South Carolina e Kansas campioni NCAA. Bene, bravi e forse pure bis
La notizia forse più sorprendente è che hanno vinto due tra le università favoritissime, che potrebbero avere la chance di ripetersi nella prossima stagione.
È finita la stagione del basket NCAA, dalle centotrentasei squadre invitate ai due tornei finali, uno al femminile e uno al maschile, sono rimaste in due a tagliare la retina della vittoria: South Carolina e Kansas.
Abbiamo recuperato un equilibrio perso nella vertigine provocata da una lunga serie di partite da chi vince va avanti, chi perde finisce lì. Rimane ora quel senso di vuoto per l’appassionato (forse pure qualcosa in più) in attesa di ripartire per il prossimo giro.
Vinca il migliore
La notizia forse più sorprendente è che hanno vinto due tra le università favoritissime: South Carolina aveva concluso la stagione regolare della Women’s NCAA al primo posto del ranking, Kansas quella della Men’s NCAA al terzo. Erano, insomma, tra le più papabili. In un sistema fatto di gare secche a ritmi serrati le sorprese sono sempre dietro l’angolo, e non sono certo mancate, senza arrivare però fino alla designazione di campioni imprevisti.
Le notizie legate all’annata NCAA e ai suoi tornei conclusivi sono parecchie e può essere interessante un ripasso, per il quale il consiglio è di partire da noi di Jefferson che abbiamo scritto questa presentazione iniziale di novembre, questa presentazione finale di marzo, questo congedo da coach Mike Krzyzewski.
South Carolina ha battuto in finale Connecticut, che era la mia favorita. Potrei vantarmi di essere andato a un passo dall’azzeccare il pronostico, ma la verità è che – nonostante avesse chiuso il torneo della propria conference con una sconfitta shock contro Kentucky – South Carolina non ha mai-scrivo-mai dato l’impressione di poter perdere, né in finale né in alcuna altra partita del torneo.
Kansas ha battuto in finale North Carolina, che era arrivata fin lì senza esservi attesa. La partita è stata parecchio equilibrata, a fine primo tempo Kansas era sotto di quindici punti, ma alla fine ha compiuto quella che i telecronisti ESPN hanno con entusiasmo salutato come la più grande rimonta nella storia dell’ultimo atto NCAA. Degna conclusione di un percorso di notevole spessore.
Mettiamola sul personale
Ammettiamolo, le notizie sulle finali NCAA a un appassionato di basket e di mondo sportivo americano non mancano certo, cerchiamo allora di offrire ai lettori di Jefferson un punto di vista originale.
Quando facevo l’allenatore ebbi modo di imparare parecchio nel ruolo di assistente di un coach esperto in quella che allora si chiamava Serie B2 (maschile). Ricordo con precisione estrema un passaggio del primo discorso agonistico da intervallo, pronunciato in una partita facile nel primo turno di una di quelle coppette inventate per non giocare troppe amichevoli. Disse che una delle chiavi per la vittoria è perdere pochi palloni e se con le squadre più deboli vinci anche buttandone tanti alle ortiche, quando il livello si alza le ortiche ti possono pungere (questo linguaggio figurato, ammettiamolo, è farina del mio sacco).
Per raggiungere l’obbiettivo serve un(a) buon(a) playmaker, che sappia stare in connessione con il coaching staff. Continuo a pensare sia un’indicazione che vale per il semiprofessionismo da provincia come per l’eccellenza da college.
Questa coinvolta premessa si concretizza in un nome: Destanni Henderson. Destanni Henderson è la playmaker di South Carolina e non sbaglia quasi mai una scelta. Non hanno nominato lei miglior giocatrice del torneo, perché le cifre monstre di Aliyah Boston hanno suggerito altro. Indipendentemente dai suggerimenti, però, è Destanni che rappresenta la quintessenza del gioco. Sa fare tutto, difendere e attaccare, quando la partita presenta momenti di difficoltà capisce in anticipo cosa fare e lo fa bene, quando commette qualche errore (più di esecuzione che di concetto) lo riconosce e cambia registro.
In finale ha giocato la miglior partita della carriera, segnando ventisei punti come nel basket universitario non le era mai capitato di fare e limitando la meravigliosa Paige Bueckers, stella di Connecticut. Se fossi ancora allenatore a un presidente chiederei: ingaggiami Destanni Henderson, le altre undici si vedrà. La sua carriera NCAA è finita e le previsioni per il draft WNBA la danno troppo indietro, addirittura intorno al numero dieci. Beato chi la sceglie.
Futuro impossibile
Fare previsioni per il 2022/23 è un gioco simile alla lettura del volo degli uccelli o dei fondi del caffè, ma divertirsi è lecito. Abbiamo già giocato con il football, molto probabilmente sbagliando perché i passaggi dalla high-school al college, le anticipate chiusure di carriera per arrivare al professionismo e i trasferimenti dei giocatori migliori tra università hanno profondamente cambiato la geografia della stagione futura.
Lo stesso capiterà certo anche per il basket, al momento però i campioni e le campionesse sono previsti e previste ancora al top: numero quattro per Kansas, di nuovo numero uno per South Carolina, che addirittura si immagina possa rigiocare la stessa finale contro la numero due Connecticut.
Pure lo svago dei pronostici aiuta a colmare il vuoto dei mesi senza basket universitario, anche se ancora di più aiuterà la stagione del campionato più bello del mondo, che a mio parere continua a essere la WNBA. A questo proposito, ci rileggiamo. Con Destanni Henderson di nuovo in campo.