Flash #37: L’approccio diverso di JD Vance
In un confronto tra Vicepresidenti atteso, Vance cambia modo di presentarsi agli americani: ha pagato, in un altro dibattito che rischia di spostare pochissimi voti.
Mentre le telecamere stavano per spegnersi, segnando la fine del dibattito tra i candidati alla Vicepresidenza Tim Walz e JD Vance, i due stavano chiacchierando e presentando l’uno all’altro le loro mogli. Una scena che non si vedeva da tempo nella politica americana, abituata dal 2016 all’astio e al livore dei dibattiti con Donald Trump protagonista. È stato un Vance che in pochi si aspettavano: se potevamo credere che sarebbe andato all’attacco come una sorta di mini-Trump, la partita che ha giocato è stata totalmente opposta. Vance è arrivato al dibattito come la persona col più scarso tasso di approvazione tra Presidenti e Vicepresidenti di questa tornata, in molti lo avevano definito il più grosso errore di Donald Trump, che lo aveva scelto perché più organico alle sue idee isolazioniste rispetto ad altri esponenti del Partito. È andato inaspettatamente bene, riuscendo a difendere il trumpismo in modo più istituzionale e cercando anche di dare un senso al caos che Trump porta nei dibattiti. Di contro, Walz non ha brillato: era giorni che i Democratici si preparavano a questa cosa, dicendo che i dibattiti non erano il punto forte del Governatore del Minnesota, a differenza di Vance che, venendo da un’università di alto livello, lavora sull’arte del dibattito fin da giovane.
Interessante notare l’avvio del confronto, che si è basato su temi di attualità: la politica estera, per via dell’escalation regionale del conflitto in Medio Oriente, e il cambiamento climatico, in quanto l’uragano Helene, che si è abbattuto sul sud-est degli Stati Uniti negli scorsi giorni, è ormai secondo solo a Katrina - che aveva messo in ginocchio New Orleans nel 2005 - per numero di morti. I primi minuti del dibattito sono stati dominati da Vance, a suo agio e spigliato, a differenza di un Walz che faticava a parlare di politica estera, un tema che da politico locale non ha mai masticato. Sul cambiamento climatico, invece, ha cercato di portare avanti le idee di Kamala Harris dandogli un suo tocco personale per via delle storie di contadini che subiscono le problematiche del clima, nel tentativo che fa da quando è stato eletto di farsi percepire come un uomo comune che parla alla gente comune.
I temi di attacco dei due partiti sono stati gli stessi anche in questo dibattito: Vance è salito di livello su immigrazione ed economia, mentre Walz ha avuto i suoi momenti migliori quando si è parlato di aborto e tenuta della democrazia. Il messaggio di Vance sull’immigrazione rimane quello cupo di Trump, con l’idea che arrivano negli Stati Uniti milioni di criminali e di droghe letali, e che questo starebbe distruggendo l’economia della classe media del Paese. Nessuna variazione sul tema, ma un modo di raccontarlo più pacato, senza riferimenti ad Hannibal Lecter, malati mentali e tutto l’arsenale che Trump si porta dietro. Sull’immigrazione è anche arrivato l’unico momento di scontro tra Vance e le moderatrici, che hanno chiarificato la situazione pesante per gli haitiani a Springfield, Ohio a seguito delle parole di Trump dello scorso dibattito, quando li aveva accusati di mangiare cani e gatti dei cittadini americani; Vance, che aveva provato a minimizzare, è stato fermato e si è risentito quando non ha potuto replicare. «Non ci doveva essere il fact-check istantaneo, ma se c’è fatemi rispondere» è una frase che sintetizza bene i dibattiti degli ultimi anni, in cui il bisogno di chiarificare ciò che è vero e ciò che è falso nelle cose che dicono i candidati è diventato sempre più necessario. La CBS ha fatto per tutta la sera un lavoro di fact-checking visibile in tempo reale scannerizzando un QR Code dallo schermo, che però non ha funzionato per la maggior parte della serata.
Un’altra cosa che Vance ha fatto bene è stata ritrarre Kamala Harris come una persona che parla, ma non agisce: avevamo già detto che questa campagna era paradossale per il fatto che entrambe le parti tentavano di dipingere sé stesse come un cambiamento per il Paese, quando di fatto si scontrano un ex-Presidente e la vicepresidente in carica. Vance ha più volte, mentre Walz parlava del programma elettorale, affermato che tutte le cose scritte nel programma i Democratici potrebbero farle oggi se volessero, perché controllano la Casa Bianca. Non è esattamente così, dato che i Democratici non controllano la Camera e quindi devono mediare coi Repubblicani per far passare qualsiasi legge, e poi perché – e sembra strano doverlo ricordare – il Presidente è Joe Biden, quasi mai nominato durante tutto il dibattito: Vance ha legato a doppio filo Harris con la presidenza, rendendola imputabile di tutte le cose che per i Repubblicani non hanno funzionato di questi tre anni e mezzo, e Biden, che fino a pochi mesi fa era additato come disastroso, è uscito di scena senza essere più nominato.
