Flash #57: Sul sindaco di New York si gioca il destino della giurisprudenza americana
I vertici del Dipartimento di Giustizia hanno chiesto il proscioglimento di Eric Adams, scontrandosi con i loro stessi procuratori. Sullo sfondo le manovre politiche dell’amministrazione Trump
Se le vicende giudiziarie di Eric Adams sembravano già ingarbugliate qualche mese fa, gli eventi dell’ultima settimana hanno ulteriormente complicato il quadro. Il sindaco di New York, rinviato a processo per corruzione, cospirazione e per aver ottenuto finanziamenti illeciti, ha ricevuto un aiuto inatteso da parte del nuovo viceprocuratore generale degli Stati Uniti, Emil Bove. Quest’ultimo, il 10 febbraio scorso, ha scritto al pubblico ministero del Distretto Sud di New York per ordinargli l’archiviazione del caso, specificando che non potrà essere riaperto se non dopo le elezioni di quest’anno. Adams è infatti in corsa per essere rieletto primo cittadino il prossimo 4 novembre, ma lo scandalo giudiziario in cui è finito, unito alla crescente impopolarità delle sue visioni politiche, hanno messo seriamente in discussione la sua stessa candidatura all’interno del Partito Democratico.
Gli eventi successivi alla lettera di Bove sono senza precedenti e raccontano dell’esistenza di un conflitto, finora invisibile, all’interno del Dipartimento di Giustizia. Il 12 febbraio Danielle Sassoon, procuratrice capo del distretto con sede a Manhattan, risponde al viceprocuratore federale rifiutandosi di obbedire all’ordine e affermando che non ci fosse nessuna buona ragione per non proseguire con il processo. In una nota a margine, Sassoon parla anche di un incontro da lei avuto il 31 gennaio con lo stesso Bove e con gli avvocati di Adams, in cui questi ultimi avrebbero esplicitamente proposto un do ut des: il sindaco collaborerebbe con le politiche migratorie dell’amministrazione Trump in cambio dell’archiviazione delle accuse. Bove, durante la riunione, avrebbe chiesto a un membro dello staff di smettere di prendere appunti, per poi dirigerne la raccolta al termine della riunione.
L’accusa, implicita, è gravissima e le sue conseguenze sono arrivate immediatamente. Già il 13 febbraio Sassoon e altri cinque funzionari pubblici rassegnano le dimissioni. Bove nega la versione dei fatti della lettera e affida la gestione del caso alla Public Integrity Section del Dipartimento di Giustizia, ma i due responsabili di quest’ultima si dimettono a loro volta. A questo punto, il problema si è spostato da New York a Washington: in gioco non c’è più solo il destino, giudiziario e politico, di un sindaco, bensì l’indipendenza stessa del potere giudiziario negli Stati Uniti. Il comportamento di Bove, qualora fosse confermato, sarebbe una prova dell’intenzione dell’amministrazione Trump di utilizzare il Dipartimento di Stato come un’esplicita arma politica. Un utilizzo che non sarebbe molto differente da quello fatto con la Corte Suprema durante la sua prima amministrazione.
A rendere il contesto ancora più complesso, c’è il fatto che Sassoon viene da un’area estremamente conservatrice della giurisprudenza americana. Fa parte della Federalist Society, il più influente tra i club legali di destra, e ha lavorato al servizio di Antonin Scalia, l’influente giudice della Corte Suprema nominato da Reagan nel 1986. La sua disobbedienza all’ordine di un superiore dimostra che per molti repubblicani esiste un limite alla fedeltà che ripongono nelle decisioni dell’attuale amministrazione.
Sul fronte Adams, se da un lato questo intervento ha forse risparmiato al sindaco un difficile processo, dall’altro sembra avergli ulteriormente ridotto lo spazio di manovra all’interno del suo partito. Un candidato sospettato di collusione con i repubblicani non dovrebbe avere reali possibilità di essere rieletto da un pubblico democratico, e negli ultimi giorni si è parlato di un suo possibile, nuovo, salto della barricata (è stato brevemente iscritto al Partito Repubblicano, dal 1997 al 2001). Per ora Adams ha smentito, ma allo stesso tempo ha affermato di non avere intenzione né di ritirarsi dalle elezioni, né tantomeno di dimettersi.
Nel frattempo, il caso è passato nelle mani del giudice Dale E. Ho, il quale dovrebbe pronunciarsi sulla possibile archiviazione il prossimo 19 febbraio. Lo farà con gli occhi del Paese addosso, in un processo che è diventato un caso nazionale. A prescindere dal destino di Eric Adams, le evoluzioni di questa storia racconteranno molto del futuro del Dipartimento di Giustizia americano.
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