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Evocazioni natalizie
Quattro impressioni letterarie per riscoprire lo spirito natalizio americano.
Un fermo immagine: tardo pomeriggio di una giornata invernale. In forno cuociono biscotti al pan di zenzero; le Rockettes scaldano i muscoli mentre l’imponente abete scintilla sulla pista da pattinaggio del Rockefeller Center. L’intrattenimento si sintonizza su una programmazione tanto scontata quanto attesa: Elf, Mamma ho perso l’aereo, Il Grinch. Lo spirito del Natale ritorna, portando con sé tradizioni e simboli che attraversano i confini nazionali e spirituali. La più importante ricorrenza del Cristianesimo, infatti, ha ormai superato il suo significato prettamente religioso per diventare occasione di incontro, riflessione, celebrazione.
Natale, negli USA, si inizia a festeggiare solamente nel Diciannovesimo secolo, dopo che Washington Irving pubblica il suo Sketch Book of Geoffrey Crayon, Gent. (1819-20). Il suo resoconto delle celebrazioni britanniche costituisce il nocciolo che tuttora sottende alla concezione americana del Natale e inaugura il filone del racconto natalizio statunitense.
Ripercorriamo dunque alcuni di questi simboli e valori attraverso le parole di illustri autori e autrici statunitensi.
L’albero: Christmas Trees di Robert Frost (in Mountain Interval, 1916)
[…]
He asked if I would sell my Christmas trees;
My woods-the young fir balsams like a place
Where houses all are churches and have spires.
I hadn’t thought of them as Christmas Trees.
[…]
Robert Frost, uno dei massimi poeti americani, dedica agli alberi di Natale, importati in America dagli immigrati tedeschi nel tardo Ottocento, una “lettera circolare di Natale” in cui un uomo di città cerca di convincere un uomo di campagna a vendergli i propri abeti.
Frost rappresenta il legame che unisce il contadino alle proprie piante, che “non avev[a] mai visto come alberi di Natale” e che considera, in qualche modo, vive e consapevoli: “non vorrei mai che sapessero,” ci dice, “che ho pensato [di venderle].” Conclude, Frost, con il rimpianto di non poterne inviare alcuni ai suoi cari, destinatari del messaggio.
Le campane: “Christmastide” di H. P. Lovecraft (in The Tryout, November 1920)
The cottage hearth beams warm and bright,
The candles gaily glow;
The stars emit a kinder light
Above the drifted snow.
Down from the sky a magic steals
To glad the passing year,
And belfries sing with joyous peals,
For Christmastide is here!
Nonostante Lovecraft non sia l’autore che più si associa al Natale, in Christmastide ci regala un brevissimo spaccato della notte della Vigilia. Diverse immagini tipicamente associate a questo periodo dell’anno ricorrono nel testo: il caminetto acceso, le candele, la notte stellata, la neve.
Su tutte, però, risaltano le campane, che accompagnano le celebrazioni liturgiche del Natale e chiudono il componimento, annunciando gioiosamente che «è arrivato il Tempo di Natale!».
I doni : “Christmas Day in the Morning” di Pearl S. Buck (1955)
[…] Why should he not give his father a special gift too, out there in the barn? He could get up early, earlier than four o’clock, and he could creep into the barn and get all the milking done […]
“The best Christmas gift I ever had, and I’ll remember it, son, every year on Christmas morning, so long as I live.”
They had both remembered it, and now that his father was dead he remembered it alone: that blessed Christmas dawn when, alone with the cows in the barn, he had made his first gift of true love. […]
Questo breve racconto di Pearl S. Buck ci porta negli Stati Uniti rurali, dove Rob, ormai invecchiato, ricorda il suo quindicesimo Natale come il primo in cui abbia fatto «un regalo dettato dal vero amore».
Il racconto mette in luce come un gesto d’affetto – mungere le vacche al posto del padre – sia il dono più significativo che una persona possa desiderare. Ispirato dal suo ricordo, Rob decide di regalare alla moglie un gesto altrettanto significativo, perché “l’amore risveglia l’amore.”
I ricordi: “A Christmas Memory” di Truman Capote (in Mademoiselle, December 1956)
[…] I would like to buy her a pearl-handled knife, a radio, a whole pound of chocolate-covered cherries […] Instead, I am building her a kite. She would like to give me a bicycle […]. Instead, I'm fairly certain that she is building me a kite […]. All of which is fine by me. For we are champion kite fliers who study the wind like sailors […]
Concludiamo questa carrellata natalizia con un racconto classico, che ci riporta autobiograficamente all’infanzia di Capote con la cugina Sook, di molti anni più vecchia e con una disabilità intellettiva. Il protagonista ricorda di quando preparavano fruitcakes per amici reali o immaginari e costruivano aquiloni, unico dono che potevano scambiarsi a Natale.
Infuso di profonda nostalgia e commozione, il racconto si conclude con il ricordo della morte della cugina e con l’autore che guarda verso il cielo “come aspettandosi di vedere due aquiloni sperduti che volano assieme verso il paradiso,” a ricordarci, in questo periodo di festa, dell’infinita persistenza dei legami di vero affetto.
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