Ambiente, l’America in cattive acque?
L’EPA limita la presenza di Pfas nell’acqua potabile. Le nuove misure potrebbero evitare 9.600 decessi e quasi 30.000 diagnosi di malattie gravi
Ambiente e salute formano un binomio inscindibile, forte come il legame chimico tra carbonio e fluoro che sta alla base delle sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate, meglio note con l’acronimo “Pfas”. Questa famiglia di composti sintetici artificiali è caratterizzata da una forte resistenza alle reazioni chimiche, al calore, all’abrasione e all’usura, tutte proprietà che hanno permesso loro di conquistare l’appellativo di “forever chemicals”, sostanze eterne. Per moltissimi anni, queste particolari molecole sono state percepite dalle industrie come una sorta di panacea: la soluzione ideale per migliorare prodotti di uso quotidiano come le padelle, ad esempio, che grazie all’impiego del teflon sono diventate improvvisamente in grado di impedire al cibo di attaccarvisi durante la cottura, più facili da pulire e quindi da vendere. I problemi legati all’uso smodato dei Pfas sono sorti in anni più recenti, ingigantiti dall’emergere di un numero crescente di studi che dimostrano quanti danni alla salute possano derivare dall’esposizione a queste sostanze. L’aumento esponenziale della letteratura scientifica in materia ha spinto i decisori politici a correre ai ripari, adottando standard di qualità e imponendo dei limiti al loro utilizzo.
Di recente, negli Stati Uniti il dibattito sul tema si è riacceso grazie all’approvazione di una norma che stabilisce limiti stringenti alla presenza di alcuni composti chimici nell’acqua potabile. L’Environmental Protection Agency (EPA) ha specificato che i Pfas non potranno superare le 4 parti per 1.000 miliardi nell’acqua destinata al consumo. I gestori del servizio idrico, in ogni parte del Paese, dovranno monitorare e verificare la presenza di sei specifiche molecole entro il 2027. Al termine di questa fase, se i campioni raccolti dimostreranno che le concentrazioni di Pfas superano gli standard fissati dall’EPA, le utility avranno altri due anni di tempo per acquistare e installare apparecchiature progettate per filtrarli, adottando tutte le azioni necessarie per riportare i valori entro il limite di legge. Michael Regan, amministratore dell’EPA, ha descritto le nuove norme come l’azione più significativa che il governo federale abbia mai intrapreso per ridurre l’esposizione ai Pfas nell’acqua potabile. In effetti, l’amministrazione Biden è impegnata già da parecchio tempo nella lotta contro l’inquinamento da sostanze chimiche permanenti e il 10 aprile, subito dopo l’annuncio dell’EPA, ha dichiarato che stanzierà un miliardo di dollari per aiutare i territori a finanziare sistemi di rilevamento e trattamento che permettano di soddisfare i nuovi standard.
Secondo alcuni commentatori, però, le nuove regole arrivano un po’ tardi ed è incerta la loro capacità di ridimensionare il problema. A peggiorare il quadro è la reticenza di molti operatori del servizio idrico. L’EPA ha stimato che conformarsi alla regola costerà circa 1,5 miliardi di dollari all’anno, ma l’American Water Works Association sostiene che i costi effettivi potrebbero aggirarsi attorno ai 3,8 miliardi all’anno. Le utility non sanno ancora se riusciranno a sostenere queste spese e per molti dirigenti industriali, alla fine, a pagare il conto saranno i contribuenti, sotto forma di vertiginosi aumenti delle bollette dell’acqua.
Visti gli enormi problemi ambientali e sanitari determinati dalla contaminazione da Pfas, è possibile ridurre il problema a una mera questione economica? Idealmente, questa domanda ammetterebbe una sola risposta: un no, secco e deciso. Nella pratica, purtroppo, non è così semplice. La storia stessa dei Pfas è indissolubilmente legata ai profitti, come racconta bene il film “Dark Waters” del regista Todd Haynes, ispirato ad un articolo di Nathaniel Rich pubblicato nel 2016 sul New York Times.
