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Il filibuster negli USA: vestigia razzista o strumento necessario?
I democratici vorrebbero abolirlo, ma la maggioranza è spaccata. Si tratta davvero di uno strumento antidemocratico o è così fondamentale come alcuni sostengono?
L’America è in stato di paralisi. Ogni settimana un nuovo progetto di legge provoca uno stallo al Congresso, dove il Partito Democratico controlla per una manciata di voti la Camera dei Rappresentanti e al Senato può contare sulla vicepresidente Kamala Harris, ago della bilancia in una situazione di perfetta parità che vede 50 senatori democratici e 50 senatori repubblicani raramente andare d’accordo.
In tempi normali, i democratici si vanterebbero di aver ottenuto, alle ultime elezioni, una vera e propria “tripletta”, avendo conquistato in un colpo solo la Casa Bianca e la maggioranza in entrambi i rami del parlamento americano, ma poiché questi non sono tempi normali i democratici non hanno molto di cui vantarsi.
A boicottare l’agenda progressista del presidente Joe Biden è una regola parlamentare che rende l'opposizione potentissima e può pregiudicare la calendarizzazione delle leggi che avviene per mano del Senate Majority Leader, demiurgo della Camera Alta del Congresso.
Si tratta del filibuster, meccanismo a disposizione dei senatori dei banchi dell’opposizione che possono invocarlo di fronte a qualsiasi legge per fare ostruzionismo parlamentare. Chiedendo di intervenire su un argomento, i senatori possono avviare una discussione senza limiti di tempo, anche all’infinito, di conseguenza bloccando il procedimento legislativo.
Per superare quest’ostacolo, basta approvare una mozione di chiusura della discussione, ma per farlo la maggioranza deve essere composta da un numero minimo di 60 senatori. Questo strumento fu pensato non solo per riconoscere la funzione di controllo all’opposizione, ma anche per incentivare la redazione di leggi bipartisan. Negli ultimi anni, tuttavia, è stato adoperato come deterrente all’iniziativa legislativa della maggioranza. “Vestigia di Jim Crow” l’ha definito l’ex presidente Obama, a cui ha fatto eco Bernie Sanders: “È uno scandalo che la poll tax, il gerrymandering e altre forme di soppressione elettorale esistano ancora oggi”.
La leadership democratica al Senato ha reso palese l’intenzione di abolire il filibuster, ma mancherebbero i numeri per farlo. Non solo in aula, dove una fronda di senatori moderati capeggiata da Kyrsten Sinema e Joe Manchin sta complicando il piano di Schumer, ma anche nel Paese. Secondo un sondaggio Monmouth, infatti, quasi otto americani su dieci (76%) vorrebbero mantenere il filibuster.
Ad ogni modo l’idea di un’eliminazione tout-court è stata superata da un eventuale compromesso a cui ha accennato il senatore della Virginia Occidentale Joe Manchin, fermamente contrario all’abolizione del filibuster, ma favorevole all’abbassamento della soglia da 60 a 55 senatori. Sarà abbastanza? Evidentemente, no.
“L'instabilità, la partitocrazia e il populismo continuano a contaminare la nostra politica. La soluzione, tuttavia, non è quella di continuare a indebolire la nostra democrazia. Se eliminassimo la soglia dei 60 voti del Senato, perderemmo molto più di quanto ci guadagneremmo”, ha commentato la senatrice dell’Arizona Kyrsten Sinema, allontanando così la possibilità di introdurre una riforma.
Come si aggira il filibuster
Esistono tre modi per aggirare il filibuster al Congresso. Il primo, il più semplice, è alla Camera, dove non esiste più dal 1842 e ciascun deputato può parlare per un determinato periodo di tempo oltre il quale non si può andare. Negli Stati Uniti vige comunque il bicameralismo perfetto e se è vero che il potere di borsa spetta alla Camera dei Rappresentanti, è anche vero che le leggi di spesa vengono esaminate da entrambi gli organi legislativi.
Il secondo metodo per eludere il filibuster prevede la cosiddetta budget reconciliation, che può essere richiesta per tutte quelle leggi che prevedono lo stanziamento di risorse economiche da parte del governo federale. Un esempio recente è l’American Rescue Plan del 2021, il piano da quasi 2 mila miliardi di investimenti e stimoli all’economia promosso da Joe Biden. La budget reconciliation è disciplinata dalla Byrd rule, che stabilisce i criteri che la legge in questione deve rispettare per poter essere approvata senza una maggioranza qualificata.
