L'eredità giudiziaria di Trump
Grazie a un particolare distretto federale d’appello, e all’effetto Amy Coney Barrett, il diritto ad abortire ha le ore contate. La vittoria più importante di Trump.
Era il dicembre 1964 e su Time Magazine usciva un articolo intitolato Courts: The Fascinating & Frenetic Fifth. «Oltre alla Corte Suprema», diceva il reportage, «la corte più interessante negli Stati Uniti è la Corte d’Appello del Quinto Distretto Federale nel profondo Sud».
All’epoca il quinto distretto copriva Alabama, Florida, Georgia, Texas, Louisiana e Mississippi e quindi era responsabile di più casi relativi ai diritti civili di ogni altra corte d’appello. «Senza il quinto distretto federale», diceva un avvocato e attivista all’epoca, «saremmo sull’orlo della guerra aperta nel Sud». Questo perché nel decennio successivo alla sentenza della Corte Suprema che vietava la segregazione nelle scuole, la corte era stata impegnata a respingere tantissime decisioni avverse di corti statali piene di giudici segregazionisti. I nove giudici federali si incontravano raramente nella sede della corte d’appello nel Palazzo di giustizia di New Orleans.
Una giurisdizione così ampia richiedeva il dispiegamento di collegi di tre giudici itineranti ad Atlanta, Fort Worth, Houston, Jacksonville e Montgomery. Ovunque la corte difese il principio della desegregazione, dagli autobus ai parchi, alle giurie, alle elezioni, alle biblioteche, agli eventi sportivi e religiosi. A volte fu necessaria la creazione di nuovi strumenti legali, come l’uso delle ingiunzioni per bloccare in tempi brevi decisioni e sentenze, oltre alla formazione di collegi di emergenza per casi particolari legati alla segregazione razziale.
L’allora governatore dell’Alabama George Wallace, che aveva riassunto il suo programma nella famigerata frase pronunciata nel suo discorso inaugurale “segregation now, segregation tomorrow, segregation forever”, li chiamava “scallywagging, carpetbagging federal judges”, riferendosi al modo in cui venivano chiamati gli emigrati dal nord (scalawag) e i repubblicani del sud (carpetbagger) negli anni della Ricostruzione dopo la guerra civile. I giudici vennero ostracizzati da famiglie e amici, minacciati per telefono ad ogni ora. Uno di loro, Richard T. Rives, trovò spazzatura sulla tomba di suo figlio morto poco tempo prima in un incidente d’auto.
Quella corte che bramano i presidenti
Oggi come allora le corti federali d’appello fanno sicuramente meno notizia rispetto alla Corte Suprema, anche se la stragrande maggioranza dei casi non arriva mai davanti ai molto più noti nove giudici a Washington. Sono le tredici corti d’appello a fare da vero filtro di quei casi che hanno bisogno di creazione di un precedente a livello nazionale e di quelli che invece hanno già una traccia legale. Sono delle “error-correcting courts”, come ha spiegato il professor Edward Fallone al Washington Post, che in più regolano l’equilibrio tra ciò che è di competenza statale e ciò che ha bisogno di essere disciplinato ad un livello più alto.
A volte alcune di queste corti si dimostrano più intraprendenti e proattive di altre nello spingere un cambiamento legislativo o giuridico, e questo è sicuramente il caso del quinto distretto. Dopo aver preso parte attiva al processo di desegregazione del sud, la trasformazione ideologica della corte ha seguito quella del partito repubblicano, anche e soprattutto dopo il ridimensionamento della giurisdizione geografica avvenuto dopo la creazione dell’undicesimo distretto.
Oggi infatti la corte gestisce solo i casi d’appello di Louisiana, Mississippi e Texas. Su diciasette giudici, dodici sono stati nominati da Presidenti Repubblicani, scelti tra i ranghi di una sempre più conservatrice scuola di pensiero legale, usando anche metodi estremi per preservarne l’integrità ideologica. Durante il secondo mandato di Obama due posti liberi non vennero coperti grazie all’ostruzionismo del Senato a maggioranza repubblicana, lasciando a Trump poi la possibilità di nomina. In quattro anni l’ex Presidente ha avuto la possibilità di scegliere sei giudici per quello che è una carica a vita, tutti relativamente giovani. Lo stesso è avvenuto a livello nazionale in altre corti federali, oltre naturalmente alla Corte Suprema.
Il fervore ideologico di molti giudici nominati non ha fatto altro che seguire da vicino quella polarizzazione che ormai caratterizza da decenni il dibattito politico del Paese, trasformando alcune corti federali, e soprattutto il quinto distretto, in strumento di cambiamento legislativo come non lo erano appunto dai tempi della fine di Jim Crow. Se all’epoca questo meccanismo fu messo al servizio della fine della segregazione, oggi serve a due scopi per precisi e imprescindibili dell’agenda repubblicana: limitare il campo d’azione del governo federale riguardo le restrizioni per la pandemia da COVID-19 e abbattere il diritto di una donna ad abortire stabilito dalle sentenze della corte suprema Roe v. Wade e Planned Parenthood v. Casey.
