Il costo nascosto degli allevamenti intensivi
Gli animali pagano il prezzo più alto ma anche per le falde acquifere il pedaggio può essere devastante
Immaginate di sfogliare per ore una galleria di foto che immortalano chilometri e chilometri di campi agricoli ricoperti di neve, nel cuore del Wisconsin. Un lavoro davvero monotono, finché all’improvviso una chiazza marrone interrompe la sequenza di sfumature biancastre, ridestando la vostra attenzione. È esattamente ciò che stavate cercando, vostro malgrado: una distesa di escrementi animali spalmati su un campo di erba medica. Chi potrebbe mai occuparsi di una ricerca simile? E soprattutto perché?
Strano ma vero. È la missione di un gruppo di ricercatori del Regulation, Evaluation, and Governance Lab dell’Università di Stanford, che ogni giorno analizza mucchi di immagini satellitari con l’obiettivo di addestrare l’intelligenza artificiale a riconoscere quando agricoltori e allevatori spandono le feci dei loro animali sui campi. Scaricare letame su suolo agricolo può avere impatti ambientali significativi, soprattutto in inverno quando il rischio di contaminare le risorse idriche è più alto, al punto da essere una pratica vietata in molti Stati americani. Il Wisconsin, ad esempio, la limita fortemente durante l’inverno, vietandola in modo perentorio nei mesi di febbraio e marzo, a meno che gli operatori non dispongano di un’apposita esenzione. Le autorità contano molto sulla vigilanza dei cittadini e sulle loro segnalazioni per scovare chi viola le regole, ma è chiaro che individuarli resta molto difficile, visto che spesso i campi non sono visibili dai bordi delle strade né conosciuti dai vicini. Vista così, la ricerca svolta dai ricercatori di Stanford non sembra più bizzarra. La loro proposta è aiutare il Dipartimento delle risorse naturali del Wisconsin a monitorare i grandi allevamenti di bestiame, combinando intelligenza artificiale e immagini satellitari, con l’auspicio di estendere in futuro l’utilizzo di questi strumenti anche ad altri Stati nevosi.
Il problema del letame e del suo smaltimento ha svolto un ruolo cruciale negli Stati Uniti, perché è stato il motivo che ha spinto le autorità federali a regolamentare per la prima volta gli allevamenti intensivi, definendoli in modo preciso e assoggettandoli al controllo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Epa).
Noti come “CAFO”, acronimo che sta per Concentrated animal feeding operations, gli allevamenti intensivi sono strutture agricole finalizzate alla produzione di carne, latticini o uova, all’interno delle quali gli animali vengono confinati e alimentati per almeno 45 giorni all’anno, senza avere accesso all’erba o ad altra vegetazione durante la normale stagione di crescita. Oltre a questi elementi, secondo le precise istruzioni dell’Epa, per essere classificate come CAFO queste strutture devono contare 1.000 o più “unità animali”: una cifra basata sul peso dei capi di bestiame più che sul loro numero effettivo. Attualmente, gli allevamenti intensivi censiti negli Stati Uniti sono 21.539. L’Iowa è in testa con 4.203 Cafo e con un enorme distacco sul secondo classificato, il Minnesota, che ne conta 1.565.
La decisione di iniziare a regolamentare gli allevamenti intensivi è nata dalla constatazione che queste strutture generano milioni di tonnellate di letame ogni anno, direttamente proporzionali al numero di animali che ospitano, e se gestite in modo improprio possono comportare enormi rischi per l’ambiente e la salute pubblica. È emersa, in particolare, la necessità di imporre agli operatori delle regole chiare per smaltire correttamente i rifiuti animali e per contenere i rischi di inquinamento delle acque superficiali e sotterranee. Non a caso, uno dei primi provvedimenti che affronta di petto la questione è il Clean Water Act.
