Flash #62 – Entrare negli Stati Uniti non è più così semplice e sicuro
Nelle passate settimane si sono sommati episodi di ingresso negato e detenzione ingiustificata a cittadini stranieri già dotati di visto per entrare negli Stati Uniti

Essere cittadini europei e ottenere l’ESTA (Electronic System for Travel Authorization) in quanto teoricamente idonei a recarsi negli Stati Uniti non è più garanzia di ingresso nel Paese. Il sito del ministero degli Affari Esteri tedesco è molto chiaro rispetto al tema, avvisando i propri cittadini che “una condanna penale negli Stati Uniti, informazioni false sullo scopo della visita, o anche un lieve superamento delle tempistiche di ingresso o uscita previste dal visto possono portare all'arresto, alla detenzione e all'espulsione”.
Nessuna garanzia, dunque, di ingresso in sicurezza nel Paese di Donald Trump, che sembra voler isolare radicalmente gli Stati Uniti dal resto del mondo.
La Germania è intervenuta con simili, gravose dichiarazioni ufficiali dopo il negato ingresso negli USA a tre cittadini tedeschi, successivamente trasferiti in strutture di detenzione previa deportazione. Tra questi, Fabian Schmidt, 34 anni e in possesso di regolare green card in quanto residente negli Stati Uniti. Schmidt, arrestato all’aeroporto di Boston, sarebbe poi stato trasferito in una struttura detentiva in Rhode Island.
Non solo cittadini tedeschi inspiegabilmente detenuti ed espulsi, ma anche francesi: il 9 marzo, infatti, uno scienziato francese in viaggio verso gli States per una conferenza a Houston è stato fermato ed espulso, in seguito a una perquisizione del telefono dell’accademico e il ritrovamento, da parte delle autorità americane, di messaggi critici rispetto all’amministrazione Trump.
Philippe Baptiste, ministro della Ricerca in Francia, è intervenuto difendendo la libertà di opinione e di ricerca in pieno contrasto con le autorità di frontiera americane che hanno accusato il ricercatore di diffondere “messaggi di odio che possono essere descritti come atti di terrorismo”. Secondo Tricia McLaughlin, portavoce del Dipartimento di Sicurezza Interna, invece, “qualsiasi dichiarazione per cui l’espulsione dell’accademico risulti motivata dalle personali convinzioni politiche di questo è falsa”.
Sulla scia di tali eventi, anche il ministero degli Esteri britannico è intervenuto avvertendo i propri cittadini che l’eventuale violazione delle attuali norme statunitensi in materia di immigrazione “può comportare l’arresto o la detenzione, avendo gli ufficiali alla frontiera l’ultima parola sull’ammissione di un viaggiatore”.
Nel mentre, l’Immigration and Custom Enforcement (meglio nota come ICE) e la Customs and Border Protection non hanno risposto immediatamente ad alcuna richiesta di commento, nemmeno in seguito al sommarsi di casi a riprova di un inasprimento dei controlli all’ingresso degli Stati Uniti. La testimonianza più preoccupante deriva dall’esperienza di una cittadina canadese: Jasmine Mooney, dotata di un regolare visto di lavoro nell’ambito dell’accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA), è stata improvvisamente arrestata e detenuta in una struttura ICE.
Mooney, riuscita a ottenere il visto regolarmente al secondo tentativo, è stata a lungo interpellata sul perché le fosse stata inizialmente negata l’autorizzazione all’ingresso, ma soprattutto sul perché si fosse recata a San Diego per presentare nuovamente richiesta. A conclusione di un lungo interrogatorio che avrebbe toccato anche il suo lavoro per una compagnia negli Stati Uniti utilizzante la canapa come ingrediente nei propri prodotti, il visto di Mooney è stato revocato ed è stata invitata a presentare nuovamente domanda qualora volesse fare ritorno negli Stati Uniti.
Forte di un nuovo impiego in California, Mooney ha presentato ulteriore domanda presso lo stesso ufficio di San Diego, dove, nel giro di poche ore, le è stato comunicato che sarebbe stata, invece, rimpatriata in Canada. “Non mi sono preoccupata, ho pensato che avrei semplicemente prenotato un volo per tornare a casa. Ma mentre ero seduta a cercare i voli, un uomo mi si è avvicinato”, ha raccontato Mooney poco prima di essere condotta, senza particolari spiegazioni, nell’Otay Mesa Detention Center. Come riportato dalla canadese, circa 140 donne si trovavano ristrette presso la struttura, molte delle quali avevano vissuto e lavorato legalmente negli Stati Uniti per anni, ma avevano sforato i limiti temporali dei loro visti, spesso dopo aver fatto nuovamente domanda e aver fallito. Erano state tutte trattenute senza preavviso.
A fronte di una tale situazione, sono molteplici gli interrogativi che inevitabilmente sorgono rispetto a un sicuro e legale ingresso negli Stati Uniti: il Washington Post ha cercato di fornire una risposta con il supporto dell’avvocato Noor Zafar coinvolto nell’Immigrants’ Rights Project della American Civil Liberties Union (ACLU). Mentre Zafar suggerisce di memorizzare il contatto di un qualsiasi avvocato qualora si venisse temporaneamente detenuti alla frontiera, Esha Bhandari, a guida dello Speech, Privacy, and Technology Project della ACLU conferma che i dispositivi elettronici dei viaggiatori possono essere soggetti a perquisizione, anche se – fino ad ora – è accaduto raramente.
“È meglio per i viaggiatori trattenuti dalle autorità di frontiera attenersi ai comandi degli agenti e cercare di contattare un avvocato rapidamente”, sono le conclusioni amare dell’avvocato Zafar. Tuttavia, le esperienze dei cittadini sinora detenuti testimoniano un quadro più complesso, dai tratti allarmanti e, certamente, non sicuro. Per nessuno.