Jim Caviezel e il ruolo della vita
«Non sono io ad aver interpretato Gesù, è Gesù ad aver interpretato me».
Quante convention di complottisti e fanatici religiosi si dovranno organizzare prima che Hollywood si decida a produrre il soggetto che Jim Caviezel porta in giro per gli Stati Uniti da anni, la storia di un giovane attore scritturato per interpretare il ruolo di Gesù nei Giorni della passione per via delle iniziali del suo nome e cognome, J e C come Jesus Christ, e della sua età, 33 anni come quelli di Cristo morto sulla croce per i nostri peccati, rimasto folgorato su Sunset Boulevard e improvvisatosi guida spirituale in quelle stesse convention.
E quante altre volte dovremmo fingere stupore nel sentire questa storia di sofferenza e spiritualità, di frustate, sangue e redenzione, a metà strada tra SanPa e Wild Wild Country, perfetta per la sezione Netflix dedicata al narcisismo patologico. Jim Caviezel è infatti tornato, non al cinema, ma a predicare la parola di Dio, e per la sua invettiva contro i liberali figli di Satana ha scelto i QAnon. Un’invettiva che, se fossimo gli stessi che accusano Richard Gere di cercare visibilità approfittando dei processi a Matteo Salvini, descriveremmo come un tentativo di proseguire la carriera di attore con altri mezzi.
La sua radicalizzazione è diventata totale negli ultimi cinque anni. Al cinema ha interpretato San Luca in un film dedicato a San Paolo e un giornalista di fede cristiana rapito dai vertici del governo iraniano, nella vita fuori dal set presenzia a convegni e incontri a sfondo teologico predicando i principi cristiani tra un monologo di Braveheart e l’altro, perché degli amici che ti hanno dato la fama non bisogna mai dimenticarsi. Metti mai che Mel Gibson decida di tornare a lavorare, magari il primo squillo di cellulare sarà proprio per chi ha trascorso gli ultimi anni a sviolinare.
Una missione al servizio di Gesù Cristo (e quindi di sé stesso)
Più che di un lavoro, si tratta quindi una missione, come lo stesso Caviezel ha più volte ribadito, in perfetta sintonia con i precetti della nuova Hollywood: gli attori gay devono interpretare personaggi gay, gli attori trans devono interpretare personaggi trans e i ferventi religiosi devono continuare a diffondere il Verbo anche davanti alla macchina da presa. La finzione è illiberale.
Jim Caviezel, maestro e discepolo, ha reso il suo personaggio contemporaneo e lo ha inserito nei circoli della estrema destra rendendo la sua recita permanente, come la Marion di Crossroads di Jonathan Franzen quando rivela alla psicologa che il ruolo di mamma e moglie che si è cucita addosso a seguito di un’infanzia piena di sofferenza e una giovinezza non in linea con i valori cristiani è forse la più grande recita della sua vita, avendo visto andare in fumo il sogno di diventare una grande attrice e di vivere sul palcoscenico.
Marion recita per la sua famiglia e per i conoscenti, Caviezel continua a indossare i panni di Cristo per salvare e redimere una Nazione intera. Il copione è sempre lo stesso, le frasi pronunciate e gli aneddoti raccontati sono identici a ogni convention, persino la posizione del dito indice e il tono della voce di riproducono allo stesso modo.
«Non sono io ad aver interpretato Gesù, è Gesù ad aver interpretato me» ripete come un disco rotto ogni volta che cita La Passione di Cristo, e cioè sempre. Sceneggiatori e produttori hanno già il titolo pronto, nel caso in cui fossero così pigri da non voler fare il loro mestiere. Poi, chissà, magari ne verrà fuori il grande reportage sui QAnon che stiamo aspettando.