Flash #66: Trump, Powell e la Cina: quando la politica monetaria diventa geopolitica
Tra diplomazia e pressione interna: Trump aggiusta il tiro su Powell e Pechino
Dopo settimane di tensione che hanno portato a un’escalation della guerra commerciale tra USA e Cina e a un netto peggioramento dei rapporti tra il Donald Trump e il presidente della Federal Reserve Jerome Powell, il tycoon ha rilasciato delle dichiarazioni che lasciano intravedere una possibile inversione di rotta su entrambi i fronti.
Durante un evento stampa alla Casa Bianca, martedì 22 aprile, Trump ha dichiarato pubblicamente che “non ha alcuna intenzione di licenziarlo [Powell, ndr]”, nonostante le pesanti critiche mosse nei suoi confronti nei giorni precedenti. Contestualmente, ha anche anticipato un possibile alleggerimento delle tariffe contro la Cina, precisando che gli attuali dazi, al 145 per cento, “sono molto alti” e che "scenderanno significativamente, anche se non saranno portati a zero”.
Queste dichiarazioni arrivano dopo settimane di botta e risposta a suon di dazi tra Washington e Pechino, culminate con la decisione del governo del dragone di imporre tariffe del 125 per cento sui beni statunitensi, in una dinamica sempre più da guerra fredda economica tra le due superpotenze.
Ma come si intrecciano le due vicende?
Nei giorni scorsi, Trump aveva pubblicato diversi post sulla piattaforma TruthSocial in cui attaccava duramente Powell, definendolo “Mr. Too Late” e accusandolo di non voler procedere con un immediato taglio dei tassi d'interesse.
La tensione si è ulteriormente inasprita dopo che Powell ha dichiarato che i dazi avrebbero probabilmente alimentato l’inflazione e che la Fed avrebbe atteso maggiore chiarezza prima di considerare qualsiasi modifica alla propria posizione di politica monetaria.
E così Trump, giovedì scorso aveva insinuato l’ipotesi di licenziamento del presidente della Fed: “Se voglio che se ne vada, se ne andrà subito, credetemi”. Ipotesi che secondo il Wall Street Journal sarebbe sul tavolo da tempo, tant’è che si faceva già il nome di Kevin Warsh, membro della FED dal 2006 al 2011, come possibile sostituto. Tuttavia, il mandato di Powell scade solo a maggio 2026 e permangono forti dubbi legali sulla possibilità effettiva del Presidente di rimuoverlo prima di tale data.
Quali sono state le conseguenze?
Nel frattempo, questo clima di incertezza ha già avuto non poche ripercussioni sui mercati: il dollaro è sceso ai minimi da tre anni, i principali titoli di Wall Street hanno segnato forti ribassi e molti investitori, in risposta alla perdita di fiducia nel dollaro, hanno cominciato a riversarsi su beni rifugio come l’oro, che nei giorni scorsi aveva raggiunto il massimo storico di 3.500 dollari all’oncia.
Tuttavia, gli arretramenti di Trump e l’intervento di Scott Bessent, Segretario del Tesoro durante la conferenza organizzata da JP Morgan Chase hanno avuto effetti positivi sui mercati. Durante l’incontro, Bessent ha definito la guerra commerciale con la Cina “insostenibile” affermando che, di fatto, le tariffe reciproche hanno creato un “embargo commerciale” tra le due economie.
Le dichiarazioni distensive e la possibilità di un allentamento delle tensioni hanno così favorito un rimbalzo dei mercati, con gli investitori che sono tornati a puntare sugli asset statunitensi.
Resta ora da chiedersi se quella di Trump è una svolta strategica autentica o se fa parte di quella che Paul Donovan, capo economista di Ubs Global Wealth Management, definisce “sottile arte della ritirata”. Quel che è certo è che il delicato equilibrio tra politica monetaria e politica economica interna della Casa Bianca, resta estremamente instabile, con la FED che cerca di difendere la propria indipendenza in un contesto di crescente politicizzazione.