Flash #80: Deal with it, o no? Cosa aspettarsi dall'accordo sui dazi
Un'intesa tra Stati Uniti e Unione Europea è stata raggiunta, e a molti sembra una sconfitta firmata Ursula von der Leyen. Davvero la Commissione è la vera responsabile? E a chi farà più male?
Dopo mesi di incertezze, discussioni e negoziati, domenica 27 luglio l’Unione Europea e gli Stati Uniti sembrano aver raggiunto un accordo sul nuovo quadro che regolerà il commercio tra i due continenti. Come già accaduto per il Giappone nella settimana precedente, e come sarebbe poi avvenuto per la Corea del Sud, l’amministrazione Trump ha deciso di imporre un dazio del 15 per cento su tutte le merci importate dall’UE e di richiedere investimenti europei negli Stati Uniti per 600 miliardi di dollari e l’acquisto di gas statunitense per 750 miliardi nel corso del mandato del tycoon.
La reazione da parte dell’opinione pubblica e dei governi europei è stata quantomeno eterogenea: dalla soddisfazione espressa dai governi tedesco e italiano, alle critiche fatte dal governo francese e, nel nostro Paese, dai sindacati e dalle opposizioni. Per i critici, l’accordo sarebbe un fallimento che vede l’Unione Europea in ritirata da un confronto più duro con il partner americano, impaurita dalla prospettiva di uno scontro e stretta tra gli interessi degli Stati membri. Come affermano diversi commentatori, dandola vinta a un bullo come Trump ci si metterebbe nelle condizioni di essere nuovamente bullizzati, quando invece si sarebbero potute minacciare azioni contro il debito americano e i servizi tech. Come sempre, però, il diavolo si annida nei dettagli, e questo accordo di dettagli ne ha ancora molti da definire.
Innanzitutto, se si confrontano i comunicati di Unione Europea e Stati Uniti, si trovano molte discrepanze nell’interpretazione di questo accordo. Per esempio, per l’Unione Europea i dazi al 50 per cento che attualmente sono applicati su acciaio, rame e alluminio sono destinati a calare grazie a un sistema di quote, mentre per gli Stati Uniti resteranno invariati. Inoltre, non è ancora chiaro quali saranno le aree dove non verranno applicati dazi, e al momento non ci sarebbero modifiche nelle norme relative al settore agricolo, farmaceutico e dei servizi digitali.
D’altronde, come ha osservato la Commissione, l’accordo raggiunto non è legalmente vincolante e richiederà futuri negoziati per la definizione dei dettagli. Lo stesso vale anche per le centinaia di miliardi promessi. Questi restano una questione in mano ai privati e agli Stati membri, visto che l’Unione Europea non può obbligare gli uni a investire negli Stati Uniti e gli altri ad acquistare gas americano.
Nel frattempo, sebbene le borse americane continuino a crescere e Trump ne sia confortato, prima o poi le conseguenze dei dazi si vedranno. Come scrive il professor Fabio Sabatini, non è chiaro quanto gli Stati Uniti guadagneranno da queste azioni. Se i beni europei verranno sostituiti da altri, il gettito dei dazi sarà limitato; se ciò non avverrà, i consumi caleranno e le imprese americane che dipendono dalle importazioni si troveranno in difficoltà. Trump probabilmente spera in un aumento della produzione domestica e in una delocalizzazione dell’industria europea verso gli Stati Uniti ma, anche se dovesse accadere, non si tratterà di un processo breve.
Il problema maggiore sarà la stabilità di questo accordo. Sia i favorevoli che i contrari hanno individuato come pregio del deal siglato tra Trump e von der Leyen la definizione di parametri entro cui continuare il rapporto commerciale tra i due partner atlantici. Eppure, come abbiamo visto, questi parametri sono tutto meno che chiari: di fronte a un Presidente che potrebbe far saltare tutto con un tweet, il compiacimento per la supposta stabilità raggiunta potrebbe rivelarsi un miraggio.