Tra i giudici più radicali c’è per esempio Stuart Kyle Duncan, che ha affermato che la sentenza Obergefell v. Hodges che ha stabilito il matrimonio egualitario “mette in pericolo la pace sociale”, o James C. Ho che in un concurring opinion ha lamentato la tragedia morale dell’aborto e necessità di ribaltare Roe.
La composizione di una corte d’appello federale è importante, anche perché permette a chi vi fa ricorso, quando la giurisdizione è multipla, di fare forum shopping, la pratica di scegliere la corte dove presentare il proprio ricorso. Quindi non è un caso che questa particolare corte venga scelta così di frequente per emettere sentenze che, se portate poi davanti alla Corte Suprema, posso portare indietro di decenni la lotta per i diritti.
È dal quinto distretto che sono arrivate le così tanto discusse sentenze degli ultimi anni che hanno svuotato l’Affordable Care Act, confermato la costituzionalità di vari limiti all’aborto (tra cui il famoso caso del Texas) e ultimamente bloccato l’obbligo vaccinale per le aziende deciso dall’amministrazione Biden. Se fino a poco tempo fa le sentenze di questa corte risultavano troppo estreme persino per una Corte Suprema a maggioranza conservatrice (nei due periodi 2019-2020 e 2020-2021 11 sentenze su 14 sono state ribaltate), le cose stanno cambiando.
Ne è la prova proprio il caso della legge texana che limita l’aborto alla sesta settimana e che dà la libertà ai cittadini di denunciare qualsiasi attività in aiuto di una donna che abortisce. Proprio quest’ultima cosa ha reso ambigua la giurisdizione federale riguardo la costituzionalità della legge, dando alla Corte Suprema la possibilità di confermare la decisione del quinto distretto di non bloccare l’applicazione della legge pur non smantellando Roe. Questo caso però era solo il banco di prova di quello che sarà nei prossimi mesi una battaglia senza precedenti sull’aborto, avendo testato l’equilibro ideologico della Corte Suprema. Questo perché, così come negli anni Sessanta, la percezione dell’orientamento della corte è importante quasi quanto la sua reale composizione. La nomina da parte di Trump di ben tre giudici ha cambiato entrambe radicalmente.
Fino a pochi anni fa la Corte, con due blocchi ideologici di simile stazza e un giudice che agiva come ago della bilancia, aveva garantito un certo equilibrio e anche salti avanti in termini di estensione e garanzia dei diritti civili impensabili in un paese paralizzato dalla polarizzazione. Chi portava un caso davanti alla corte sapeva che Anthony Kennedy e poi John Roberts, per anni voto decisivo su tantissime questioni delicate, non avrebbero votato per ribaltare Roe v. Wade, e i ricorsi venivano scritti di conseguenza, poiché sentenze troppo radicali di corti minori venivano ribaltate.
La nomina di Amy Coney Barrett però ha rotto questo schema. Forse la metafora più evocativa è quella usata da Matt Ford su The New Republic, secondo cui l’effetto Barrett sulla Corte è come quello di un sisma, misurabile logaritmicamente. «Un terremoto 6.0 (sulla scala Richter n.d.r.) è dieci volte più potente di uno 5.0; la stessa cosa di può dire riguardo il blocco conservatore della Corte passato da cinque a sei giudici». Questo perché la Corte Suprema non ha più un singolo voto decisivo, quindi un ricorso non ha più bisogno di essere scritto in modo tale da convincere un giudice all’apparenza moderato come Roberts. Questo ha l’effetto di infondere la percezione che il campo sia libero per un tentativo risolutivo sull’aborto, scatenando sia gli stati che le corti federali “amiche”, come il quinto distretto nel mezzo della Bible Belt. La cosa è evidente se guardiamo al caso che è ora davanti alla Corte, Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, che riguarda una legge del Mississippi che vieta ogni aborto dopo la quindicesima settimana.
Quando venne presentato dallo Stato, nel marzo 2020, il ricorso si concentrava particolarmente sulla presunta compatibilità della legge con Roe e Casey. Ora, dopo che nella primavera del 2021 la Corte ha accettato di giudicare sul caso, il tono è cambiato, palesando l’obiettivo, prima solo velato, di ribaltare Roe v. Wade completamente, rendendo l’aborto una questione interna agli stati, con 36 pronti a vietarlo in tutti i casi.
Cosa è cambiato? Precisamente composizione, equilibrio e percezione esterna della Corte dopo l’arrivo di Barrett. Ad ascoltare dichiarazioni e domande fatte dai giudici durante l’audizione delle parti, la questione sta diventando sempre meno se Roe verrà ribaltato, e sempre più quando.
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