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Il dilemma dei Panzer
Riflessioni sul rapporto fra Stati Uniti e Germania a margine dello Ukraine Defense Contact Group. Berlino davanti a un cambiamento epocale; Washington impaziente.
Le opinioni qui esposte sono espresse a titolo esclusivamente personale e non sono in alcun modo riconducibili al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, la mia Amministrazione, alla quale desidero esprimere la mia gratitudine per avere autorizzato la pubblicazione di questo scritto ai sensi dell’art. 148 del D.P.R. 18/1967, come pure per la grande opportunità di crescita che mi ha offerto permettendomi di prestare servizio diplomatico presso l’Ambasciata d’Italia a Berlino dal 2017 al 2020.
Si sono spenti da pochi giorni i riflettori su Ramstein, la località tedesca sede della base americana che ha ospitato la riunione dello Ukraine Defense Contact Group, formato dagli Stati impegnati nel sostegno militare a Kiev. Per chi non abbia vissuto in Germania, come è accaduto a me, individuare questa cittadina sulla cartina geografica tedesca non è semplice.
Eppure, Ramstein è uno dei simboli del rapporto fra America ed Europa, uno dei luoghi chiave per capire la non sempre facile relazione fra Stati Uniti e Germania, dalla Guerra Fredda fino ai nostri giorni.
È dunque da Ramstein che ci arriva l’occasione per riflettere sul rapporto transatlantico nei suoi significati più profondi, quelli che sfuggono ai lanci di agenzia. Già da come i governi statunitense e tedesco si sono presentati a questo appuntamento si percepisce lo iato geopolitico fra Washington e Berlino: basti pensare che alla vigilia di questo vertice la Germania aveva appena nominato un nuovo Ministro della Difesa, in ragione delle polemiche interne sulla fornitura di carri armati tedeschi a Kiev.
Le divergenze tra Berlino e Washington
Del resto, in Germania è talmente radicato il tabù dell’uso della forza sul piano internazionale che il ministero della Difesa tedesco si è rivelato il capolinea della carriera per vari politici che lo hanno guidato, mentre il Segretario alla Difesa è uno degli esponenti più solidi dell’amministrazione americana.
Se ha ragione il politologo statunitense Robert Kagan a dire che gli americani vengono da Marte e gli europei da Venere, questa metafora è particolarmente efficace per il binomio Washington-Berlino, un partenariato fondamentale per l’Alleanza Atlantica sin dalla sua nascita, ma che si fatica a comprendere se non si mette al centro proprio il tema della sicurezza, profondamente connesso con la rinascita della Germania del dopoguerra e con la sua riunificazione. Gli Stati Uniti sono infatti riusciti a superare i timori europei (russi inclusi) in merito alla questione tedesca più volte nella storia recente: quando hanno fatto rinascere la Germania nel 1949, quando ne hanno consentito il riarmo sotto l’egida della NATO e quando hanno dato il via libera alla sua riunificazione, fra il 1989 e il 1990.
Tuttavia, Washington non sembra ancora riuscire a persuadere Berlino ad abbandonare il tabù che la storia ha lasciato in Germania quando si tratta di impiegare la Bundeswehr per la sicurezza globale. Non a caso, il tema del budget assegnato dai governi tedeschi alla difesa, come pure quello della partecipazione (ovvero della mancata presenza) delle forze armate tedesche nelle operazioni guidate dagli Stati Uniti dopo il crollo del muro di Berlino continuano ad alimentare attriti fra i due Paesi. Il confronto fra il presidente Trump e la cancelliera Merkel è stato, in tal senso, più esplicito che in altri periodi per via dello stile del leader americano, ma le incomprensioni fra Stati Uniti e Germania in materia di difesa costituiscono una costante delle relazioni bilaterali: esse nascono dalla guerra del Vietnam e proseguono fino ai recenti conflitti in Medio Oriente, indipendentemente dal partito dell’inquilino della Casa Bianca o dalla coalizione di governo in Germania.
Per avere un’idea di quanto sia consolidata la distanza fra Washington e Berlino in materia di politica militare, basterà ricordare la lettera che Theodor Heuss, primo presidente della Repubblica Federale Tedesca, inviò a un suo amico all’indomani della rifondazione delle forze armate tedesche, nell’agosto del 1955. Nella lettera, il Presidente Heuss descrisse il suo stupore vedendo in un negozio di giocattoli di Bonn i modellini degli aerei della Luftwaffe quando in Europa era ancora vivo il terrore dei bombardamenti della guerra mondiale. Interrogato il negoziante sull’origine degli aeroplanini, Heuss si sentì dire che si trattava di modellini fabbricati negli Stati Uniti per essere esportati sul mercato europeo: lo statista tedesco giunse così alla conclusione che ormai la Germania non faceva più paura agli Stati Uniti e che da avversario sui campi di battaglia era diventata un business partner.
Il complesso delle responsabilità
Questo aneddoto di settant’anni fa può farci sorridere, ma in fondo le recenti divergenze fra Stati Uniti e Germania si spiegano anche così. Ancora oggi, l’idea di panzer made in Germany coinvolti in un conflitto su suolo europeo suscita una diffusa contrarietà nell’opinione pubblica tedesca, secondo quanto indicano sondaggi attentamente ponderati dalla Cancelleria di Berlino. Ecco quindi che per la Germania fornire armi all’Ucraina rappresenta una questione di Stato, nel senso che lo Stato tedesco si sente chiamato a decidere se modificare o meno la sua postura internazionale, cessando di essere una potenza civile (Zivilmacht) pressoché disarmata e diventando un attore impegnato in uno sforzo bellico, sia pure condotto da un altro Paese. Non a caso in Germania si parla attualmente di Zeitenwende, ossia di una svolta epocale. Per gli Stati Uniti, invece, il sostegno militare a Kiev costituisce soltanto una delle tante questioni che si trova a gestire uno Stato dai tratti imperiali e che dunque può permettersi di considerare questo dossier quale una fra le diverse iniziative attraverso le quali da Washington si definisce il perimetro di difesa occidentale.
