Il fascino insidioso della fotografia del cambiamento climatico
Una bella foto non basta per cambiare le cose. Una bella foto sul cambiamento climatico deve innescare la voglia di agire.
Una bella foto non basta per cambiare le cose. Una bella foto sul cambiamento climatico deve innescare la voglia di agire. “Troppo spesso le immagini sul climate change non riescono a stimolare efficacemente un cambiamento. Magari sono belle esteticamente, descrittive, ma non salienti né impattanti emotivamente”.
È il punto di partenza da cui è nato Climate Visuals, un progetto internazionale dedicato alla rappresentazione del cambiamento climatico. Animato da fotografi, attivisti ambientali e giornalisti da ogni parte del mondo, Climate Visuals offre un archivio di scatti, borse di studio per finanziare progetti legati al tema e consigli pratici per rappresentare l’emergenza in modo non soltanto efficace ma engaging.
Eccone una sintesi, basata su una serie di sondaggi svolti dal team della piattaforma: ritrarre persone reali e storie nuove, mostrando non solo gli effetti del cambiamento climatico - anche a livello locale - ma le cause, sottolineando l’aspetto emotivo. Bisogna quindi essere sempre consapevoli di chi è il pubblico a cui ci rivolgiamo e dosare in maniera equilibrata le immagini di protesta, per evitare di rinforzare il cinismo e il senso di distacco in chi guarda.
Un racconto filtrato
Un vademecum prezioso che fotografi, media e agenzie dovrebbero tenere presente. Quante volte il modo in cui mostriamo il cambiamento climatico è non soltanto poco efficace ma sbagliato, nocivo?
L’Atlantic ha ospitato recentemente una riflessione interessante: persino i filtri automatici delle fotocamere dei nostri smartphone talvolta sono complici di una distorsione della realtà. Nell’articolo, l’esperta d’arte Kim Beil racconta di aver provato un giorno a fotografare San Francisco dall’alto, immersa in una profonda nuvola grigia arrivata fin lì dai boschi in fumo della California. Nello scatto ottenuto il cielo alterato d’arancione era ripulito, reso più celeste e “sano” dai sensori della bellezza che ormai filtrano la nostra visuale del mondo. Ma nascondere e ritoccare le brutture del cambiamento climatico non lo renderà certo meno reale.
Un progetto che funziona
Ecco dunque portare qui un esempio di quello che, a parere di chi scrive, è un progetto fotogiornalistico perfetto sul tema: è il racconto per immagini che l’italiano Michele Lapini ha fatto su Vaia, la tempesta che nell’autunno 2018 ha devastato le foreste di quattro regioni del Nord Italia. Le immagini che abbiamo pubblicato su Sky TG24 per Lo Spunto Fotografico sono state tra le più condivise dell’intera rubrica fotografica. In quegli scatti c’è tutto: l’impatto locale e devastante delle perturbazioni climatiche che si fanno negli anni sempre più violente, c’è l’emotività scioccante di un tappeto di alberi centenari abbattuti per sempre dalla pioggia e dal vento, c’è la visione dall’alto che mostra il contesto. Non urla, ma ti tocca.
Un consiglio è quindi di non farsi assorbire totalmente dall’estetica. Altrimenti rischiamo di rendere il cambiamento climatico affascinante, attraente. Il cervello si muove per associazioni inconsce. Ciò che è affascinante ed attraente non è davvero pericoloso. In fondo è una questione di linguaggio, anche se visivo: è lo stesso principio che porta a chiedere di sostituire l’espressione “cambiamento climatico” con la più urgente “emergenza climatica”.
Sottigliezze potenti.
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