Flash #36: la Fed taglia i tassi e si tira un sospiro di sollievo (con qualche pensiero)
La decisione arriva forse con qualche ritardo, ma a beneficiarne saranno soprattutto i democratici e chi ha un mutuo o deve acquistare un’auto. Restano però degli interrogativi
Lo aveva annunciato lo stesso governatore Jay Powell al raduno di Jackson Hole: finalmente è arrivato il taglio dei tassi da parte della Fed. Lo scorso 18 settembre è stato varato un intervento più intenso del previsto, mezzo punto percentuale, arrivando a parificare i due tagli da un quarto di punto della controparte europea. Vista dal lato della campagna presidenziale, la decisione è un sollievo per Kamala Harris, data la cattiva opinione degli elettori statunitensi sulla gestione economica di Biden, anche se i numeri dicono il contrario. L’impatto dell’inflazione sul carrello della spesa, però, ha influenzato questa percezione.
Una buona notizia anche per chi ha un mutuo a tasso variabile e anche per tutto il settore dell’housing: i primi perché dovranno pagare rate più leggere, mentre nel secondo caso dovrebbe arrivare un rialzo negli acquisti.
Al di là dei mutui, ci saranno conseguenze positive anche per il settore dell’auto, dato che la maggior parte degli acquirenti sceglie di acquistare a rate e che tutto il comparto sta faticando a risalire dopo la pandemia.
Per le aziende, l’abbassamento dei tassi si traduce nell’attuare gli investimenti prima accantonati. Più investimenti significano più ordinativi, ma anche un aumento dell’offerta nel mercato del lavoro.
Di converso, tassi più bassi raffreddano le aspettative per le banche, che dopo un periodo di interessi alle stelle vedranno i loro conti ridimensionarsi di pari passo con i tassi che i loro clienti si troveranno a pagare. Una contrazione che, in realtà, può potenzialmente allargarsi ai mercati. Anche perché, come specificato in precedenza, probabilmente ora vedranno i propri utili contrarsi. Ne trarranno beneficio i titoli più difensivi: tuttavia, anche nel più dolce dei soft landing un minimo si balla. L’abbiamo visto in agosto, con una volatilità sui mercati che ha improvvisamente fatto temere il peggio, quantomeno ai meno avvezzi.
La cosa a cui Joe Biden e Kamala Harris devono stare molto attenti, però, è l’inflazione. È la principale argomentazione portata avanti da Donald Trump per sottolineare, dal suo punto di vista, la gestione fallimentare dell’amministrazione Dem. Questo fa molta presa sull’elettorato, che ha visto il proprio potere d’acquisto contrarsi di settimana in settimana nei periodi più difficili. L’americano medio (lo stesso discorso si potrebbe fare in Italia) non guarda tanto ai dati economici, ma a quanto spende in un mese.
Il Presidente in carica, con il suo Inflation Reduction Act approvato nel 2022 è riuscito a contrastare efficacemente la spirale inflattiva, ma i rincari rispetto al periodo pre-pandemico sono rimasti tali. Nonostante le contromisure introdotte dalla Casa Bianca, la leva che più di tutto è in grado di frenare la corsa dei prezzi resta quella dei tassi, in mano proprio alla Fed, che è un organismo totalmente autonomo dalla politica. Rimane da vedere l’effetto complessivo di questo taglio. Da una parte, c’è il rischio che si possa riaccendere la scintilla inflazionistica; dall’altra, che l’economia (e soprattutto il mercato del lavoro) rimanga stagnante.