprire un’attività, portando gli interessati a spendere migliaia di dollari senza poter di fatto vendere alcun prodotto, come ha raccontato SFGate, e non risolvendo in alcun modo la marginalizzazione economica – quasi il contrario.
L’illegalità strisciante
Nonostante la legalizzazione in California portasse con sé la promessa della fine dell’illegalità e delle economie sommerse, dal 2016 le coltivazioni illegali in California sono aumentate, con una presenza stimata di circa 50.000 unità.
La proliferazione di serre illegali si accompagna allo sfruttamento lavorativo dei coltivatori, spesso stranieri, per lo più messicani, argentini, cileni e cinesi. Costretti a vivere in condizioni degradanti in baracche improvvisate vicino alle coltivazioni, lavorano a ritmi serrati ed estremi, sono pagati cifre ridicole e sono sorvegliati a vista da uomini armati, con il costante rischio di subire violenza. Si sono verificati anche numerosissimi decessi, documentati nel 2022 dal Los Angeles Times, causati dall’inalazione di monossido di carbonio e pesticidi e, in alcuni casi, ferite di arma da fuoco. I passaporti e i cellulari vengono spesso requisiti, prevenendo ogni forma di contatto con l’esterno, richiesta di aiuto o anche solo un’uscita legale dal Paese per fuggire. I giornalisti del Times hanno trovato anche lavoratrici incinte costrette a lavorare e vivere a stretto contatto con sostanze pericolose per la gravidanza, ovviamente senza alcuna protezione. Nelle baracche di alcune serre, gli agenti di polizia e di Homeland Security hanno trovato anche bambini piccoli, figli dei lavoratori.
Anche in questo caso, dopo l’inchiesta, il Dipartimento per il controllo della cannabis californiano ha deciso di agire, chiedendo la collaborazione delle forze dell’ordine per stanare le coltivazioni illegali e fermare lo sfruttamento a esse connesso.
Pesticidi, test truccati e rischi ambientali
Ulteriori inchieste hanno sottolineato come più della metà dei prodotti legali testati contenga tracce di pesticidi a livelli pericolosi, superiori a quelli ammessi dalle leggi statali. Infatti, diverse analisi di laboratorio hanno evidenziato come molti prodotti certificati come conformi in realtà fossero contaminati, portando alla luce un sommerso di comportamenti fraudolenti da parte dei tecnici che falsificavano i risultati. Sono stati richiesti ovviamente dei ritiri, anche se ormai il danno è stato fatto.
Secondo i sondaggi ufficiali, i consumatori più attivi sono giovani tra i 18 e i 34 anni; i metodi più comuni di assunzione sono il fumo, il consumo tramite cibo e, al terzo posto, lo svapo. Il problema qui deve essere visto anche sotto la lente sanitaria. Un prodotto contaminato è ovviamente pericoloso per l’utente, perché trova una via diretta per circolazione sanguigna, polmoni e cervello. Senza contare il consumo, magari per motivi medici, da parte di una persona con problemi di salute pregressi, che possono aggravarsi in maniera irrimediabile: la comunità medica e scientifica lamenta una mancanza di studi a riguardo.
Infine, il fallimento nel contenere l’illegalità ha portato a danni ambientali non indifferenti in alcune aree della California dove si concentrano alti numeri di serre non autorizzate. Si verifica uno sfruttamento intensivo delle foreste, con alberi abbattuti senza permesso per creare dighe di fortuna o di canali artificiali per l’irrigazione, che porta a dissesto idrogeologico. Ancora, i pesticidi riversati nei torrenti che si riversano in mare inquinano la popolazione ittica e mettono in pericolo la pesca nelle zone. I pesticidi sono anche pericolosi per la fauna intorno alle coltivazioni, come uccelli o piccoli animali.
Che eredità per il Partito Democratico californiano?
La gestione approssimativa della legalizzazione è alla causa di tutti questi problemi. Nonostante ciò, i californiani continuano a essere favorevoli alla legalizzazione, con un 64 per cento registrato nel 2023 di pareri positivi.
La California è una fortezza democratica, un blue state inespugnabile. Tuttavia, le ultime elezioni presidenziali hanno fatto sudare i dem: nonostante l’alto margine di Kamala Harris su Trump, questa ha ottenuto comunque meno voti di Biden nel 2020, con i risultati peggiori negli ultimi vent’anni.
Gavin Newsom, tra i più ferventi sostenitori della Proposition 64, nel 2016 urlava alla folla che l’obiettivo era la giustizia sociale, per rimediare al fallimento della guerra alla droga. Non si vuole di certo fare speculazioni azzardate, ma la guerra alla droga è un cavallo di battaglia conservatore: da Richard Nixon, il presidente che nel 1973 ha creato la DEA (Drug Enforcement Administration), l’agenzia federale antidroga statunitense, fino ai coniugi Reagan, con Ronald che parlava di issare un vessillo di guerra mentre Nancy coniava il famosissimo “Just say no”. Anche se oggi il focus di una seconda guerra alla droga sono gli oppioidi come il fentanyl, certi fallimenti della legalizzazione, specie per le categorie più colpite, non sono di certo ignorabili.
Ci si domanda dunque se questo avrà un peso sulla scelta del prossimo candidato dem alle elezioni del governatore nel 2026, o almeno se la prossima amministrazione proverà a risolvere ulteriormente i problemi che vengono da una cattiva gestione. Oppure se creerà terreno per un’avanzata repubblicana dell’era Trump, che riprenderà quel vecchio vessillo di guerra reaganiano e conservatore, sfruttando un’occasione per screditare il Partito Democratico anche nella sua fortezza.
Per approfondire l’inchiesta del Los Angeles Times, si rimanda a questo link.