Il Papa che Trump non voleva
Il primo pontefice americano della storia, che incarna una Chiesa distante dai valori del trumpismo cattolico
Il Giubileo della Speranza rischia di passare alla storia come il Giubileo della transizione. Inaugurato in un contesto internazionale attraversato da un riassestamento profondo della leadership democratica globale, l’Anno Santo del 2025 è stato segnato da eventi straordinari — primo fra tutti, la morte del Papa proprio nel giorno di Pasqua. Un precedente tanto singolare si era verificato solo nel Giubileo del 1700, con la scomparsa di Innocenzo XII.
Nel giro di poche ore si sono diffuse manie di simbolismo e interpretazioni apocalittiche, mentre il mondo intero guardava verso San Pietro, in attesa della celebre fumata e del nome del nuovo Papa. Numerose le supposizioni, altrettanti i nomi dei papabili, rimbalzati da una redazione all’altra e rilanciati dai media di tutto il mondo, tra chi sperava in un Papa italiano e chi prevedeva il primo Papa africano. Grande è stato lo stupore, non solo tra i fedeli, quando, l’8 maggio, dopo meno di due giorni di conclave, la fumata bianca ha annunciato un nome che nessuno si aspettava: Robert Francis Prevost, il primo Papa americano.
Con il nome di Leone XIV, questo agostiniano sessantanovenne di Chicago — giovane, per gli standard papali — ha, per altri motivi, suscitato lo stesso effetto sorpresa del gesuita latino-americano che, nel 2013, scelse di chiamarsi come il santo protettore dei poveri: Francesco. Al di là di qualsiasi significato religioso, molti saranno i risvolti geopolitici di questa nomina, soprattutto in un momento in cui il potere e l’influenza che l’America esercita sul mondo stanno cambiando.
Oltre a essere la figura apicale della Chiesa cattolica, il Papa è anche il capo dello Stato Vaticano: una realtà extra-nazionale che, simbolicamente, moralmente e politicamente, rappresenta una delle presenze più influenti del panorama occidentale. E per la prima volta nella storia, al vertice di due istituzioni così diverse— la Casa Bianca e il Vaticano — siedono due statunitensi.
Papa Leone XIV è stato cardinale per appena due anni prima dell’elezione al soglio pontificio e il suo percorso all’interno della gerarchia vaticana è stato molto più breve e atipico rispetto a quello di molti suoi colleghi. La sua carriera inizia nel 1981, con i voti solenni a Roma, prima di partire per il Perù come missionario. È proprio nello Stato sudamericano che troverà la direzione da seguire per concretizzare il suo impegno di fede, tra Trujillo e Chiclayo.
Se da un lato l’elezione di Prevost è stata accolta con entusiasmo dai fedeli di entrambe le Americhe e dalle correnti più aperte della Chiesa, dall’altro ha deluso le aspettative dei cardinali americani più conservatori, legati all’universo valoriale dell’America trumpiana. Nell'era Trump il cattolicesimo ha riacquisito un vigore e un’importanza che negli Stati Uniti non aveva da tempo, e la fede è tornata a essere percepita come un metro morale di giudizio pubblico. Ora il mondo è in attesa di capire che rapporto instaurerà il Presidente americano con il nuovo leader del Vaticano, e viceversa.
Per farlo, la stampa ha rapidamente riportato l’attenzione sul profilo X di Prevost, che nella bio si definisce “Católico, agustino, Obispo” e, lo scorso febbraio, aveva commentato le posizioni di J.D. Vance sull’immigrazione scrivendo: “J.D. Vance si sbaglia: Gesù non ci chiede di fare una gerarchia del nostro amore per gli altri”.
Affermazioni e repost che hanno prontamente infervorato l’elettorato MAGA e i diretti collaboratori di Trump, come Steve Bannon, che lo ha definito “papa anti-Trump”, nonché “la peggior scelta per i cattolici MAGA”. Bannon si riferisce a quella frangia del cattolicesimo americano particolarmente conservatrice che, durante la prima e l’attuale presidenza, Trump ha visto crescere come proprio bacino di elettori.
Il MAGA Catholicism porta avanti le stesse battaglie dell’amministrazione presidenziale applicandole sul fronte religioso, battendosi per la difesa dei valori tradizionali contro le ideologie della sinistra radicale, mobilitando il voto cattolico e promuovendo le libertà religiose e le cause pro-life. Questa corrente cattolica non cela il suo diretto legame con l’entourage del presidente Trump ed è sempre più presente in molti ambiti.
Il 19 marzo 2025, in occasione della solennità di San Giuseppe, si è tenuto al resort Mar-a-Lago in Florida, per il secondo anno consecutivo, il Catholic Prayer for America Gala, organizzato dal gruppo conservatore Catholics for Catholics. Un evento che ha visto la partecipazione di circa un centinaio di sacerdoti, insieme a numerosi laici e figure di spicco del mondo politico e religioso americano. Tra gli ospiti d’onore figuravano Joseph Strickland, ex vescovo di Tyler (Texas) e fervente oppositore di Papa Francesco; Taylor Marshall, ex sacerdote anglicano diventato noto podcaster cattolico; e Eduardo Verástegui, attivista religioso e celebrità delle soap opera messicane. Un gruppo eterogeneo, ma che porta avanti le stesse idee di opposizione all’America woke, alla difesa dei diritti LGBTQ+ e soprattutto all’apertura dei confini per un’immigrazione più libera.
La loro speranza di vedere un Papa più ideologicamente allineato è sfumata con l’elezione del Latin Yankee, come è conosciuto Prevost negli ambienti della curia romana: una scelta che segna la volontà del Vaticano di non piegarsi alle pressioni della politica americana, mirate a insediare un pontefice favorevole al presidente Donald Trump.
Non resta che attendere e osservare con attenzione i primi passi di Leone XIV, per capire se sceglierà di proseguire lungo il sentiero tracciato da Papa Francesco — fatto di apertura, accoglienza e riforme — oppure se opterà per una linea più cauta e meno esplicitamente progressista.
Nel frattempo, è da vedere quale sarà la reazione ufficiale di Donald Trump e della sua amministrazione. Se le posizioni del nuovo pontefice dovessero entrare in rotta di collisione con quelle della Casa Bianca, si aprirebbe uno scenario del tutto nuovo: uno scontro ideologico tra due leader americani, su due fronti simbolicamente universali.
Un’eventualità che rischierebbe di acuire le fratture già presenti all’interno del cattolicesimo statunitense, rafforzando le spinte identitarie del fronte MAGA e dando ulteriore slancio a una corrente che, da semplice opposizione interna, aspira sempre più a diventare una forza egemonica.