Flash #90: Marjorie Taylor Greene lascia il Congresso
Con una mossa inattesa, Greene abbandona la camera: è il segno di una crisi d'identità repubblicana o un semplice calcolo politico?

Marjorie Taylor Greene è una delle esponenti più controverse della politica statunitense contemporanea, simbolo della radicalizzazione del movimento MAGA e incarnazione perfetta delle fratture che attraversano oggi il Partito Repubblicano. Nata nel 1974 in Georgia, Greene è un’imprenditrice del settore del fitness. Il salto alla politica nazionale arriva solo nel 2020, quando vince, dopo una breve campagna elettorale, un seggio alla Camera, diventando rapidamente una delle figure più note della politica statunitense durante l’unico mandato presidenziale di Joe Biden.
Fin dall’inizio della sua carriera politica, Greene ha costruito la propria immagine sull’attacco alle élite di Washington, sull’uso di un linguaggio incendiario e sull’adesione talvolta esplicita alle teorie complottiste di QAnon, un movimento sorto nelle comunità online come Reddit e 4Chan nel 2017 che sostiene l’esistenza di una rete segreta di potenti coinvolti in attività criminali contro cui Donald Trump, secondo i suoi sostenitori, combatterebbe nell’ombra alla stregua di moderno paladino. Il legame di Greene con QAnon ha generato scandali ben prima del suo arrivo al Congresso e ha condizionato il modo in cui l’opinione pubblica e l’establishment repubblicano l’hanno percepita. Durante il suo primo mandato, iniziato nel gennaio 2021 in un clima segnato dall’assalto al Campidoglio, Greene è stata tra le voci più radicali e fedeli al trumpismo. La sua presenza è stata tuttavia sin da subito accompagnata da una serie di controversie che hanno portato, nel giro di pochi mesi, alla sua rimozione da tutte le commissioni della Camera per alcune dichiarazioni ritenute violente, razziste o del tutto infondate, tra cui la promozione di narrazioni cospirazioniste su sparatorie nelle scuole e attacchi terroristici.
Nel maggio 2024 Greene è tornata al centro dell’attenzione mainstream per un attacco rivolto all’aspetto fisico della deputata democratica del Texas Jasmine Crockett: “Credo che le tue ciglia finte stanno interferendo con quello che stai leggendo”; alla quale Crockett aveva prontamente risposto a Greene con: “Bleach blonde bad built butch body”, frase diventata immediatamente virale tale da essere integrata in uno sketch comico del Saturday Night Live.
Nonostante le polemiche, Greene è riuscita costruire una base elettorale molto solida proprio grazie alla sua sfida costante al sistema, presentandosi come un outsider senza paura di affrontare direttamente i vertici del potere politico. Negli ultimi mesi, però, il rapporto con Donald Trump, inizialmente solidissimo, ha iniziato a incrinarsi fino a rompersi definitivamente. Il punto di non ritorno è stato lo scontro sulla pubblicazione dei fascicoli relativi al caso Epstein, divulgati proprio in questi giorni: Greene ha chiesto trasparenza totale, denunciando un presunto patto di silenzio. Il presidente Trump, al contrario, ha reagito con irritazione, definendo la richiesta un attacco inaccettabile e accusando Greene di essere diventata irriconoscibile e una traditrice.
Da quel momento si è innescata una spirale di tensioni che ha portato la deputata ad annunciare, lo scorso venerdì, le proprie dimissioni dal Congresso, accompagnate da un duro comunicato in cui ha dichiarato di voler preservare il proprio senso di dignità politica. Alle accuse legate all’affaire Epstein si sono aggiunte critiche più generali al Partito Repubblicano, reo, secondo lei, di aver tradito l’agenda “America First”. Il suo addio, dunque, non è un semplice passo indietro, ma un gesto di rottura totale con il mondo politico che l’aveva resa celebre. A questo punto sorge spontanea una domanda: siamo di fronte a un’abile mossa tattica o a una vera e propria crisi identitaria? Da un lato, il tempismo delle dimissioni sembra calcolato per evitare un confronto diretto con Trump e, allo stesso tempo, preservare il capitale politico accumulato, lasciandosi aperta la possibilità di un ritorno da protagonista in un contesto diverso, forse più radicale o più indipendente. Dall’altro lato, emerge la figura di una politica in conflitto con se stessa, sempre meno allineata al trumpismo e sempre più attratta dall’idea di smascherare quelle che ritiene essere le ipocrisie del suo stesso campo. Che la sua uscita sia frutto di calcolo o di smarrimento, resta il fatto che Marjorie Taylor Greene rappresenta oggi una delle storie più emblematiche della crisi che attraversa il movimento conservatore negli Stati Uniti.


