Flash #93: Susie Wiles contro tutti
In una lunga intervista a Vanity Fair Usa, la capo di gabinetto della Casa Bianca racconta dall’interno dinamiche, tensioni e strategie della seconda amministrazione Trump
Il 16 dicembre 2025, la Casa Bianca e i suoi inquilini sono stati investiti da un terremoto mediatico senza precedenti, capace di far tremare le fondamenta del potere esecutivo americano proprio mentre il secondo mandato di Donald Trump cercava di consolidare la propria immagine. L’attacco non è arrivato dai consueti oppositori democratici, bensì dal cuore pulsante dell’amministrazione. La scossa distruttiva porta la firma di Susie Wiles, Chief of Staff e figura pressoché mitica nell’entourage del Presidente degli Stati Uniti d’America. Attraverso una lunga intervista in due parti (parte 1 - parte 2) curata dal giornalista Chris Whipple per Vanity Fair, basata su undici conversazioni registrate nell’arco di un intero anno, tra la fine del 2023 e l’inizio del 2025, la cosiddetta “Ice Maiden” ha finalmente rotto il silenzio.
Ma chi è questa figura così enigmatica? Susie Wiles vanta una carriera lunghissima e decorata nella politica americana. Veterana delle campagne repubblicane sin dai tempi di Ronald Reagan, è stata lei la mente strategica dietro il miracoloso rilancio di Donald Trump dopo i tragici eventi dell’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021. In un momento così oscuro per la reputazione del tycoon, Wiles lo ha guidato con fermezza e disciplina fino alla riconquista della Casa Bianca nel novembre 2024. Nota nell’ambiente per la sua leggendaria freddezza, ha costruito la propria reputazione sulla rara capacità di gestire il temperamento mutevole e spesso incendiario di Trump, mediando tra le sue scelte politiche più estreme e la necessità di mantenere una parvenza di ordine istituzionale. Pur rimanendo tradizionalmente lontana dai riflettori, Wiles è stata una presenza costante in tutti i passaggi chiave del potere, restando tuttavia quasi sconosciuta alla cronaca generalista fino a oggi.
L’intervista ha suscitato un’eco straordinaria proprio per il modo in cui Wiles sceglie di raccontare l’ambiente del secondo mandato a meno di un anno dall’avvio ufficiale dei lavori. La potenza narrativa del pezzo affonda le radici nella biografia più intima e dolorosa dell’intervistata. Wiles, figlia del leggendario commentatore sportivo Pat Summerall, un uomo la cui carriera è stata segnata da una lunga e pubblica dipendenza dall’alcol, descrive Donald Trump come portatore di una “personalità da alcolista”. Nonostante il Presidente sia un noto astemio, il paragone serve a Whipple e a Wiles per delineare il profilo di un individuo dominato da impulsi ossessivi, da una visione della realtà binaria che non contempla il compromesso e, soprattutto, da un bisogno costante di adorazione e convalida esterna. È il ritratto di un uomo che, pur non toccando un goccio di qualsiasi alcolico, vive la politica con la stessa foga distruttiva e la stessa mancanza di autocontrollo tipica di chi soffre di una dipendenza da sostanze.
Il carattere realmente dirompente dell’intervista emerge però quando Wiles sposta l’attenzione sulla cerchia ristretta che gravita attorno allo Studio Ovale, descrivendo un ecosistema di potere popolato da figure ambigue. A partire da Elon Musk, definito senza mezzi termini un “attore solitario” e un “tipo molto strano”. La critica si fa particolarmente aspra nel passaggio dedicato allo smantellamento dell’USAID, l’agenzia per lo sviluppo internazionale. Secondo Wiles, questa storica istituzione sarebbe stata demolita non per una strategia di risparmio, ma a causa delle incessanti e interessate pressioni del miliardario sudafricano, desideroso di piegare la politica estera americana ai propri scopi commerciali. Nemmeno il vicepresidente JD Vance viene risparmiato. Wiles lo dipinge come un fine calcolatore, pronto ad abbracciare le teorie complottiste del movimento MAGA solo per convenienza politica. Un ritratto che pesa, considerando le passate posizioni anti-Trump di Vance, e che solleva dubbi sulla coerenza ideologica di colui che molti indicano già come il favorito assoluto nella corsa alla Casa Bianca del 2028. Wiles, inoltre, attacca non troppo velatamente anche l’operato di Pam Bondi, accusandola di aver fallito deliberatamente la gestione degli Epstein Files.
L’intervista svela poi i meccanismi del cosiddetto “tour della vendetta”. Wiles ammette di aver negoziato con Trump un “patto dei 90 giorni” per esaurire i regolamenti di conti contro gli avversari entro la primavera del 2025, evitando che l’ossessione per la ritorsione paralizzasse l’attività legislativa. Sul fronte internazionale, la Chief of Staff rivela che le operazioni nel Mar dei Caraibi non mirano solo al narcotraffico, ma puntano direttamente a un cambio di regime in Venezuela, confermando una linea politica che predilige la forza alla diplomazia.
La pubblicazione dell’intervista ha generato un’onda d’urto mediatica travolgente, costringendo l’amministrazione a una gestione del danno in tempo reale. Susie Wiles stessa, ha tentato di minimizzare l’impatto delle sue parole, definendo l’articolo finito in stampa come un “hit piece”, un attacco orchestrato dai media liberali per creare divisioni interne. Nonostante ciò, il Presidente Trump ha ribadito pubblicamente la propria stima per Wiles. A blindare la posizione della Chief of Staff è intervenuta la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt, dichiarando con fermezza che il Presidente “non ha consigliera più grande o più leale di Susie” e che l’intera amministrazione è “pienamente unita dietro di lei”. Leavitt ha poi rincarato la dose, accusando i media di un sistematico “bias di omissione” e sostenendo che l’amministrazione abbia ottenuto in soli undici mesi più di quanto altri abbiano fatto in otto anni, proprio grazie alla leadership di Wiles.
Una difesa così compatta e priva di sbavature suggerisce però una lettura diversa: che l’intervista non sia stata affatto un errore di calcolo o una fuga di notizie non autorizzata, quanto piuttosto un avvertimento: la rivendicazione di un potere silenzioso, ma ormai inscalfibile.



