Flash #73: Los Angeles sotto assedio
Il presidente Trump invia la Guardia Nazionale in California senza l’approvazione del governatore Newsom, riaprendo una frattura storica tra Washington e gli Stati
Quando il Presidente degli Stati Uniti dispiega truppe sul territorio nazionale senza il consenso dello Stato interessato, qualcosa si rompe. Non si tratta solo di una questione giuridica o politica, ma di una crepa profonda in quel delicato equilibrio che tiene insieme Washington e i cinquanta Stati. È successo di nuovo, e questa volta è accaduto in California.
La notte tra il 7 e l’8 giugno, Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per inviare duemila soldati della Guardia Nazionale a Los Angeles. Il governatore californiano, Gavin Newsom, non solo non aveva richiesto l’intervento, ma ne era completamente all’oscuro. È una mossa rara, controversa dal punto di vista legale e politicamente esplosiva. Il Presidente ha parlato di “protezione delle strutture federali e del personale”, ma la misura è stata percepita come un’aggressione istituzionale.
Cosa fa la Guardia Nazionale
Per capire la portata dell’intervento, bisogna prima chiarire cos’è la Guardia Nazionale. Non è un corpo militare ordinario, quanto piuttosto una forza ibrida, a metà tra esercito e protezione civile. Ogni Stato ha la sua Guardia sotto il controllo del rispettivo governatore, pronta a intervenire in caso di incendi, uragani, pandemie o rivolte urbane.
Tuttavia, la Guardia Nazionale può essere anche federalizzata. In quel caso, passa sotto il comando diretto del Presidente e opera come forza militare nazionale. La base giuridica di questa transizione è il cosiddetto Title 10, che regola il funzionamento delle forze armate. C’è anche una seconda chiave legale, più antica e più insidiosa: l’Insurrection Act, una legge del 1807 che consente al presidente di utilizzare le truppe per sedare rivolte o far rispettare le leggi federali, anche contro la volontà di uno stato.
Trump, però, non ha attivato l’Insurrection Act. Ha scelto di usare il Title 10, aggirando l’opposizione californiana ma senza concedersi pieni poteri militari. Il che ha creato una zona grigia: i soldati dispiegati non possono compiere arresti né funzioni di polizia, ma restano comunque una presenza armata sul suolo di uno Stato che non li ha richiesti.
Da dove nasce il conflitto
La scintilla è stata l’ondata di proteste esplosa a Los Angeles dopo una serie di retate dell’ICE, l’agenzia federale per l’immigrazione, in quartieri a maggioranza ispanica. Il governo federale ha parlato di minacce alla sicurezza e attacchi contro strutture federali. Le autorità locali, invece, hanno denunciato l’uso eccessivo della forza e chiesto la smobilitazione.
Gavin Newsom ha definito l’intervento un “atto di guerra contro la sovranità statale”, mentre il procuratore generale Rob Bonta ha intentato una causa presso la Corte distrettuale di San Francisco per bloccare il dispiegamento. Il testo della denuncia parla di “violazione del decimo emendamento” e “abuso di potere esecutivo”, sottolineando come lo Stato della California non abbia mai perso il controllo della situazione.
Un precedente pericoloso
Nella storia americana ci sono pochissimi casi simili. Nel 1957, Dwight Eisenhower inviò truppe federali a Little Rock per garantire l’ingresso degli studenti afroamericani nelle scuole segregate, contro la resistenza del governatore dell’Arkansas. Nel 1965, Lyndon Johnson federalizzò la Guardia Nazionale dell’Alabama per proteggere la marcia da Selma a Montgomery. Entrambi lo fecero per far rispettare diritti civili riconosciuti dalla Costituzione.
Trump, invece, ha motivato la sua decisione con la necessità di “difendere agenti federali” e “ristabilire l’ordine”, ma non ha portato prove di un’insurrezione in corso. Soprattutto, non ha ottenuto né cercato il consenso dello stato interessato. È questo che rende il caso californiano una novità assoluta.
Marines in attesa
Come se non bastasse, il presidente ha ordinato che settecento Marines vengano posizionati in attesa, pronti a intervenire se la situazione dovesse peggiorare. Anche in questo caso, non si tratta di soldati impiegati all’estero o in basi operative: sono unità addestrate al combattimento urbano, oggi destinate a un eventuale intervento sul suolo americano, in una metropoli governata da un’amministrazione ostile alla Casa Bianca.
La sola idea che un presidente possa usare i Marines come leva politica interna evoca scenari da democratura. L’opinione pubblica è spaccata, ma cresce il malcontento tra i giuristi e le organizzazioni per i diritti civili. Nessuno aveva mai visto una simile concentrazione di potere in tempo di pace, senza una reale minaccia insurrezionale.
L’America che guarda a sé stessa
Per chi osserva da lontano, il messaggio è chiaro: l’America di oggi è un Paese che combatte sé stesso. Quando il presidente può inviare truppe in una città ostile senza consultare il governatore, il rischio è che la forza diventi la scorciatoia politica di una democrazia che vacilla.
In attesa che i tribunali si pronuncino, la Guardia Nazionale resta a Los Angeles. I Marines, per ora, non hanno ricevuto l’ordine di intervenire.
Tuttavia, mentre viene dichiarato il coprifuoco nel centro di Los Angeles, le scintille volano ovunque e in tutti gli Stati Uniti nuovi fuochi divampano. New York, Chicago, Atlanta, Seattle, St. Louis, Indianapolis: i prodromi di nuove e diffuse proteste sono già in atto. Nel frattempo il governatore del Texas, il Repubblicano Greg Abbott, alla luce della pianificata manifestazione di San Antonio minaccia a sua volta l'uso della Guardia Nazionale.
Gli Stati Uniti si trovano su un terreno pericoloso. La Storia ci insegna che, una volta spostati certi confini, non si torna più indietro e la California potrebbe essere solo l’inizio.