Flash #44: Il partito democratico visto da Boston
Alla festa della vittoria di Warren la working class fa solo da sfondo retorico a un partito costiero impegnato a ingraziarsi ideologicamente i college
Sono le 21 dello scorso 5 novembre quando, sul palco del SoWa Power Station di Boston, sfilano diverse figure del Partito Democratico del Massachussetts. In un edificio pieno di giornalisti, fedelissimi del Partito e curiosi, sono tutti in attesa di Elizabeth Warren, senatrice dello Stato, riconfermata dieci minuti prima dell’inizio del dibattito pubblico. Nonostante il tema caldo sia la corsa alla presidenza di Kamala Harris, buona parte dell’incontro viene dedicato a Warren, riconfermata senatrice. Non che il suo seggio sia mai stato in pericolo: nei fatti, lo Stato del New England è sempre stato democratico, eccezion fatta per Scott Brown (2010-2013), primo repubblicano a vincere quel seggio dal 1979. A introdurre l’evento, varie figure, da Edward Markey, junior senator dello Stato, a Christine Lynch dell’AFL-CIO, unione sindacale nazionale. A egemonizzare il palco è, però, la deputata Ayanna Pressley, una dei membri di quella “squad” di politiche progressiste di cui hanno fatto parte anche Alexandria Ocasio-Cortez e Ilhan Omar. Pressley sottolinea l’importanza delle women of color nell’aver aiutato la democrazia statunitense a prosperare, ma anche la capacità del Partito Democratico di creare una realtà rainbow, multirazziale, aperta a tutte e tutti, in definitiva: intersezionale. Quel termine, utilizzato con molta retorica, diventa la parola d’ordine della serata. Sono infatti molte le figure precedentemente citate a sottolineare quanto l’identity politics portata avanti dal Partito negli ultimi anni abbia favorito – insiste soprattutto Pressley – a includere e non escludere gran parte dell’elettorato statunitense.
Pressley lascia spazio alla guest star dell’evento, Elizabeth Warren, che sale sul palco accompagnata da 9 to 5 di Dolly Parton. La scelta della canzone non è casuale. Gran parte del discorso della senatrice si rivolge, infatti, all’importanza della working class per i programmi del Partito, sia nella campagna presidenziale sia in quella dello Stato del Massachussetts. Curiosamente, Warren è l’unica all’evento a non utilizzare mai il termine «middle class», una delle parole d’ordine della campagna di Harris. Piuttosto, viene appositamente sottolineato come il Partito Democratico rappresenti l’unica realtà a tutela dei lavoratori. In parte, il discorso della Warren sembra una copia di quello delle democratiche del 2020, sicuramente progressista e, visto il clima, ancora più retorico; in parte, poi, strizza l’occhio a punti sollevati dalla base più “radicale” di Sanders.
È in questo senso che, durante l’evento, Warren sottolinea l’importanza di smettere di inviare armi in Israele, così da fermare un disastro – dice la senatrice – umanitario senza precedenti a danno dei palestinesi, e insistere sulla soluzione dei due Stati. Soprattutto questo ultimo punto accoglie parecchio consenso da parte del pubblico presente, in buona parte composto da ragazzi e ragazze che gravitano attorno alle università di Boston e Cambridge. Del resto, è proprio dagli atenei di quest’area, soprattutto da Harvard, che sono emerse probabilmente le proteste più forti a sostegno della Palestina, tema ancora caldo per gli atenei che continuano a essere animati da scontri tra gli studenti e i diversi board universitari. Molta, chiaramente, l’insistenza sul diritto all’aborto e sul progetto del Partito di renderlo un diritto federale.
Nonostante nessuno, neanche Warren, citi mai Trump durante tutta la serata, è chiaro come il tentativo sia quello di mostrare un Partito Democratico probabilmente più progressista di quanto, in realtà, non sia e, contrariamente al candidato repubblicano, più attento ai bisogni dei lavoratori. Soprattutto su questo punto, a posteriori, le analisi risultano fin troppo facili. Ciò che emerge da una serata che, probabilmente, non passerà alla storia, è la sensazione che vi sia un partito, quello democratico, forte retoricamente e carico di un retroterra culturale che prova a fare appello ai giovani laureati – l’uso del termine intersezionale, da questo punto di vista, è quintessenziale. Ma che a tali posizioni corrisponda una certa pragmaticità o una ricezione positiva da parte elettorale è, come dimostrato in queste elezioni, in discussione.