Il Trumpismo mainstream di Tucker Carlson
Tra i Repubblicani non serve amare veramente Trump per avere successo con il proprio pubblico. L'importante è abbracciare il Trumpismo, e Tucker Carlson l'ha capito benissimo.
«Lo odio profondamente», scriveva di Donald Trump in un messaggio a un suo collega, il 4 gennaio 2021. Eppure, nell’ultimo decennio, il giornalista Tucker Carlson è diventato il personaggio più influente del movimento Make America Great Again, entrando stabilmente nella cerchia stretta dell’ex Presidente. Quella che sembra una contraddizione tra il privato e il pubblico non deve sorprendere, perché ormai è di casa all’interno del Partito Repubblicano: anche J.D. Vance, attuale candidato Vicepresidente di Trump, lo aveva definito nel 2016 «l’Hitler americano». Fin dall’elezione del Tycoon, è diventato evidente che un Repubblicano che voglia avere successo nel proprio partito e tra i suoi elettori non possa più schierarsi contro il Trumpismo, ma debba abbracciarlo. Una lezione che Tucker Carlson ha imparato subito, trasformandosi in una figura di riferimento potente quasi quanto Trump stesso.
Come si diventa il giornalista più visto d’America?
Nato nel 1969, Tucker Swanson McNear Carlson è il figlio maggiore di Lisa McNear, artista californiana, e Dick Carlson, giornalista e futuro Direttore della radio Voice of America. Rimasto in custodia del padre dopo il divorzio dei genitori, Carlson passò l’infanzia e l’adolescenza in viaggio: frequentò le scuole elementari a San Diego, il collegio in Svizzera, le superiori nel Rhode Island e infine l’università in Connecticut, laureandosi in Storia al Trinity College di Hartford. Dopo il college, Carlson si candidò per entrare nella CIA, senza successo. Il padre allora lo spronò a tentare la sua strada: «Dovresti considerare il giornalismo», gli disse un giorno, «prendono chiunque».
L’inizio della carriera di Carlson fu abbastanza canonico. Assunto al The Weekly Standard di Washington, Carlson si distinse presto come un giornalista di talento, capace di tenere insieme serietà e leggerezza. Tra gli anni Novanta e Duemila, i suoi articoli comparirono pian piano su Esquire, Forbes, e altri giornali famosi, mentre allo stesso tempo Carlson arrivava in TV sulla CNN. Dal 2001, divenne co-conduttore di Crossfire, un programma che confrontava le posizioni dei liberali e dei conservatori, partendo da due conduttori di idee politiche opposte. Crossfire venne però cancellato nel 2005, dopo una dura critica ricevuta in diretta da Jon Stewart, che accusò il programma di danneggiare il dibattito pubblico dando troppa importanza agli estremi. Carlson allora cambiò rete, approdando a MSNBC con il suo programma Tucker.
Negli stessi anni, Carlson iniziò ad avvicinarsi esplicitamente alla destra più conservatrice del Partito Repubblicano, definendo in diverse occasioni l’immigrazione un’«invasione». Solo il passaggio a Fox News nel 2009 e la sua esperienza nel 2010 col sito The Daily Caller, di cui fu co-fondatore, l’avrebbero trasformato nella figura di riferimento per l’estrema destra americana. Su Fox News, Carlson poteva esprimere il suo malcelato disprezzo verso l’establishment sia Democratico, che Repubblicano moderato, mostrandosi come una figura controcorrente che non si tira indietro dal criticare i “poteri forti“. Invece, sul suo The Daily Caller, Carlson si schierava contro la saccenza degli esperti, privilegiando la pubblicazione di reportage originali (in realtà pieni di clickbait e notizie false).
L’elezione di Trump
Il 2016 è l’anno che fa veramente la differenza per Tucker Carlson. Nella sfida tra Hillary Clinton, considerata la rappresentante per eccellenza dell’establishment , e Donald Trump, Carlson si schiera apertamente con quest’ultimo, definendolo in un editoriale «Shocking, Vulgar and Right». Per Carlson, Trump è il risultato dei fallimenti dei Repubblicani e della loro «corruzione intellettuale», ma allo stesso tempo è l’unico candidato che va oltre il politicamente corretto per parlare dei veri problemi del Paese. Solo lui, pur nella sua impopolarità e bizzarria, può veramente sconfiggere Clinton.