L’ultima procedura in analisi è la nuclear option, che si basa sulla creazione del precedente. In questo caso il Senate Majority Leader può denunciare la violazione di una delle regole del Senato e, una volta ricevuto l’assenso dal Presidente dell’aula (la Vicepresidente Harris, n.d.r.), si può passare a una votazione a maggioranza semplice. Due volte sole il Senato ha applicato la nuclear option: nel 2013, quando il democratico Harry Reid bypassò il filibuster e annullò la norma che prevedeva una maggioranza di 2/3 per le nomine presidenziali; e nel 2017, ad opera di Mitch McConnell, il quale si ispirò al precedente di Reid per rimuovere la maggioranza qualificata per la nomina dei giudici della Corte Suprema.
Si può obiettare che, in fondo, il filibuster non è fissato in costituzione e quindi la sua abolizione non necessiterebbe di un iter legis aggravato. È senz’altro vero, si tratterebbe infatti di una modifica del regolamento del Senato e per cancellarlo basterebbe paradossalmente una maggioranza di 51 senatori. Allora per quale ragione una regola inventata da Aaron Burr nel 1806 è ancora in vigore nel tempio della democrazia occidentale?
Un tema divisivo per un Paese diviso
Le argomentazioni in difesa del filibuster sono trasversali. John Cooper, dell’Heritage Foundation, ne parla come “ultima istanza dei diritti delle minoranze”, sostenendo che riforme così cruciali non possono passare con maggioranze semplici e ribadendo l’importanza del compromesso che si è invece perso alla Camera.
Il più grande politologo italiano di tutti i tempi, Giovanni Sartori, solleva diversamente una questione di efficacia. Durante un’audizione alla Camera dei Deputati nel 1997, Sartori usò queste parole per descrivere il funzionamento del filibustering: “Un sistema di governo efficace deve disciplinare il filibustering, ossia gli abusi di ostruzionismo; l'ostruzionismo serve a chi è all'opposizione per protestare contro il governo, ma se vi è un sistema di alternanza vi è un interesse generale a disciplinarlo”.
Insomma, secondo il Professor Sartori l’ostruzionismo parlamentare è intrinseco e connaturato al sistema politico dove esso si sviluppa. Ma cosa succede se il sistema politico muta improvvisamente e il parlamento diventa disfunzionale? Cosa succede se la distanza ideologica tra i partiti è talmente incolmabile da congelare l’intera funzione legislativa?
Per molto tempo – e in verità è tutt’ora così – si è detto che l’unica repubblica presidenziale efficiente è quella americana. Tutti gli altri Paesi che si sono conformati pedissequamente al modello statunitense, segnatamente in America Latina, hanno mostrato grossi limiti. I checks and balances, lo spirito bipartisan e l’invidiabile longevità dei partiti, malgrado la comparsa della “presidenza imperiale”, hanno permesso agli USA di diventare, nel corso dei secoli, la democrazia più forte e stabile del pianeta.
Oggi questo primato si sta infrangendo. Gli americani non hanno fiducia nei loro rappresentanti politici e le due forze politiche principali stanno vivendo momenti storici diametralmente opposti: una, il Partito Democratico, sta ultimando la sua trasformazione in un partito progressista moderato, l’altra, invece, è alla mercé di un padre padrone che ha reso il GOP il suo comitato elettorale personale ed esclusivo e ha messo in pericolo lo stato di diritto, arrecando, contestualmente, danni irreparabili alla reputazione internazionale del suo Paese.
L’aumento vertiginoso dell’uso del filibuster, alla base della frustrazione Dem, è un fenomeno che in realtà prescinde da Trump e segue logiche precedenti. La rivoluzione conservatrice di Newt Gingrich, speaker della Camera dei Rappresentanti dal 1995 al 1999, ha contribuito alla costruzione di muri ideologici insormontabili i quali, durante l’era Obama, si sono ulteriormente irrigiditi.
Forse l’epoca dello spirito bipartisan è davvero finita. Le difficoltà a negoziare un accordo sul coraggioso intervento infrastrutturale annunciato dal presidente Biden esemplificano la pericolosa deriva partitocratica che sta attraversando l’America, dopo aver già colpito in Europa e in Italia.
Basti pensare che, a proposito di infrastrutture, il Federal Aid Highway Act of 1956, il provvedimento voluto da Eisenhower per la realizzazione della rete autostradale negli Stati Uniti, passò con 89 voti favorevoli e 1 contrario. Forse è finita anche l’epoca degli Eisenhower, ma se questa è la strada definitiva che Uncle Sam vuole percorrere, l’abolizione del filibuster è l’unica alternativa alla paralisi già in atto.
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