I media desert sono la morte della democrazia
Sempre più americani vivono in zone non coperte da media locali. Questo ha molte più implicazioni di quelle che pensiamo. Vediamole.
Pensateci bene: l’ultima volta che si sono tenute le elezioni amministrative nel Comune dove vivete, come avete fatto a seguire la campagna elettorale? Come fate a tenervi aggiornati sulle notizie del vostro territorio, sui problemi che affliggono la comunità, sulla cronaca o – molto più semplicemente – su quali strade evitare andando al lavoro a causa dei lavori in corso?
Se non vivete in una grande città è molto probabile che tutte queste informazioni le reperiate grazie alle testate giornalistiche locali, siano esse cartacee o virtuali.
Verrebbe da pensare che, tutto sommato, i social potrebbero sopperire in larga parte a questi bisogni. Tuttavia, se ci ragionate sopra, vi renderete conto che anche lì la stragrande maggioranza delle notizie della vostra zona che leggete sono riprese da un qualche media locale. Questo significa che chi fa questo di mestiere ha reperito quella notizia attraverso la propria rete di contatti, l’ha ritenuta interessante, l’ha approfondita, ha raccolto dati e immagini e vi ha confezionato una notizia di cui altrimenti non sareste mai venuti a conoscenza.
Provate ora a immaginare che da domani i giornali, le tv e i siti di informazione locali spariscano. Immaginate per un momento di essere del tutto ciechi e sordi nei confronti di quello che accade nella vostra comunità.
Benvenuti in un media desert.
Cosa sono i media desert?
La definizione di media desert (o news desert) è di una semplicità disarmante: sono quelle aree nelle quali il giornalismo locale è assente o talmente limitato che la funzione svolta dalle testate giornalistiche presenti è trascurabile.
Negli Stati Uniti questo è un problema molto grave.
Come riporta il sito statista.com, nel 2004 il numero di media locali negli Stati Uniti ammontava a oltre 8.800 testate tra quotidiani e non quotidiani. Dopo nemmeno due decenni, nel 2022, il loro numero è calato a meno di 6.400 unità, e si tratta per lo più pubblicazioni non quotidiane.
Parliamo di circa 2.400 testate sparite per sempre. Un numero considerevole, che secondo un report della Northwestern University nel 2025 arriveranno a un terzo del totale.
La genesi dei media desert
Cosa causa questa morìa?
Il fenomeno dei media desert nasce da una parte dalla crisi dei media tradizionali, dovuta alla diminuzione delle entrate pubblicitarie, e dall’altra dall'aumento della concorrenza da parte dei social media.
Le due cose sono collegate: con l’avvento dei social media essi sono diventati il principale aggregatore dove reperire notizie. Il problema è che le piattaforme social non vedono di buon occhio i post che deviano il traffico al di fuori delle stesse. È il motivo per cui i post contenenti un link verso l’esterno vengono di solito penalizzati dagli algoritmi.
Tuttavia, al giorno d’oggi la pubblicità sul proprio sito è tra le principali entrate per le testate giornalistiche che, senza di essa, difficilmente possono sopravvivere. Il problema, quindi, è che per garantire la tenuta dei media è necessario che la notizia venga letta sul loro sito, cosa che i social rendono sempre più difficile.
Chi può ha ovviato inserendo dei paywall o riservando una parte delle notizie solo agli abbonati, in modo da incrementare le entrate in altro modo. Questo però è un sistema che non tutti possono permettersi: il lettore tipo, quando spende, di solito preferisce farlo per i grandi giornali nazionali, nei quali può trovare molte più notizie che in un giornale locale.
Di converso, senza notizie i social media sarebbero delle scatole vuote o quasi, limitandosi a fare da megafono ai contenuti creati dai propri iscritti e nulla più di questo. In tal senso, la questione della monetizzazione dei contenuti creati da professionisti sarà sempre più importante in futuro per la tenuta dei social media.
Sta di fatto che tutto questo ha portato ha una sensibile contrazione delle entrate pubblicitarie per i media locali, determinando la chiusura di molti di essi, il forte peggioramento della loro qualità o comunque un diradamento delle uscite, con molti quotidiani che sono divenuti bisettimanali. Oltretutto, le aree colpite dal depauperamento dei media locali sono spesso zone rurali, molto povere e colpite anche dal digital divide, e per questo tagliate fuori anche dall’informazione digitale.
