Greek Life: la violenza tribale delle confraternite americane
Il cameratismo, l'esclusività e la violenza come rappresentazione di una mascolinità tossica che continua a essere alimentata in certi contesti
Timothy John Piazza aveva 19 anni quando è morto nel febbraio del 2017 a causa di un trauma cranico derivante da serie di cadute, tra cui una delle scale, avvenute sotto effetto di una massiccia quantità di alcol[1].
Aveva da poco iniziato il secondo anno di ingegneria alla Penn State University, e come molti altri studenti dei college americani aspirava a diventare membro di una confraternita studentesca. Proprio quella notte era stato sottoposto a una delle disumane prove di ammissione, che tradizionalmente gli aspiranti membri devono superare per poter diventare confratelli. La sfida, nello specifico, consisteva nel bere circa diciotto drink in meno di due ore. Dalle telecamere di sicurezza della casa, sequestrate dalla polizia dopo il decesso dello studente, emerge chiaramente come il ragazzo venga lasciato incosciente per ore da alcuni confratelli che rifiutano di chiamare un’ambulanza.
La storia del nonnismo subito dal giovane Timothy ha inorridito gran parte dell’opinione pubblica statunitense, ma solo chi non conosce le realtà delle confraternite ne è rimasto stupito. Infatti, il numero di studenti che muoiono durante gli anni del college, a causa di questi rituali d’iniziazione, permane costante da parecchi decenni. Intossicazione da alcol, incidenti e arresti cardiaci sono le principali cause di morte degli studenti che rimangono coinvolti in queste pratiche barbare.
È un problema che persiste, spaventa i genitori e mette pressione sociale ai ragazzi appena arrivati al college. Allo stesso tempo, esiste da così tanto tempo che è stato quasi interiorizzato dalla cultura americana legata agli anni dell’università. È come se il nonnismo fosse un passaggio obbligato che permette ad un giovane studente di diventare uomo, durante gli anni fondamentali della sua crescita.
Nonostante le varie considerazioni, le confraternite continuano mantenere la loro importanza, e a esercitare il fascino dell’esclusività, attirando giovani ragazzi appena maggiorenni, che in una nuova realtà, sentono il bisogno di appartenenza ad un gruppo. Timothy e molti altri ragazzi prima e dopo di lui, hanno cercato di dimostrare di essere all’altezza e di possedere i requisiti richiesti per diventare membri di questi gruppi, piegandosi alla mentalità da branco che per alcuni si è rivelata fatale.
Il motivo per cui questo sistema non ha dato cenni di cedimento, è la prospettiva futura che l’affiliazione ad una confraternita proietta. Apparentemente, quasi l’80% dei Presidenti americani, Giudici o membri del Congresso, hanno fatto parte di una confraternita durante gli anni del college. In una società americana in cui da sempre si da rilevanza al networking come mezzo per fare carriera, crearsi il giusto circolo durante l’università può cambiare il corso della vita futura. Per questo motivo, capita spesso che siano gli stessi college a chiudere un occhio su comportamenti e atteggiamenti tipici dei “frat boys”, ovvero i confratelli, e che ufficialmente non dovrebbero essere autorizzati in ambiente universitario. Questa connivenza è legittimata dall’influenza di ex Alumni di queste congreghe, che nella loro vita hanno ottenuto incarichi di prestigio e ricoprono posizioni potere, e che sistematicamente organizzano raccolte fondi, e garantiscono pubblicità ai propri ex-college. Per queste persone, la solida rete sociale costruita durante gli anni degli studi è nata spesso all’interno di gruppi di confratelli, legandoli alle proprie università a un livello affettivo e filantropico.
Gli ex membri delle confraternite, che godono di questa influenza, equivalgono più o meno al 2% della popolazione americana[2]; un’influente minoranza. Altri dati confermano l'indole non inclusiva di questi gruppi, come il fatto che il 70% dei loro membri proviene da quartieri ad alto reddito, presupponendo che coloro che appartengono a famiglie a basso reddito non possano permettersi il costo della vita in una confraternita, che si somma alle già esorbitanti spese universitarie. Anche dal punto di vista razziale, c’è una forte mancanza di diversità tra gli affiliati, che risultano essere principalmente l’espressione di un’élite americana: ricchi, bianchi, cristiani. Basti considerare che Barack Obama è uno dei due Presidenti della storia americana che non ha fatto parte di una confraternita nel periodo del college.
La realtà delle congreghe studentesche conferisce una natura quasi tribale a questi gruppi, che sottopongono i propri affiliati a costati violenze fisiche e psicologiche, che vengono normalizzate in un’ottica machista.
Sono spesso le stesse università a riconoscerne il pericolo rappresentato da queste istituzioni sociali. Ne è un esempio il vademecum pubblicato sul sito ufficiale della Florida State University[3], che mette in guardia i propri studenti e studentesse dalle situazioni di violenza che si possono verificare nelle confraternite.
Queste fratellanze costituiscono una minaccia non solo per i candidati maschi che vengono spinti oltre il limite, ma anche per le studentesse donne. Un problema che prolifera nello scenario universitario, diventato ormai una vera e propria piaga, è infatti l’aumento di stupri e molestie nei confronti delle alunne dei college, da parte dei loro compagni. Ricerche sul tema, hanno riportato che i membri delle confraternite sono tre volte più inclini a commettere violenza sessuale rispetto ad altri studenti[4]. Una raccapricciante statistica si riflette anche sulla controparte; il 74% delle ragazze che fanno parte di una sorellanza (corrispettivo femminile delle confraternite) è una potenziale vittima di stupro. Il fenomeno viene poi ulteriormente aggravato dall’abuso generalizzato di alcol e sostanze stupefacenti che fanno gli studenti all’interno delle stesse sedi delle confraternite, durante i frequenti festini che vengono organizzati.
Sono dunque numerosi i fattori che negli anni hanno contribuito a esacerbare una situazione di tossicità nella vita dei college, confermata dalla maggior parte degli alunni che li frequentano o li hanno frequentati in passato. Un lavoro di sensibilizzazione e educazione al consenso, attuato su larga scala e mirato agli ambienti più a rischio, potrebbe essere un buon punto di partenza per migliorare i dati. Un approccio scontato che non viene però messo in atto a dovere sul territorio.
Questa “Greek Life”, chiamata così per i nomi delle confraternite scritti con lettere greche, è dunque l’apice dell’espressione di una mascolinità tossica, che sembra ancora difficile da estirpare nel sistema universitario degli Stati Uniti. Continua ad associarsi pericolosamente a un naturale rito di passaggio che garantisce ai futuri confratelli, l’ingresso in un circolo elitario.
Se oggi molte confraternite americane evocano ancora un'atmosfera di cameratismo e tradizione, è innegabile che molte di esse siano diventate terreni fertili per una cultura di violenza e pericolo. È giunto il momento di guardare oltre il fascino superficiale e affrontare con determinazione le oscure realtà che queste istituzioni possono celare. E solo con un impegno collettivo per la responsabilità e il cambiamento si può sperare di trasformare questi ambienti in luoghi di autentica e sana aggregazione studentesca.
[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Penn_State_fraternity_hazing_scandal
[2] https://tcf.org/content/commentary/separate-but-unequal-in-college-greek-life/
[3] https://fsutoolkit.csw.fsu.edu/wp-content/uploads/2013/05/greek-life.pdf
[4] https://www.latimes.com/opinion/story/2021-11-11/fraternities-sexual-assault-violence-usc