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Il problema culturale della purezza del sangue
Durante la Seconda Guerra Mondiale le sacche di sangue venivano segregate; una storia del fenomeno e di come la comunità afroamericana fece di tutto per rendere consci del problema
“Io non ho niente da offrirvi, se non sangue, sudore, lacrime e fatica”, pronunciava Winston Churchill alla Camera dei Comuni mentre assumeva l’incarico più difficile del mondo occidentale: mantenere il Regno Unito all’interno di una guerra che si stava pericolosamente inclinando verso una sconfitta totale. L’obiettivo churchilliano, esemplificato successivamente da libri e film, era quello di dipingere il mondo occidentale come il grado perfetto raggiunto dalla società umana, descrivendo il nazismo come un virus che andava sconfitto; non si poteva offrire condizioni per combattere, sarebbe dovuto bastare l’amore per la patria e il proprio stile di vita. Questa è la visione che ci è stata insegnata a partire dalla scuola della Seconda Guerra Mondiale, il conflitto più dicotomico del mondo contemporaneo, in cui esistevano in modo preciso Bene e Male. Per gli afroamericani, però, era difficile apprezzare questa narrazione: non che non credessero che il nazismo fosse il male assoluto – quello era ben chiaro – ma non riuscivano a pensare di combattere senza ottenere qualcosa in cambio. Si trattava di una popolazione prima schiava e successivamente discriminata, e per questo avrebbero voluto ottenere tramite il sacrificio bellico un futuro migliore e una cittadinanza più giusta.
L’analisi di come e perché gli afroamericani hanno combattuto sui campi di battaglia è complessa da ridurre a poche battute dato che ha investito quasi tutti gli aspetti della società, fino a costruire una campagna mediatica sulla stampa della comunità dal nome di “Double Victory Campaign”, e ci concentreremo su un momento specifico e poco conosciuto: la segregazione delle sacche di sangue.
All’inizio del Ventesimo secolo la scienza aveva fatto molti passi avanti, tanto da aver scoperto i moderni gruppi sanguigni; questo demolì ogni credenza sulle differenze etniche per quanto concerneva il sangue. Se a livello medico diventò quindi un fatto la totale uguaglianza tra il sangue di un bianco e quello di un nero, nel Sud degli Stati Uniti rimase in piedi una credenza culturale, razzista e vicina alle idee dell’estrema destra fascista e nazista, per cui questo andasse associato alla purezza razziale e quindi non dovesse essere mischiato per nessuna ragione. Gli uomini del Sud, compresi alti esponenti della classe politica come il Deputato Democratico Rankin del Mississippi, erano terrorizzati dall’idea di ricevere sangue nero in corpo, alterando per sempre la purezza della propria stirpe, e per questo la Croce Rossa americana all’inizio della guerra determinò che i neri non potessero donare.
Nella comunità afroamericana il problema si generava dato l’assoluto bisogno di sangue nel Paese, uno dei beni più importanti in guerra: il Governo aveva costruito una campagna la cui idea cardine era determinare che un qualsiasi vero americano, operaio o attore famoso, aveva lo stesso dovere, quello di donare sangue alla patria. Se solamente i bianchi potevano farlo, però, solo loro potevano considerarsi veri americani. Per i neri, quindi, la richiesta di poter donare diventava propedeutica a ottenere gli stessi diritti e doveri: era questo il modo in cui gli afroamericani negli anni ’40 vedevano la cittadinanza, non qualcosa di dato per nascita, ma un riconoscimento di fare attivamente parte di una stessa comunità, cosa che, nonostante ogni sforzo, veniva loro costantemente negata.
Dopo un crescente numero di proteste la Croce Rossa cambiò politica determinando quella che è stata definita la segregazione del sangue; i neri avrebbero potuto donare, ma solo ad altri neri. La realtà è che solo il sangue afroamericano venne segregato, e questo generò una nozione molto espansiva del concetto di bianco, che comprendeva latini e asiatici, e una radicalmente escludente di nero, che vedeva inseriti solo gli afroamericani. È oggettivo che non ci fosse alcun motivo scientifico, e le stesse alte sfere della Croce Rossa sapevano che si stavano piegando a una visione razzista della società sudista, ma avevano paura che in caso contrario molti americani si sarebbero rifiutati di combattere: nessuno ha però posto enfasi sul fatto che queste visioni razziste contro la mescolanza del sangue erano condivise solo dal 32% del pubblico bianco, e quindi si stavano costruendo politiche ad uso esclusivo di una minoranza di persone.
A mantenere alto il morale della comunità afroamericana in una situazione critica ci pensavano – per l’appunto – le pubblicazioni interne alla comunità; per tutta la guerra queste furono un veicolo per parlare apertamente della discriminazione che i neri subivano all’interno del Paese, facendo sì che i soldati di colore nei training camp e al fronte potessero leggere notizie che rappresentassero il loro punto di vista sul mondo, totalmente assente dalle pubblicazioni bianche. Con le politiche discriminatorie sul sangue non si fece eccezione; si creò un’intera campagna di stampa che aveva come obiettivo principale capovolgere l’assunto secondo il quale i bianchi sarebbero stati il nucleo etnico più intelligente. I razzisti del Sud, infatti, basavano le loro politiche su pregiudizi antiscientifici, negati da qualsiasi medico del Paese. Come potevano i bianchi essere più intelligenti e colti se non rispettavano nemmeno la regola di seguire i pareri degli esperti? Le campagne di stampa di giornali come il “Chicago Defender”, una delle massime pubblicazioni afroamericane, parlavano di un problema psicologico del mondo bianco, che poteva essere cambiato solo con l’educazione.
Tutto questo non cambiò la realtà segregativa durante la guerra; il sangue rimase diviso fino al 1950. Nonostante questo, però, il fatto che ci fosse volontà da parte di un prodotto culturale di prendersi in carico questa battaglia generò nel mondo afroamericano più volontà di combattere contro il nazifascismo; in uno scontro totale tra Bene e Male per gli afroamericani era importante tenere viva la speranza di poter migliorare la propria condizione all’interno delle forze del Bene, perché la vittoria per tornare alla situazione precedente poteva essere idilliaca per i bianchi europei, ma per loro sarebbe stata l’ennesima occasione mancata.