Il flag football è la nuova frontiera dello sport americano
A Los Angeles esordirà il flag football. La NFL sta investendo molto sull’espansione di questa disciplina all’insegna dell’inclusività per chi la pratica e per chi la guarda
Dopo l’edizione di Atlanta del 1996, gli Stati Uniti ospiteranno nuovamente i Giochi olimpici nel 2028, con sede a Los Angeles. Lo faranno inserendo uno sport marchio di fabbrica dell’identità stelle e strisce, o quasi. È nota a tutti la passione degli americani per il football, disciplina che conosciamo per i lanci lunghi in avanti e i touchdown, e i più appassionati sanno bene chi sono Tom Brady e Patrick Mahomes.
Fra quattro anni, però, non vedremo questo sport in televisione, ma il flag football. Come suggerisce il nome, siamo sempre nel campo della palla ovale, ma con qualche piccola e fondamentale differenza. Innanzitutto, si gioca in cinque contro cinque dandosi battaglia su un terreno di 70x30 iarde, mentre nel football tradizionale si affrontano due squadre composte da undici giocatori su un campo di 120x53 iarde. La regola che più distingue le discipline riguarda i placcaggi. Niente più atleti con fisici massicci che si spintonano al centro dell’azione o difensori che buttano a terra l’avversario con totale noncuranza delle buone maniere. Nel flag football questa seconda azione è sostituita da tre cinture di tessuto, dette appunto bandiere. Due sono poste nei fianchi e una dietro, attaccate ai pantaloncini. Staccare una flag all’avversario equivale a placcarlo, quindi pone termine all’azione.
Il flag football non è un’invenzione recente degli Stati Uniti. La sua storia inizia nella Seconda guerra mondiale da un’idea dei soldati americani. Già negli anni Sessanta si era istituzionalizzato, con una federazione ufficiale che gestiva i campionati e le varie competizioni. La novità risiede invece nel fatto che la NFL investa molte risorse nella diffusione di questo gioco. La grande lega del football americano non lo vede come un rivale, piuttosto come un alleato per l’espansione del football in tutti i Paesi del mondo e a tutte le persone. Il primo punto da tenere in considerazione è la maggior accessibilità di questo sport. Non occorre essere super atleti, come i giocatori della NFL, perché il contatto fisico è quasi azzerato. Un campo ristretto e la necessità di rubare o non farsi rubare la bandiera spostano il fulcro sulla velocità. Un altro fattore molto importante, legato sempre allo scontro fisico, riguarda la salute dei giocatori. Nel recente passato sono emerse storie terribili di ex sportivi che hanno riportato danni al cervello per le botte prese in campo. Eventi del genere non sono certo una buona pubblicità per il football, soprattutto quando i genitori devono decidere verso che strada sportiva incanalare i loro figli. Il flag football, dunque, riduce questo problema, anzi, lo annulla. Diventa poi un’arma a favore dello stesso sport tradizionale. Per molti bambini potrebbe essere un avvicinamento graduale e non traumatico al football americano.
A leggere questi argomenti sembrerebbe che il flag football sia uno sport davvero per tutti. Non a caso, lo slogan ufficiale che si legge aprendo la pagina della NFL dedicata alla disciplina sorella è «Flag Football for All». La forza motrice di questa disciplina è sicuramente l’inclusività. Lo è a livello fisico, per quanto detto prima, ma è anche in grado di raggiungere quelle scuole e quelle comunità economicamente in difficoltà, per non dire in povertà. Non servono grandi spazi né tanti partecipanti, senza parlare dell’attrezzatura che ha costi limitatissimi. Non sono richieste protezioni specifiche o caschi con la griglia sul volto, solo un pallone da football e delle strisce di tessuto. È a partire dalle scuole che la NFL ha pianificato i primi investimenti. Nel 2014, ad esempio, con la partnership NFL FLAG-In-School, sono stati distribuiti più di 37.000 kit di flag football da utilizzare nei programmi di educazione fisica, raggiungendo più di due milioni di studenti.
Nel 2023 la lega ha deciso di alzare l’asticella. Ha sfruttato il più grande evento sportivo del mondo, ovvero il Super Bowl. Quello che interessava alla NFL era uno dei tanti spazi pubblicitari che intervallano la partita. I video promozionali sono spesso passati alla storia per la loro genialità o per l’ingente somma pagata dalle aziende per la loro messa in onda. D’altro canto, non capita spesso di avere centinaia di milioni di occhi puntati sulla stessa trasmissione televisiva. Uno spot ufficiale della lega era proprio dedicato al flag football. Due minuti che vedono protagonista Diana Flores, quarterback della nazionale femminile messicana. È la giocatrice più forte e rappresenta il Paese campione del mondo e testimone di una rapidissima diffusione del flag football.
La presenza di questa disciplina ai Giochi olimpici di Los Angeles le darà grande impulso negli Stati Uniti e nel mondo intero. Lo stesso Tony Vincent, presidente della Federazione internazionale del football americano, ha dichiarato che il futuro del football è nella variante flag. La sua analisi prende spunto da dati molto interessanti. Il pubblico che si sta appassionando è formato da persone che difficilmente stanno attaccate allo schermo di una TV, come i ragazzi e le ragazze della Generazione Z. Ma c’è di più. La durata ridotta delle partite avvicina coloro che ritengono eccessive le tre o quattro ore necessarie per seguire una partita di football. A livello geografico, poi, sarà sicuramente più facile attrarre uomini e donne dell’Europa e dell’Asia, che non hanno tradizione sportiva in merito.
Il comitato che ha lavorato per portare il flag football a LA28 ha definito la disciplina come «uno sport americano con uno spirito californiano. Incarna la visione dei Giochi della nuova era, all’incrocio tra sport e intrattenimento». Non resta che aspettare quattro anni per vedere la realizzazione di queste parole.