Oggi sappiamo che la vittoria Repubblicana ebbe molte e diverse cause, ma ciò che è certo è che l’elezione di Trump fu un volano anche per Carlson, che incarnava la lotta culturale contro i liberali, gli immigrati, le “élite“ e tutti gli altri nemici dell’immaginario del Presidente. Pochi giorni dopo il voto, il 14 novembre 2016 Fox inaugurava il Tucker Carlson Tonight. In sette anni di messa in onda, sarebbe diventato non solo lo show di punta della rete, ma anche il programma giornalistico più importante di tutta la prima serata, oltre che uno dei preferiti di Trump.
Durante la Presidenza, il rapporto tra i due si sarebbe fatto sempre più stretto. Carlson, a differenza di altri giornalisti di destra, non si limitava a una costante apologia di Trump, ma, consapevole che il Presidente fosse tra gli spettatori, si permetteva di criticarlo quando le sue politiche si allontanavano dalle promesse fatte in campagna elettorale. Nel suo avventurarsi all’interno del cospirazionismo alt-right, sostenendo teorie come la “sostituzione etnica“ contro i bianchi o i dubbi sull’efficacia dei vaccini, Carlson si faceva sempre più un profeta del Trumpismo, influenzando molte delle idee e delle decisioni politiche del Presidente, insieme alle opinioni di milioni di telespettatori.
Se il cospirazionismo, però, era apprezzato dalla destra, non lo era allo stesso modo dagli inserzionisti. Dopo le critiche in diretta di Black Lives Matter nel 2020, multinazionali come la Walt Disney Company e Papa John's decisero di non pubblicizzare più i propri prodotti nel programma. L’anno successivo, inoltre, Carlson fu uno dei protagonisti della causa legale per diffamazione mossa da Dominion Voting Systems contro Fox News. L’azienda era stata accusata da Carlson e da altri presentatori di aver influenzato le elezioni a favore del candidato Democratico Joe Biden, permettendogli di “rubare” la vittoria a Trump. Fox News, patteggiando in tribunale, fu costretta a risarcire l’azienda per 787,5 milioni di dollari. Questi e altri problemi causati da Carlson furono probabilmente la causa del suo licenziamento, arrivato ad aprile 2023.
Da conduttore a influencer, per entrare in politica?
Lasciati gli schermi televisivi, Carlson non è rimasto con le mani in mano, ma a un mese dall’allontanamento si è rilanciato su Twitter con il nuovo Tucker on Twitter (poi Tucker on X). Senza tradire le sue posizioni sempre più estreme, Carlson ha iniziato il nuovo show con una puntata dedicata agli alieni, al neonazismo in Ucraina e ai complotti su Black Lives Matter e l’11 settembre. Nel corso del 2024, invece, ha rilanciato con un’intervista a Putin, diventata virale per il numero di bugie e assurdità dette dall’intervistatore e dall’intervistato (ne abbiamo parlato in una puntata del nostro podcast Magic Minute), mentre più recentemente ha dialogato con Darryl Cooper, un negazionista dell’olocausto.
Nel frattempo, l’influenza di Carlson su Trump è diventata diretta e non più mediata dagli schermi televisivi. Carlson è stato tra le figure fondamentali nella scelta di J.D. Vance come candidato Vicepresidente, mentre partecipa pubblicamente ai comizi del ticket Repubblicano e ne è uno dei consiglieri più ascoltati.
Il risultato delle elezioni presidenziali sarà la prossima tappa di questa lunga storia. Se a novembre vincerà Trump, potremmo aspettarci un qualche ruolo ufficiale per lui accanto al Presidente. Se perderà, invece, c’è una grande probabilità che lo vedremo partecipare alle primarie nel 2028, e non più come semplice elettore. Di sicuro, non smetteremo di sentire parlare di lui e delle sue idee.