FLASH #49: Affari di famiglia - il presidente Joe Biden concede la grazia al figlio Hunter
La grazia di Joe Biden: reazioni e interpretazioni
Nella domenica del giorno del ringraziamento, a 50 giorni dalla sua uscita dalla Casa Bianca e in prossimità del suo storico viaggio in Angola, Joe Biden ha annunciato tramite una nota ufficiale di aver concesso la grazia a suo figlio Hunter, in quanto sostiene sia stato «selettivamente e ingiustamente perseguitato». È lo stesso Joe Biden che anni prima aveva dichiarato che non avrebbe mai usato il suo potere per interferire nel processo decisionale del dipartimento di giustizia a favore dei suoi familiari.
La grazia concessa dal presidente uscente copre un periodo che va dal 1 gennaio 2014 al 1 dicembre 2024. I reati imputati al figlio Hunter, per i quali egli stesso aveva presentato una dichiarazione di ammissione di colpevolezza lo scorso 5 settembre, riguardano il possesso illegale di un’arma nel 2018 (più precisamente una pistola Colt Cobra 38Spl) dopo aver negato all’FBI di fare ancora uso di sostanze stupefacenti, e l’evasione fiscale di tasse federali di almeno 1,4 milioni di dollari nel periodo dal 2016 al 2019.
Il presidente uscente degli Stati Uniti nella nota giustifica la sua decisione sostenendo che, seppur «credendo nel sistema giudiziario», a suo avviso dietro la causa del figlio si nasconde la volontà dei suoi oppositori politici al Congresso di affossare non solo la sua figura, ma anche la sua allora futura corsa alle elezioni. Biden sembra quindi essersi spogliato delle vesti da presidente per rientrare in quelle di un padre che, sostanzialmente, vuole dare una seconda chance al figlio che, specifica, è «sobrio da cinque anni e mezzo».
Quello che però colpisce è che la grazia sia stata concessa per un periodo superiore a quello dei reati imputati. È forse questa una mossa per proteggere il figlio Hunter da ulteriori future accuse? È infatti risaputo che Hunter nel 2014 abbia lavorato come consulente per il Burisma Holdings (una compagnia di gas naturale in Ucraina) e sul suo operato ci sono state fin dall’inizio non poche ombre. Lo stesso Hunter aveva vantato ai tempi, in una nota, di potersi avvalere dei poteri del padre, allora vicepresidente al fianco di Barack Obama.
Ovviamente, a seguito del suo comunicato, non sono mancati commenti e illazioni da diverse figure del panorama politico statunitense e non. Primo fra tutti, il futuro presidente Donald Trump, che sulla sua piattaforma Truth Social scrive con intento chiaramente provocatorio: «Il perdono concesso da Joe a Hunter include gli ostaggi del 6 gennaio, che sono stati imprigionati per anni? Che abuso ed errore giudiziario!». Il riferimento è alle persone arrestate dopo l’assalto a Capitol Hill nel 2021. Altre voci si aggiungono a quelle del presidente repubblicano: da Mosca, Izvestia Maria Zakharova, rappresentante ufficiale del ministero degli Esteri russo, ha commentato la faccenda definendola una «caricatura della democrazia». Le reazioni non sono mancate anche all'interno dello stesso partito democratico, mentre il governatore del Colorado Jared Polis ha dichiarato che, a suo avviso, la grazia «stabilisce un cattivo precedente che potrebbe essere abusato dai futuri presidenti e purtroppo macchierà la sua reputazione».
Infatti, non è la prima volta che il presidente degli Stati Uniti utilizza il potere della grazia presidenziale, garantito dall’articolo II della Costituzione americana per “salvare” persone a lui vicine. Ne è un esempio il presidente Bill Clinton che, nel 2001, graziò suo fratello Roger per un reato di droga. Tuttavia, il caso Biden rappresenta un precedente storico in quanto, è la prima volta che la grazia viene concessa a processo ancora in corso. Fino ad ora, infatti, le grazie presidenziali avevano avuto uno scopo per lo più simbolico o riabilitativo, più che per evitare il carcere vero e proprio.
Quel che è certo è che episodi come questo, riportano alla luce le questioni intorno all’articolo II della Costituzione, in cui sono stabiliti i poteri e le responsabilità del presidente e dell’esecutivo federale: il rischio di una sua interpretazione eccessivamente ampia da parte degli stessi potrebbe minare l’equilibrio dei poteri.