Flash #56: possiamo ancora parlare di diritto all'aborto negli Stati Uniti?
A poche settimane dall'inaugurazione dell'Amministrazione Trump arriva in Congresso una proposta di legge per introdurre, di fatto, un divieto nazionale di aborto.

Che fine avrebbe fatto il diritto all’aborto sotto l’amministrazione Trump lo aveva già anticipato Project 2025, il manuale di 900 pagine di puro conservatorismo reazionario che, per lungo tempo, è stato trattato come un testo relativamente sopra le righe e che mai avrebbe trovato (si diceva in ambienti Repubblicani e Democratici moderati) reale concretezza politica.
Eppure, a pochi giorni dalla cerimonia di insediamento della nuova amministrazione Trump ha fatto capolinea in Camera dei Rappresentanti una proposta di legge, la H.R. 722 “To Implement Equal Protection Under the 14th Article of Amendment to the Constitution for the Right to Life of Each Born and Preborn Human Person” che, ricorrendo al Quattordicesimo Emendamento introdurrebbe un divieto di aborto stabilendo (dopo decenni di lotte anti-scelta e conservatrici) un vero e proprio diritto alla vita sin dal concepimento.
Nel corso della campagna elettorale il Presidente Trump ha spesso rifuggito domande rispetto a un eventuale divieto federale di aborto, tanto per non scontentare il proprio elettorato, che non ha mai smesso di richiederlo a gran voce, quanto per non fornire basi concrete alla campagna della candidata Democratica ed ex-Vice Presidente Kamala Harris che molto ha giocato sul terreno dei diritti riproduttivi. Tuttavia, sembra che le azioni compiute sino ad ora, oltre che le nomine che vanno a comporre il Gabinetto Presidenziale, vadano proprio nella direzione della limitazione coatta dei diritti riproduttivi negli Stati Uniti.
Partiamo dall’evento più recente per poi ricostruire in maniera più approfondita il perché oggi non è più possibile parlare di un effettivo diritto all’aborto negli Stati Uniti. Il Presidente Trump ha firmato un ordine esecutivo per riattivare la “Mexico City Policy” (anche detta “Global Gag Rule”): il tycoon ha infatti proceduto - in un valzer che aveva già visto Trump, nel corso del suo primo mandato, supportare la norma federale poi revocata dal Presidente Joe Biden con altrettanto ordine esecutivo - con l’impedire l’erogazione di aiuti statunitensi (trattasi di 600 milioni di dollari in aiuti internazionali) a gruppi che forniscono servizi concernenti il diritto all’aborto, compreso qualsiasi forma di informazione relativa alla contraccezione. A questo ordine esecutivo ne è seguito un altro, per rafforzare lo storico Hyde Amendment con cui si nega (dalla sua prima introduzione nel 1976) la possibilità di ricorrere a fondi federali per coprire le spese relative alle Interruzioni Volontarie di Gravidanza (IVG). Norma che ha profondamente impattato sulla possibilità di accedere in sicurezza alle procedure abortive, ma che è sempre stata valutata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti lontana dall’essere un “onere eccessivo” in quanto, secondo l’Organo Supremo, non esiste un dovere positivo in capo agli Stati di creare condizioni eque per favorire l’accesso al servizio.
Per quanto, invece, concerne le nomine a membri di Gabinetto o a funzionari federali, sicuramente le più preoccupanti sono - come illustra perfettamente il TIME - quella di Robert F. Kennedy Jr. come Segretario alla Sanità, quella di Marty Makary come Commissario alla Food and Drug Administration (organo che si occupa di autorizzare - o meno - la libera circolazione dei farmaci abortivi utilizzati per le IVG), e quella di Pam Bondi a Procuratrice Generale. Se da un lato non è possibile etichettare Kennedy come uno strenuo difensore del diritto alla vita - avendo sempre dimostrato di avere posizioni confuse circa il diritto all’aborto - è, tuttavia, probabile che Makary impedisca che l’aborto farmacologico possa continuare a effettuarsi recapitando il materiale per posta, ma soprattutto che Bondi, a guida del Dipartimento di Giustizia e dichiaratamente “pro-life” conduca una battaglia sul terreno su cui ci si è sempre scontrati - e su cui i Dem si sono proprio fatti strappare dalle mani Roe v. Wade: quello prettamente giuridico, oltre che di interpretazione costituzionale.
Seppur molti costituzionalisti, facenti capo allo stesso originalismo progressista della Giudice Suprema Ketanji Brown Jackson, rimangono convinti che il diritto all’aborto si radichi nella Costituzione degli Stati Uniti e proprio nel Tredicesimo e Quattordicesimo Emendamento (nello specifico, nell’esperienza di coercizione riproduttiva vissuta dalle donne nere), con Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization (2022) la Corte Suprema degli Stati Uniti ha argomentato il contrario, rovesciando il paradigma alla base di Roe v. Wade - tuttavia lontano da qualsiasi forma di originalismo e fondante (erroneamente) il diritto all’aborto nella clausola di giusto processo.
In una dinamica che per lungo tempo ha visto i Conservatori vincere appropriandosi del linguaggio, dei concetti e dei metodi progressisti, anche oggi i cosiddetti Conservatori giuridici si appropriano del Quattordicesimo Emendamento per fondarci il diritto alla vita, come precedentemente menzionato: già in piena campagna elettorale, il Partito Repubblicano aveva adottato come corollario del proprio programma la convinzione per cui l’Emendamento della Ricostruzione garantisse che nessuna persona (embrioni compresi) si vedesse negata la vita. Qualora una simile interpretazione risultasse consolidata, nemmeno la barriera della lotta Stato per Stato potrebbe continuare a garantire la speranza di poter accedere - anche solo in un remoto angolo degli Stati Uniti - al diritto all’aborto.