Proprio in quest’ottica di sicurezza globale, il rapporto fra gli Stati Uniti e un Paese dalle dimensioni e dalle capacità industriali (nonché potenzialità militari) come la Germania è vitale, tanto più oggi che l’Europa torna a essere «il posto della guerra», per citare il recente (e validissimo) libro di Vittorio Emanuele Parsi. Allo stesso tempo, questo rapporto sembra essere fra i più complicati nell’Alleanza Atlantica. Ciò perché lo sguardo che proiettano sul mondo rispettivamente Washington e Berlino si caratterizza per due concezioni difficilmente conciliabili, radicate nella storia e nella cultura dei due Paesi e con un riverbero sulle diverse concezioni della politica estera.
Mentre gli Stati Uniti si sentono investiti del “destino manifesto” di espandersi, diffondendo nel mondo la democrazia, la Germania sconta a tutt’oggi il complesso delle responsabilità derivanti dalla Seconda guerra mondiale. Un «grosso fardello» per usare le parole dello scrittore tedesco Bernhard Schlink, autore del romanzo da cui nel 2008 è stato tratto The Reader, film in cui Kate Winslet interpreta un’ex ausiliaria SS della quale si innamora un adolescente nella Germania Ovest degli anni Cinquanta: una storia che esprime bene il senso di oppressione che grava sulla società tedesca a causa dell’orrore dell’Olocausto.
Da retroterra tanto diversi deriva un impatto sulla politica estera dei due Paesi, poiché in un campo come la diplomazia elementi quali la storia, la cultura e la psicologia collettiva hanno un peso. L’America è la terra della frontiera da conquistare, la terra di un popolo che si sente chiamato a superare sempre nuovi ostacoli per portare la luce del progresso un po’ più avanti, in un conflitto continuo con quanti osino contrastare tale destino manifesto. È anche su queste basi che gli Stati Uniti spendono più volentieri in armamenti, pubblici e privati, che nel welfare.
Il colosso tranquillo
Al contrario degli Stati Uniti, la Germania è un Paese soddisfatto dei traguardi raggiunti, se pensiamo alla sua trasformazione da aggressore a colosso tranquillo, nonché da nazione divisa a riunificata: un tale Stato non può che vedere nella politica estera lo strumento per consolidare questi successi.
Non a caso, la Germania – un’economia sociale di mercato attenta alla persona oltre che al profitto, a differenza del capitalismo americano – spende cifre immense per lo Stato sociale ma, per ammissione dei suoi stessi dirigenti, ha così trascurato gli investimenti militari che avrebbe oggi difficoltà a provvedere alla propria difesa senza l’ombrello americano.
D’altro canto, il positivo ruolo svolto dalla Germania come potenza civile nell’Europa nuovamente in guerra – si pensi alla generosa accoglienza dei profughi ucraini, analoga a quella tributata nel 2015 ai migranti mediorientali – è già di per sé un apporto prezioso alla sicurezza del nostro continente. Un contributo che la Germania sta offrendo non indossando le divise della Bundeswehr, bensì sfoggiando le pettorine colorate delle tante volontarie e dei tanti volontari delle ONG che accolgono le famiglie in fuga dal fronte ucraino.
Per un’Europa in cerca di autonomia strategica – d’intesa con gli Stati Uniti, non certo contro – anche nel settore della difesa, una Germania che divenisse più propensa all’utilizzo degli assetti militari sarebbe senz’altro una risorsa importante. Sarà forse anche con questa consapevolezza di ottica europea che la Germania potrà gradualmente dismettere l’attenuante del proprio passato per iniziare ad assumere nuove responsabilità nei confronti della pace e della sicurezza europea e globale, facendo anche uso del proprio potenziale militare in collaborazione coi vicini europei e con gli altri membri dell’Alleanza Atlantica, anzitutto gli Stati Uniti.
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Per una selezione di fonti sui rapporti fra Stati Uniti e Germania alle origini della Guerra fredda, rimando alla bibliografia del mio saggio: “La fragile intesa. Berlino e le relazioni euro-atlantiche agli inizi della Guerra fredda”, Luiss University Press, Roma, 2022.
Per uno sguardo più aggiornato alla fase post Guerra fredda: R. Steininger, Von Kanzlern und Präsidenten, Lau Verlag, Reinbeck 2019.
Per un affresco storico sulla politica estera americana e sul “destino manifesto”: M. Del Pero, Libertà e Impero. Gli Stati Uniti e il Mondo, 1776-2006, Roma-Bari, Laterza, 2008.
Sul tabù del passato nella politica estera tedesca, l’intervista a Bernhard Schlink è disponibile qui: https://www.theguardian.com/world/2012/sep/16/bernhard-schlink-germany-burden-euro-crisis.
Sulle attuali difficoltà delle strutture militari tedesche: https://www.agenzianova.com/news/germania-la-ministra-della-difesa-i-compiti-nato-possono-essere-assolti-solo-in-misura-limitata/
Sugli aiuti tedeschi alla Germania, si suggerisce infine: https://www.huffingtonpost.it/blog/2023/01/23/news/armi_allucraina_forza_e_limiti_della_germania-11144213/