Oggi il tema degli allevamenti intensivi è associato in modo più marcato al tema delle emissioni climalteranti, ma è proprio dal problema della qualità delle acque che si sono sviluppati i primi tentativi di regolare queste attività e, in un certo senso, di contenerle. Al contrario di quanto si possa pensare, è un argomento che balza agli onori della cronaca già dal secolo scorso. Ne è un esempio lampante il disastro ambientale che ha colpito il North Carolina nel 1995, quando si è verificato il più grosso sversamento di rifiuti animali nella storia dello Stato. 25 milioni di litri di escrementi suini sono finiti dritti nel New River, uccidendo 10 milioni di pesci e causando enormi problemi di salute alle comunità limitrofe, come irritazioni cutanee e problemi cognitivi.
La tutela dell’acqua è stata quindi centrale nello sviluppo del dibattito sugli allevamenti intensivi e dovrebbe rimanerlo anche nel prossimo futuro, accanto al problema dei rifiuti, a quello delle emissioni e alla protezione degli animali.
In molte aree degli Stati Uniti, i CAFO hanno modificato radicalmente il paesaggio e il tessuto economico locale. Lo sanno molto bene gli abitanti della Magic Valley, in Idaho, ormai abituati al contrasto tra il marrone pallido del deserto e il verde smeraldo delle enormi distese di erba medica, coltivata per sostenere una delle più grandi industrie casearie della nazione. Oggi lo Stato conta circa 700.000 bovini da latte, più di qualsiasi altro ad eccezione di California e Wisconsin, con i quali, però, condivide un primato: ogni anno, sul suo territorio, vengono prodotte più di 450 tonnellate di formaggio.
Annualmente, nella Magic Valley cadono appena 254 millimetri di pioggia e sono le falde acquifere sotterranee ad alimentare i raccolti e, di conseguenza, i bovini. E qui veniamo a un altro importante effetto della diffusione degli allevamenti intensivi: il 79% dei pozzi di monitoraggio delle risorse idriche sotterranee dell’Idaho ha raggiunto il minimo storico solo nell’arco degli ultimi dieci anni. La falda acquifera di questa regione continua a perdere volume ed è sempre meno capace di trarre beneficio dall’interazione con il fiume Snake.
Fino agli anni Novanta, l’Idaho non era così. È stato il graduale arrivo di produttori di latte dalla California a trasformarne l’economia e il paesaggio. Molti agricoltori californiani, schiacciati dall’espansione dei sobborghi, dall’aumento dei costi e da normative sempre più stringenti, hanno trovato in Idaho le risposte alle loro esigenze e nelle falde sotterranee della Magic Valley tutta l’acqua di cui avevano bisogno.
La rapidità con cui gli allevamenti intensivi sono in grado di modificare il territorio è ben nota anche ai cittadini dell’Arkansas, sede di una tra le più note aziende produttrici di pollame al mondo, Tyson, e della galassia di piccole e medie imprese che nutrono i suoi polli. Grazie alla sua presenza, il pollame è diventato il prodotto agricolo più importante di tutto lo Stato, valutato circa 6,3 miliardi di dollari nel 2022. Come diretta conseguenza dell’esplosione di questo settore, gli ettari dedicati alla coltivazione della soia, per alimentare i polli, sono aumentati esponenzialmente negli scorsi decenni. A pagarne il prezzo, come avvenuto in Idaho, sono state le falde acquifere sotterranee dello Stato.
In generale, dagli anni Ottanta a oggi il consumo di formaggi e carne è cresciuto vertiginosamente negli Stati Uniti, contribuendo ad alimentare tanto la diffusione degli allevamenti intensivi quanto il consumo delle risorse idriche. Il pedaggio pagato dalle falde acquifere, che riforniscono il 90% dei sistemi idrici americani, è stato devastante.
Se a livello federale gli Stati Uniti si sono dotati di un quadro di regole per gestire i rifiuti animali e salvaguardare le risorse idriche, non può dirsi lo stesso per l’uso delle acque di falda. La gestione di queste risorse sotterranee è rimessa ai singoli Stati, che però non riescono ancora a proteggerle in modo adeguato. Contrastare la diffusione degli allevamenti intensivi è cruciale non solo per abbattere le emissioni di gas serra o per migliorare le condizioni di vita degli animali, come sostengono ambientalisti e animalisti. In gioco c’è molto di più: servono anche delle regole per la tutela dell’acqua.