Era il 1938 quando il giovane chimico statunitense Roy J. Plunkett scoprì casualmente il “politetrafluoroetilene”, il primo Pfas della storia, e ci volle ben poco per trasformare questa nuova sostanza in un’opportunità di mercato. Nel 1941 la Kinetic Chemicals Inc., società fondata dalla General Motors e dalla DuPont, ricevette un brevetto per i polimeri di tetrafluoroetilene; nel 1944 iniziò a commercializzarli e nel 1945 registrò il nome commerciale “Teflon”. Dai rivestimenti per padelle antiaderenti a prodotti plastici come filtri, valvole e guarnizioni, il politetrafluoroetilene iniziò ad essere utilizzato in un numero sempre crescente di prodotti, grazie alle sue peculiari caratteristiche chimiche. La scoperta di Plunkett fu rivoluzionaria per diversi settori industriali e innescò un nuovo filone di ricerca dedicato alla produzione di sostanze chimiche basate sul legame carbonio-fluoro.
Roy Plunkett morì a causa di un tumore nel 1994, nella sua casa in Texas, e già all’epoca iniziarono a sorgere i primi dubbi sul fatto che le sostanze inventate grazie alla sua scoperta potessero essere destinate a sopravvivergli a lungo.
Oggi la famiglia dei Pfas conta oltre 4.700 sostanze chimiche artificiali, e sembra che nulla – o quasi – sia in grado di spezzare il legame carbonio-fluoro che le costituisce. Presenti sin dagli anni Quaranta in prodotti di ogni genere, queste sostanze hanno finito per accumularsi ovunque: nell’aria, nell’acqua, nei suoli e perfino negli esseri umani. Stando ai dati del National Health and Nutrition Examination Survey, i Pfas sono presenti nel sangue del 98% degli americani.
A questo punto sorge spontanea una domanda: come ci sono finiti?
Con il passare del tempo, la dispersione nell’ambiente di prodotti contenenti Pfas ha generato fenomeni di inquinamento e contaminazione diffusi. Queste sostanze si sono accumulate nelle falde acquifere e sono penetrate nei suoli, sono state ingerite dal bestiame, dai pesci e dai crostacei, e assorbite dalle piante. Così sono entrate a far parte della dieta di moltissime persone, attraverso l’acqua potabile e alimenti come carne, pesce, uova e verdure. Diversi studi hanno anche dimostrato che la possibilità di ingerire alimenti contaminati da Pfas può dipendere dagli imballaggi utilizzati per confezionarli. Una ricerca pubblicata nel 2019 sulla rivista Environmental Health Perspectives, con il supporto del National Institute of Environmental Health Sciences, ha rilevato come le persone che mangiano fuori casa o comprano cibo da asporto più spesso siano più esposte ai Pfas di chi cucina il proprio cibo in casa. Tuttavia, come abbiamo visto, anche preparare da sé i propri pasti non è una garanzia. In più, per moltissimo tempo queste sostanze hanno fatto parte di prodotti di uso quotidiano anche molto intimi: il filo interdentale, i cosmetici, la carta forno, i detergenti per la casa e addirittura la carta igienica.
Quanto ai loro effetti sulla salute, finora, ne sono stati indagati parecchi. L’esposizione a Pfas è stata associata all’aumento del rischio di sviluppare tumori ai reni, disturbi metabolici, problemi di fertilità, malattie della tiroide, obesità e ritardi nello sviluppo dei bambini. Uno studio pubblicato a fine 2023 sul Journal of the National Cancer Institute ha dimostrato che l’esposizione prenatale ad alcune di queste sostanze chimiche può portare a un rischio più alto di leucemia infantile.
Secondo l’EPA, i nuovi limiti alla presenza di Pfas nell’acqua potabile consentiranno di ottenere benefici per la salute pari a 1,5 miliardi di dollari all’anno, grazie alla riduzione di tumori, ictus, infarti e complicazioni alla nascita. Se gli standard fissati ad aprile venissero rispettati da tutti gli operatori, si potrebbero evitare 9.600 decessi e quasi 30.000 diagnosi di malattie gravi.
Tutela ambientale e interessi economici si trovano ancora una volta sui due piatti della stessa bilancia e sarà il rispetto dei nuovi standard fissati dall’EPA a far pendere l’ago dall’una o dall’altra parte. Nel caso della lotta all’inquinamento da Pfas, però, si fa ancora più evidente il legame fortissimo che unisce l’ambiente e la salute umana: dovrebbe apparire ancora più chiaro da che parte stare.