Walz ha invece fatto meglio quando i temi sono diventati più favorevoli ai Democratici: quando si è parlato di aborto è stato molto importante ricordare la storia di Amber Nicole Thurman, morta a seguito del divieto all’aborto della Georgia. Questo per contrastare la visione di Vance che gli Stati Uniti sul tema sono divisi, e quindi dare agli Stati la possibilità di legiferare come meglio credono sarebbe la cosa migliore. Vance ha dovuto ammettere, lui che ha supportato un ban federale all’aborto nonostante abbia cercato di non darlo a vedere ieri sera, che i Repubblicani sul tema perdono terreno con molte persone, e Walz ha perso un’occasione per ricordare che negli Stati a maggioranza Repubblicana in cui si è tenuto un referendum per codificare il diritto all’aborto i repubblicani hanno sempre perso. Altro interessante momento è quando si è parlato di armi: Walz e Harris, come hanno detto, sono entrambi possessori di armi da fuoco. Parlando delle sparatorie nelle scuole, però, mentre Vance ha detto che bisognerebbe «rinforzare le porte e le finestre», Walz ha semplicemente detto che «in Finlandia le persone non sparano nelle scuole». Nonostante questo Walz non ha parlato di politiche effettive sul contrasto alle armi, e non ha ribattuto a Vance che ha detto che l’epidemia di violenza con armi da fuoco negli Stati Uniti è dovuta ai cartelli messicani che portano fucili illegali. In realtà sarebbe il contrario, dato che le leggi più stringenti sulle armi in Messico fanno sì che le armi che si comprano legalmente negli Stati Uniti vengano contrabbandate in America Centrale, e non il contrario, ma anche qui Walz non ha colpito duro.
Un altro momento in cui Walz non è andato bene è stato quando gli hanno chiesto di chiarificare la sua visita in Cina nel 1989: il candidato Vicepresidente Dem aveva affermato di essere stato a Tienanmen durante la repressione, ma una radio del Minnesota aveva scoperto che in quel periodo Walz si trovava in Nebraska. La risposta per Walz è stata difficile, ha ammesso che ha viaggiato in Cina nel 1989, ma non si trovava a Tienanmen durante le proteste, e ci ha messo quasi tre minuti per farlo, girando attorno al problema e dicendo una frase, «Sono un po’ un testone a volte», che probabilmente verrà riutilizzata dalla campagna Repubblicana nei prossimi giorni come linea d’attacco.
Una frase che invece riutilizzeranno i Democratici è la domanda secca che Walz ha fatto a Vance durante il segmento legato al 6 gennaio, in cui Vance ha provato a dire che Donald Trump ha trasferito pacificamente i poteri a Joe Biden il 20 gennaio, quando in realtà lasciò la Casa Bianca il giorno prima proprio per evitare di vederlo e partecipare all’inaugurazione. Walz ha chiesto a Vance se Biden ha vinto le elezioni del 2020 e Vance non ha risposto, dicendo che «preferisce parlare del futuro»: neanche un dibattito con clima cordiale e sereno ha portato il candidato Vicepresidente ad ammettere quello che qualsiasi tribunale del Paese ha certificato.
Il dibattito vicepresidenziale è sempre quello meno visto, e si trova solitamente in mezzo a due dibattiti tra i candidati alla presidenza: la posizione particolare di questo dibattito, che lo ha reso probabilmente l’ultimo scontro televisivo tra le campagne prima del 5 novembre, lo ha caricato di un’aspettativa maggiore, non ripagata. Vance e Walz hanno preferito non farsi male, sapendo che in un contesto elettorale di parità anche i minimi errori possono essere fatali. Quando Harris vinse con merito il dibattito contro Trump scrivemmo che non avrebbe probabilmente spostato quasi nulla a livello di voti, dato il contesto di eccessiva polarizzazione, e questa vittoria di Vance, che ha presentato un’interessante versione pseudo-intellettuale delle politiche trumpiane, probabilmente sarà la stessa cosa. Ci si avvia al 5 novembre in un contesto di sostanziale parità tra le due campagne che, a un mese dalle elezioni, può essere rotta solo da un grande avvenimento.