Flash #51: Speaker Johnson, ma per quanto?
La vittoria di Mike Johnson, che rimane Speaker della Camera, nasconde screzi che non faticheranno a venire presto o tardi alla luce.
(Fonte: Public Domain)
A leggere il risultato sembra che, dopo due anni di screzi tra i Repubblicani alla Camera, finalmente si sia ritrovata la concordia. Mike Johnson è infatti stato eletto Speaker alla prima votazione, ottenendo i voti di quasi tutto il suo partito, a eccezione del Deputato del Kentucky, Thomas Massie. Proprio quest’ultimo, quando Trump nei giorni precedenti aveva garantito l’endorsement a Johnson per continuare nel suo mandato di Speaker, aveva rimarcato che non l’avrebbe votato in nessun caso, “nemmeno a costo di farsi tagliare le dita”, come ha detto in modo molto colorito sulla rete di estrema destra One America News Network.
La rielezione di Johnson non è stata però semplice: non si è trattato della singola defezione di un Deputato, ma di una silenziosa prova di forza della corrente di destra radicale del partito, il Freedom Caucus, che ha negato a Johnson i voti necessari per quasi un’ora, prima di concedergli il mandato. Rispetto a due anni fa, quando la fronda che apertamente combatteva l’elezione di Kevin McCarthy aveva detto alla luce del sole che non avrebbe dato i suoi voti al Deputato californiano, questa votazione è iniziata senza la certezza di come si sarebbero mossi alcuni Deputati afferenti al caucus radicale. Alla prima chiama tre Deputati – tra cui Massie – hanno votato contro Johnson, mentre sei hanno deciso di non esprimersi, stando zitti nonostante fossero chiamati a esprimere la propria preferenza. Questo ha generato uno scenario in cui nove Repubblicani erano di fatto contrari: l’ex Deputato Patrick McHenry, che ha commentato il voto per la CNN, ha detto che ci stavamo trovando di fronte a uno stallo. Era appena stata approvata una modifica alle regole della Camera che prevedeva la necessità della firma di nove Deputati per ottenere un voto per rimuovere lo Speaker, e la corrente stava dimostrando di avere fin dall’inizio della legislatura quei voti. Richiamati a esprimere il loro voto prima della registrazione ufficiale, i sei Deputati che erano rimasti zitti hanno convertito il proprio voto su Johnson, mentre i tre che avevano votato in maniera difforme hanno subito una telefonata da Donald Trump in persona, che chiedeva di sbloccare l’impasse. Alla fine, solo Massie ha deciso di mantenere la sua posizione, e Johnson è stato rocambolescamente eletto alla prima, lunga, votazione.
Questa storia turbolenta ci dà molti segnali sul rapporto tra Trump, Johnson e il Freedom Caucus. Innanzitutto, Johnson non è un Repubblicano moderato, e anzi è stato scelto come Speaker dopo la decadenza di McCarthy proprio perché, nonostante buoni rapporti con tutti i Deputati, afferiva proprio alla corrente più radicale. Nonostante questo, ottenuta la carica, Johnson ha dimostrato di utilizzare la sua posizione non per fare mero ostruzionismo alle politiche di Biden, ma bilanciando provvedimenti bandiera a leggi votate con il supporto della minoranza Democratica. Tra queste, il rinnovo dei fondi all’Ucraina, che la corrente di destra non voleva votare, e che alla fine è passato dopo mesi di attesa e rimpalli. Allo stesso tempo, parte del Freedom Caucus si è scontrato con Trump perché ha dimostrato di non interessarsi troppo del rigore nel bilancio: a livello economico, il Freedom Caucus si è caratterizzato per essere rigorista e favorevole a uno stretto tetto alla possibilità del governo di indebitarsi.
Johnson si muove ora in un contesto politico diverso: i Repubblicani hanno in mano il cosiddetto “trifecta” (il controllo delle due camere contemporaneamente, nonché della Casa Bianca) e l’agenda dello Speaker deve diventare quella di proporre provvedimenti velocemente, dato che Trump vuole rendere esecutive molte leggi di cui ha parlato in campagna elettorale in breve tempo. Oltre a fare i conti con la più stretta maggioranza alla Camera della storia recente, con la possibilità oggi di poter perdere solo due voti, dovrà anche fare in modo che i provvedimenti proposti possano passare al Senato, dove i Repubblicani hanno una maggioranza semplice. Questo non li mette al riparo dalla contestata tattica del filibuster che i Democratici utilizzeranno spesso, che fa sì che servano 60 voti per approvare una legge.
Johnson dovrà quindi continuare a dimostrare la sua arte di bilanciamento: non più tra partiti, ma tra fazioni dello stesso. Non dovrà scontentare Donald Trump, ma non potrà passare leggi che, ad esempio, eliminino il tetto al debito pubblico senza incorrere nelle ire del Freedom Caucus, e non potrà nemmeno essere troppo conservativo a livello fiscale, pena litigare con il Presidente e paralizzare l’amministrazione. Riuscire a navigare tra posizioni spesso opposte è quello che lo ha mantenuto in carica per lo scorso anno e mezzo, e dovrà continuare a farlo per resistere fino a gennaio 2027: un’impresa non facile.