Hollywood è pronta a salvare il cinema russo?
A causa della guerra di Putin, la cultura russa rischia di soccombere alla censura, ma qualcuno a Hollywood comincia a chiedere di salvare l’integrità artistica del cinema russo.
La stagione dei premi cinematografici prosegue spedita mentre su ogni angolo del pianeta aleggia la minaccia di una guerra mondiale. Gli Oscar sono alle porte, ma nulla si sa tranne che per il taglio di un paio di premi tecnici per rendere la cerimonia più snella e veloce, del tipo di spettacolo che si sta organizzando.
Intanto ai SAG, i premi assegnati dal sindacato statunitense degli attori, Brian Cox, premiato insieme al cast di Succession, ha inaugurato la stagione dei discorsi di ringraziamento dedicati all’invasione dell’Ucraina, durante il quale ha dato ampio spazio anche alla precaria condizione degli artisti russi minacciati di essere arrestati, perseguitati e repressi in caso di mancata affiliazione alla dottrina Putin. Cox ha posto l’attenzione su una questione importante: qui non si tratta solo di salvare un intero popolo, quello ucraino, da un totale annientamento, ma anche di non permettere che un movimento artistico, quello russo, soccomba alla censura finendo per scomparire, come è successo altrove.
Mentre le università, i festival e le piattaforme di streaming si domandano se sia il caso di insegnare Dostoevskij, di proiettare film di registi russi e di produrre serie dedicate a Tolstoj, papà Loy si appella ai suoi colleghi affinché si salvi l’integrità artistica del cinema russo. D’altronde, le fondamenta di Hollywood sono soprattutto costituite da artisti ebrei scappati dal genocidio.
In questo caso, però, la corsa spasmodica verso il lato giusto della storia ha prodotto una reazione a tratti isterica, e cioè alla cancellazione di tutto ciò che appartenga all’universo russo dalla quotidianità: i gatti russi dalle competizioni, il nome russo delle insegne dei negozi, gli aggettivi russi dai nomi dei cibi e dei cocktail. Mentre Putin tenta di assoggettare un popolo con la forza, noi tentiamo di cancellare un’intera cultura con la scemenza. In questo si è mobilitato anche il signor Zuckerberg, che, probabilmente a corto di amici, ha acconsentito alla pubblicazione delle minacce di morte a Putin sui suoi social.
Se neanche Dostoevskij e Tolstoj hanno avuto il beneficio del dubbio – quale dubbio, poi, verrebbe da dire, dal momento che il primo è morto nel 1881 e il secondo nel 1910 – viene da chiedersi che speranza avranno gli artisti russi contemporanei, che per ottenere un posto in paradiso dovranno sciorinare le loro idee politiche. Il Museo del Cinema di Torino ha infatti cancellato la retrospettiva dedicata al regista, sceneggiatore e produttore russo Karen Georgievich Shakhnazarov, filoputiniano, prevista per fine febbraio, lasciando intendere che da ora in poi ci sarà spazio solo per artisti dichiaratamente contro Putin, semmai si riuscirà a trovarne qualcuno, viste le restrizioni in madrepatria.
Sembra quindi aver ragione la scrittrice e drammaturga Yasmine Reza, quando ospite del premio Malaparte a Capri diceva: «Gli scrittori oggi sono costretti a dire la loro su tutto tutti i giorni, dalla politica al MeToo, e sembrano felici di prendere posizione; ma non è un’espressione di libertà, al contrario: perché, una volta che hai detto pubblicamente quello che pensi, poi devi scrivere la stessa roba nei tuoi libri, e ti levi un sacco di possibilità. E non che io non sia d’accordo con il MeToo, per carità, non si potrebbe non esserlo, però io l’ho deciso da tempo: non parlo. Non ho i social e non parlo di attualità. Perché poi vieni giudicato solo per le tue posizioni ideologiche e politiche. E così alcuni scrittori inconsciamente si schierano dalla parte giusta».
Quando Brian Cox chiede di aiutare i colleghi russi, i primi a essere vittime di un regime dispotico e illiberale, chiede anche di salvaguardarne l’integrità e la libertà artistica, di guardare principalmente al contenuto e di fissare la luna, dimenticandone il dito. Se Hollywood, come ogni altro posto che smania per essere presentabile, è pronta a spalancare le porte agli artisti oppressi e pubblicamente schierati dalla parte giusta, tocca capire se esiste un luogo in grado di ospitare chi non vuole prendere posizione, chi non è interessato, chi non vuole subordinare le proprio idee politiche al proprio lavoro. Soprattutto, dobbiamo chiederci se siamo disposti ad accettarne l’esistenza.