Il ritorno di Donald Trump potrebbe aumentare i conflitti in Medio Oriente?
Nonostante la recente incriminazione di Donald Trump, la popolarità dell’ex presidente è sempre alta. Come una sua vittoria potrebbe cambiare di nuovo gli equilibri internazionali
Nonostante la recente incriminazione di Donald Trump, la popolarità dell’ex Presidente è sempre alta. Un sondaggio realizzato nel 2021 ha rivelato che il 74% dei Repubblicani americani avrebbe voluto che Trump corresse di nuovo alle Presidenziali del 2024. La notizia era significativa allora e lo è ancora di più adesso che i risultati di un sondaggio più recente indicano l'ex Presidente nettamente favorito nelle prossime primarie repubblicane rispetto a Ron DeSantis.
Normalmente negli USA un candidato sconfitto non si presenta alla successiva elezione; ma Trump non ha mai accettato il risultato delle elezioni 2020 e ha già dimostrato di non voler rispettare le regole. Inoltre, negli USA 50 milioni di voti possono bastare per diventare Presidente, soprattutto perché il complicatissimo sistema elettorale in certi casi permette la vittoria anche prendendo meno voti dell'avversario. Lo stesso Trump nel 2016 fu eletto prendendo quasi tre milioni di voti meno di Hillary Clinton, e Al Gore perse pur prendendo più voti di Bush jr.
Certo, molti potrebbero stupirsi che il magnate newyorkese continui ad avere così tanti sostenitori dopo i tragici eventi di Capitol Hill dove persero la vita cinque persone. Dato che il pragmatismo, la faccia tosta e l'ostentazione della contraddizione sono la cifra di Trump, unite a un'aggressività e una mancanza di buone maniere, l'ipotesi di un suo ritorno alla Casa Bianca non è impossibile.
La capacità di Trump di aver fiutato l'insofferenza per l'odiosa tendenza del politically correct è stata tatticamente straordinaria. Trump non ha creato il sovranismo e l’alt-right, né il complottismo e la sensazione di smarrimento, ma li ha sfruttati alla perfezione.
Le conseguenze a livello interno di un suo ritorno sono oggetto di analisi da tempo. Quali sarebbero le ripercussioni a livello esterno e soprattutto per il Medio Oriente? Con Israele in teoria non dovrebbe cambiare molto, ma probabilmente Trump non metterà alcun freno al governo Netanyahu, il che potrebbe avere come conseguenza un inasprimento della conflittualità, e ridare un vigore al movimento estremista Hamas, strettamente legato al regime iraniano.
Inoltre, Trump è sempre stato vicino a Putin. Quindi, anche se difficilmente la politica di Washington nei confronti della Russia può essere stravolta, è altrettanto vero che dialogo tra la Casa Bianca e Cremlino sarebbe diverso da quello attuale; e questo avrebbe delle implicazioni in Siria. Soprattutto il miliardario newyorkese ha sempre avuto un ottimo rapporto con Erdogan.
Il sultano era in una situazione opposta, cioè, era al potere, ma rischiava di perderlo. In questi anni ha modificato la costituzione del Paese e ha fatto seguire al tentativo di golpe del 2016 una spaventosa repressione, facendo arrestare molti oppositori politici e giornalisti, tanto chela Turchia è stata definita nel 2020 dalla IFJ il più grande carcere di giornalisti del mondo.
Erdogan in questi anni ha cercato di distruggere l'opposizione, ma non ci è riuscito del tutto. Ha usato il potere di veto per bloccare l’ingresso di Finlandia e Svezia nella NATO e ricattare i Paesi scandinavi, chiedendo la consegna dei rifugiati politici kurdi, lo stop dell’embargo di armi alla Turchia, iniziato dopo l’invasione della Siria del Nord nel 2018, e la fine degli aiuti soprattutto svedesi al Rojava.
Pur avendo corso un grosso rischio, Erdogan ha vinto le presidenziali turche, al secondo turno, con il 52% contro il 48% dello sfidante, il kemalista progressista Kilicdaroglu.
Se l'anno prossimo Trump riuscisse a partecipare e a vincere, la situazione per la Federazione della Siria del Nord, il Kurdistan siriano - che, oltre a una maggioranza di kurdi ospita, in una non comune tolleranza reciproca, anche arabi, assiri e altre minoranze etno-linguistiche - e la peculiare esperienza del Confederalismo Democratico sarebbero in serio pericolo. Probabilmente ci sarebbero dei problemi anche per la regione autonoma del Kurdistan iracheno, che sia le forze armate turche che quelle iraniane bombardano costantemente probabilmente perché hanno in mente di spartirsi in futuro.
I due principali attacchi organizzati delle forze armate turche al Rojava sono avvenuti durante la presidenza Trump. La prima, operazione Ramoscello D'Ulivo, era stata probabilmente concordata con la Russia, che aveva truppe presenti nel cantone di Afrin nel 2018 e permise ai turchi e ai jihadisti loro alleati di conquistarlo, compiendo molte atrocità, come testimoniato anche dal New York Times
Nel 2019 Trump ordinò la parziale smobilitazione delle truppe USA dal Rojava - il solo annuncio aveva portato alle dimissioni del segretario alla Difesa, generale Mattis - e immediatamente Erdogan lanciò la seconda azione, l'operazione Sorgente Di Pace, che portò alla conquista turco/jihadista di vari territori controllati da SDF, le Forze Siriane Democratiche, costituite dalle milizie kurde YPG/YPJ e milizie arabe e assire.
Con l'abituale faccia tosta, nonostante le SDF fossero e siano tuttora ufficialmente alleate con le forze armate USA e di altri Paesi nella Coalizione Internazionale anti-ISIS, Trump disse che i kurdi non erano angeli, che non avevano aiutato gli americani in Normandia nel 1944 e altre amenità.
Tutti questi motivi, legati a una politica estera confusionaria specialmente in quell’aria, ci fanno pensare che un eventuale ritorno di Mr. Trump potrebbe aumentare la conflittualità nel Medio Oriente.