Le conseguenze
A causa dei media desert le comunità locali si trovano a non essere informate su ciò che accade nel loro territorio, con la conseguenza che i problemi locali non vengono affrontati e risolti in modo adeguato. Questo ha drammatiche conseguenze in una democrazia.
L’informazione ha infatti una funzione cruciale nel legare eletti ed elettori. Come riporta un articolo del Washington Post dello scorso anno (il quale riprende in parte una pubblicazione della Cambridge University), quando un territorio diventa un media desert accadono cose molto brutte.
La prima conseguenza è il calo dell’interesse dei cittadini nei confronti della loro stessa comunità, il che si traduce in una contrazione della partecipazione democratica. Questo è rilevabile con facilità: nei media desert cala vistosamente la percentuale di votanti alle elezioni.
La seconda è l’aumento della corruzione. Il ruolo svolto dal giornalismo locale nel far emergere i casi di piccola corruzione è infatti insostituibile. Spesso le forze dell’ordine non hanno le risorse per far partire indagini sulla base delle voci di paese, ma per i giornalisti investigativi locali si tratta della normalità. Se vengono a mancare diventa molto più facile per corrotti e corruttori farla franca.
La terza è che la natura aborre il vuoto: dove sparisce la buona informazione, quella cattiva cresce rigogliosa. Questo avviene perché a diventare media desert sono spesso aree popolate da persone con un basso grado di scolarizzazione, facili prede delle peggiori forme di disinformazione.
Media desert, disinformazione e red mirage
Non è un caso che le aree rurali, più povere e meno scolarizzate siano quelle che hanno generato il fenomeno del red mirage per il quale, durante lo scrutinio dei voti alle scorse elezioni presidenziali, Donald Trump era partito in vantaggio. L’ex Presidente approfittò di questo fenomeno ampiamente preventivato, tanto da invocare lo stop al conteggio dei voti per poi perdere contro Joe Biden e lanciare accuse di brogli, segnando il percorso che ha poi portato all’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, uno degli episodi più bui della democrazia americana.
Questo è avvenuto perché i territori dove Trump aveva (e presumibilmente ha ancora) una percentuale più elevata di sostenitori spesso sono gli stessi a essere dei media desert, con tutte le conseguenze viste in precedenza.
Essendo contee con una scarsa densità abitativa la conta dei voti è veloce e di conseguenza lo è anche la comunicazione dei risultati. Di converso, i Democratici vanno meglio nelle grandi città, che essendo molto più popolose (e ricche, e istruite) hanno bisogno di più tempo per terminare la conta dei voti, che però sono di più in valore assoluto e possono ribaltare le prime proiezioni.
Un fenomeno da arginare
Per contrastare il fenomeno dei media desert, sono stati attivati diversi progetti e iniziative. Il più importante è il Local Journalism Sustainability Act approvato dal Congresso nel 2020, il quale prevede una serie di incentivi fiscali per chi investe nel giornalismo locale. Nel frattempo molti enti privati, in larga parte università e centri studi, stanno monitorando il territorio tenendo traccia delle zone nelle quali è necessario intervenire.
Tuttavia questo può non essere sufficiente. In un Paese composto al 95% da aree rurali che accolgono solo il 20% della popolazione, il rischio di una desertificazione irreversibile è dietro l’angolo. Per affrontare un tale problema sono necessari capitali privati provenienti da iniziative filantropiche, come suggerisce la Northwestern University’s Medill Local News Initiative.
Tuttavia, non è solo una questione di soldi. Un giornalismo che vive di sussidi è un giornalismo al guinzaglio di chi quei sussidi glieli garantisce. Sotto questo aspetto tutto il mondo è paese: lo sappiamo bene in Italia, dove troppo spesso i media locali sopravvivono solo grazie ai sussidi regionali e com’è logico il cane non morde la mano che lo sfama.
Un’ingerenza pericolosissima per i sistemi democratici, che potrà essere arginata solo grazie a un profondo ripensamento dell’attività giornalistica, che dovrà trovare il modo di stare al passo coi tempi per camminare con le proprie gambe, garantendo a sé stessa la necessaria indipendenza.